Las calles de Roma abarrotadas contra las políticas de Monti y la ‘Troika’
por LibreRed
Sábado, 27 de Octubre de 2012 22:06
Cerca de 150.000 personas recorrieron este sábado las calles de Roma
para mostrar su malestar por la política de recortes sociales que lleva
a cabo el Ejecutivo de Mario Monti.La jornada de protesta fue convocada
por sindicatos, asociaciones ciudadanas y movimientos de izquierda.
Mientras Monti sigue recibiendo elogios por parte de la llamada
‘Troika’, conformada por el Fondo Monetario Internacional (FMI), la
Unión Europea (UE) y el Banco Central Europeo (BCE), la ciudadanía
mostró su descontento por las medidas capitalistas impuestas por el
Gobierno, como las subidas del IVA o los recortes en sanidad y educación
que Monti aprobó este año.La jornada de protesta fue convocada por sindicatos, asociaciones ciudadanas y movimientos de izquierda.
Los promotores habían previsto unas 30.000 personas y anunciaron que llegarían más de 300 autobuses a la capital, pero finalmente las calles se desbordaron de gente.
“Con la Europa que se rebela, echemos al Gobierno Monti” se leía en la pancarta que abría la manifestación, donde los participantes gritaron eslóganes contra una política que “solo ha generado despidos y precariedad”.
La manifestación transcurrió ante un imponente despliegue policial. Algunos grupos de encapuchados lanzaron huevos y petardos contra sedes de bancos.
Los promotores habían convocado la marcha en protesta contra “Monti y su política económica, que produce precariedad, despidos, paro y pobreza”.
“No a las contrarreformas liberales, ni de hoy ni de mañana. No a la Europa de los pactos de estabilidad, del pacto fiscal, de la austeridad y del rigor, que devastan desde hace años Grecia y ahora Italia”, añadían los organizadores.
Los estudiantes, muy presentes
Entre los participantes había numerosas asociaciones de estudiantes, protagonistas en las últimas semanas de varias manifestaciones contra los recortes a la educación que introdujo el Gobierno de Berlusconi y que han sido mantenidos y ampliados por el Ejecutivo de Monti.“Plazas invadidas contra la Troika. Es Europa la que nos lo pide”, era el lema de los estudiantes de la Universidad romana de La Sapienza.
“Estas políticas están acabando con países enteros en Europa. Los partidos en el Parlamento se han bajado los pantalones delante de Monti. Este es un Ejecutivo de banqueros y ricos. Por ello hemos salido a la calle para decir no a este escándalo”, explicaba uno de los manifestantes.
Entre los participantes también se encontraban enfermos crónicos que pedían mayores recursos para la asistencia sanitaria a domicilio, así como personas afectadas por los terremotos en Emilia Romagna en mayo que se sentían abandonadas por este Gobierno.
El Ejecutivo de Mario Monti, quien fue nombrado el pasado noviembre tras la dimisión de Berlusconi, ha aprobado un drástico plan de recortes por valor de 30.000 millones de euros, ha subido dos puntos el IVA y ha realizado una reforma laboral que facilita el despido de trabajadores.
El pasado 20 de octubre, el sindicato mayoritario del país, la Confederación General Italiana del Trabajo (CGIL), convocó a miles de personas en el centro de Roma contra el Gobierno y para pedir políticas que favorezcan el empleo, y anunció una nueva movilización para el 14 de noviembre, coincidiendo con las huelgas generales previstas en España y Portugal.
http://www.librered.net/?p=
Miles de personas piden en Roma la dimisión de Monti
La manifestación recorre el centro histórico de la capital italiana contra la política de recortes
Manifestación en Roma contra Monti. / ALBERTO PIZZOLI ALBERTO PIZZOLI (AFP)
En medio de una importante presencia policial, los manifestantes han coreado consignas contra "Monti y su política económica, que produce precariedad, despidos, paro y pobreza". Entre los participantes se encuentran numerosas asociaciones de estudiantes, protagonistas en las últimas semanas de varias manifestaciones contra los recortes a la educación.La manifestación ha sido precedida por una pancarta en la que se leerá: "Con la Europa que lucha. Monti vete".
ROMA
-
politica,
capitale&lavoro
Una giornata davvero particolare
Va in scena il "No Monti Day"
Va in scena il "No Monti Day"
Manifestazione
nazionale a Roma, la prima esplicitamente contro il governo, le sue
«riforme strutturali», la politica economica imposta dalla troika.
Criminalizzazione preventiva sui media. In
piazza l'opposizione sociale e politica al governo. Con sindacati di
base, partiti di sinistra e militanti , «dalla parte del torto»
«A volto scoperto e a mani nude». Non potrebbe essere più chiaro l'appello del Comitato promotore della manifestazione di oggi; quel «No Monti Day» che il governo - antagonista diretto, chiamato a rispondere di quel che ha combinato al lavoro e al Paese in 11 mesi - sta invece cercando di trasformare nella solita «giornata della paura». Tutto si fa, purché non si parli del merito.
E il merito è per una volta molto chiaro. Le forze - sindacali, politiche, associative, individuali - che scendono oggi pomeriggio in piazza provano a riempire un «vuoto politico» che i grandi partiti presenti in Parlamento non vogliono e non possono più occupare. È lo spazio della mediazione sociale, della democrazia nelle decisioni sulla politica economica (il cuore pulsante di ogni «governabilità»), del rapporto necessario tra «popolo» e sfera politica. I partiti non possono più coprire quello spazio perché sono impegnati - ora e ancor più nella prossima legislatura, come ricorda ogni giorno Giorgio Napolitano - a proseguire «nel solco» tracciato a Mario Monti e dalla troika (Fmi, Bce, Ue).
La rappresentanza degli interessi sociali, necessariamente divergenti da quelli della «stabilità finanziaria continentale», non ha più molti soggetti disposti a rispondere alla sfida. Chi scende oggi in strada prova a mettersi a questa altezza - lo abbiamo sentito in tutte le dichiarazioni di questi giorni, raccolte soltanto da questo giornale, oltre che naturalmente sul web - consapevole di non esserlo ancora. Ma di doverci almeno provare. Un «primo passo», per «colmare il gap» tra l'Italia e altri paesi sul piano della dignità del lavoro. Certo, ci sono state molte lotte aziendali, di stabilimento, di categoria; non ancora un momento di «generalizzazione». Non ancora un'opposizione politica. Ossia che se la prende col governo per quello che fa, non soltanto con l'imprenditore che scappa con la cassa e gli impianti da un'altra parte, in un altro paese.
L'alternativa - va detto chiaramente - è la disperazione sociale; quella bestia che nutre il mostro del «populismo», che tutti dicono di voler combattere, ma che tutti alimentano. Senza rappresentanza autentica, vera, vicina, rintracciabile sul territorio o sul posto di lavoro, ognuno è solo davanti alla potenza «ineluttabile» del mercato. O si piega o reagisce; o reagisce in modo lucido o affidandosi a chi gli indica «nemici di comodo». Migranti, demoplutogiudaici, zingari, sindacalisti, «i politici».
Chi scende oggi in piazza andrebbe ringraziato perché riempie il vuoto. Perché dà corpo a quella opposizione sociale che, se negata, si riproduce in forme deviate e devianti. Perché pone la necessità di un conflitto politico e sociale inevitabile - davanti alla crisi e a queste politiche «rigoriste» - nelle forme tipiche della dialettica democratica postbellica.
I promotori sono protagonisti noti della vita politica e sindacale degli ultimi 45 anni. Progressisti, compagni, militanti politici mai accusati o accusabili di estremismo». Propongono dei «no» semplici e chiari: «a Monti e alla sua politica», «all'Europa dei patti di stabilità, del Fiscal compact, dell'austerità e del rigore», «all'attacco alla democrazia». Pronunciano dei «sì» altrettanto di buon senso: «al lavoro dignitoso» (prescritto un tempo nella Costituzione), «ai beni comuni», «alla democrazia» effettiva, non certo a quella surrogata della «Commissione europea».
Di tutto questo non troverete traccia sugli altri giornali. Qualcuno scrive dei disagi alla circolazione automobilistica. Qualcun altro dei sempiterni «black blok» usati ormai come «l'uomo nero», per tener buoni i bambini (ricorre anche il colore...). Qualcun altro va a curiosare tra tombini sigillati, parcheggi vietati, serrande da chiudere, «squadre speciali». Il normale conflitto sociale, le manifestazioni, non fanno notizia. O sfasci una vetrina o non mi ti filo. Questa è la legge della cronaca. Alla fine, qualcuno ci casca...
Ce la potremmo facilmente prendere con i colleghi - firme prestigiose e innocenti stagisti - che accettano di prestarsi a questo gioco comandato da palazzo Chigi. Poi ci attraversa l'immagine di quegli scienziati che hanno obbedito a un Bertolaso qualsiasi, quando imponeva loro «la verità non si dice». Quanto diversi dal pur umanissimo Galileo che solo davanti alla ruota della tortura biascicò un accenno di ritrattazione. Per uscir poi fuori dal Collegio Romano, guardare il cielo e confermare «eppur si muove». È una vecchia verità: «il coraggio uno non se lo può dare». Ci vediamo in piazza.
No Monti Day: corteo a Roma, via il Prof
Ansa
(ANSA) - ROMA, 27 OTT - 'Con l'Europa che si
ribella, cacciamo il governo Monti'. Aperto da questo striscione e'
partito da piazza della Repubblica, diretto a Piazza San Giovanni, il
corteo No Monti Day per dire no a precarieta', licenziamenti e
disoccupazione. Ma anche per contestare la finanza globale che 'in
cartapesta' e' come un'enorme piovra che con i suoi tentacoli manovra
dei burattini, tra i quali Obama, la Merkel, Monti, Draghi e Berlusconi.
27 ottobre 2012
Un partecipante al corteo del No Monti-Day a Roma (Ansa)
No Monti Day: in 150mila a Roma contro il governo. Momenti di tensione: petardi contro la polizia
Gli studenti del 'no Monti
day' sono scesi in strada a Roma per "dare voce e visibilità alle tante
e ai tanti che rifiutano e contrastano Monti e la sua politica di
massacro sociale". Tra momenti di tensione con la polizia e l'invasione
della tangenziale Est, per poi ritirarsi pacificamente nel tardo
pomeriggio, verso le 19.
Circa 150mila secondo l'esecutivo nazionale USB,
20mila secondo altre fonti, sul loro percorso verso piazza San Giovanni
i manifestanti hanno lanciato uova contro le sedi di alcune banche,
hanno scritto su muri e vetrine "No allo spread" e "Casa e reddito". Su
un negozio nei pressi di via Cavour è comparsa la frase "Monti e Fornero
al cimitero".
A tratti la tensione è diventata palpabile,
come quando - nella zona di viale Castrense - dal corteo sono partiti
diversi petardi verso un cordone di agenti delle forze dell'ordine
schierati nei pressi di via La Spezia. O quando un cassonetto ha preso
fuoco in via dello Statuto. Ma nel complesso non vi sono state
particolari violenze e gli agenti hanno tenuto d'occhio la
manifestazione schierate a distanza, avanzando solo quando dal 'corteo
selvaggio' che aveva deviato verso la tangenziale est, invadendola, sono
partiti fumogeni e lancio di bottiglie. A quel punto però: ma a quel
punto i ragazzi si sono ritirati.
Il prefetto: tutto è andato bene -
Si trattava di una manifestazione insidiosa, dove c'erano da una parte
gli intendimenti rassicuranti dei promotori, dall'altra la presenza di
gruppuscoli intenzionati ad elevare il livello del dissenso. E' andato
tutto per il meglio, grazie alla gestione oculata ed equilibrata del
Questore e la professionalità e l'impegno di tutti gli operatori:
poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti della polizia municipale,
ai quali ovviamente va il mio ringraziamento". Lo afferma il prefetto di
Roma Giuseppe Pecoraro a proposito della manifestazione No Monti Day.
"Mi dispiace per i disagi che - aggiunge - cittadini romani hanno dovuto
subire sulla tangenziale est, seppur limitati grazie all'intervento
fermo ma equilibrato delle forze dell' ordine visto che una piccola
minoranza dei manifestanti probabilmente cercava lo scontro. Mi auguro
per il futuro che gli intendimenti pacifici degli organizzatori -
conclude il prefetto - seguano analoghi comportamenti da parte di tutti
nel manifestare il proprio dissenso".
27 ottobre 2012No Monti Day, Corteo sfila per le vie del centro: Siamo 20mila
TMNews
Roma, 27 ott. (TMNews) - "Siamo
alemno 20mila". Così si afferma dalla manifestazione 'No Monti Day',
promossa dal Comitato No Debito, Usb, Cobas, Cub e Partito della
Rifondazione Comunista. Il corteo, la cui coda ha lasciato piazza della
Repubblica poco dopo le 15.25 si snoderà per le vie del centro. L'arrivo
è previsto a piazza San Giovanni, il percorso toccherà via Cavour,
piazza Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via
Merulana.
Intanto, come disposto dalla Questura, le stazioni metro B Manzoni e
San Giovanni, a Roma, sono state chiuse alle ore 14. Secondo quanto
comunica l'Agenzia per la mobilità sono 39 le linee bus e tram
interessate a deviazioni o limitazioni delle corse.
27 ottobre 2012
No Monti Day, 150 mila a Roma
Petardi contro la polizia
All'uscita dalla Tangenziale i manifestanti del corteo hanno lanciato fumogeni, petardi e bottiglie contro un cordone delle forze dell'ordine schierato al lato della strada. A quel punto la polizia è avanzata e i manifestanti si sono ritirati dirigendosi verso piazza Santa Croce in Gerusalemme.
Brevi momenti di tensione quando il corteo di Roma sfila davanti alla sede Unipol di via Cavour. Un gruppo di persone ha lanciato bombe carta e scritto sulle vetrine «Monti e Fornero al cimitero». I manifestanti hanno accompagnato l'azione con urla e fischi.
"Secondo una prima stima siamo 150.000 in piazza". A riferirlo alcuni organizzatori del No Monti Day. La testa del corteo del No Monti Day é arrivata in Piazza S.Giovanni. Tante le bandiere rosse sventolate in piazza, sia del sindacato Usb che del partito di Rifondazione Comunista.
È arrivato in piazza San Giovanni il corteo del 'No Monti day'. In 10.000 circa hanno sfilato contro le politiche economiche del Governo. La protesta ha riguardato studenti e lavoratori che hanno espresso «la rabbia e lo sdegno di un popolo».
I manifestanti hanno appena imboccato via Cavour per dirigersi verso Piazza San Giovanni, destinazione finale del corteo. Ad organizzare la giornata di protesta, sindacati, partiti politici, movimenti e associazioni, tutti insieme per dire no alla precarietà, ai licenziamenti e alla disoccupazione.
«Queste politiche stanno devastando interi paesi dell'Europa - hanno gridato i manifestanti dai microfoni del camion alla testa del corteo - i partiti in Parlamento hanno letteralmente calato le mutande davanti a Monti. È un esecutivo di banchieri e ricchissimi. E noi siamo in piazza per dire no a questo scandalo».
Il corteo, partito da piazza della Repubblica, arriverà a piazza San Giovanni dopo aver percorso via Terme di Diocleziano, piazza dei Cinquecento, via Cavour, piazza Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, viale Manzoni, per concludersi a piazza San Giovanni. Come disposto dalla Questura, le stazioni metro B Manzoni e san Giovanni sono state chiuse alle ore 14. Trentanove le linee bus e tram interessate a deviazioni o limitazioni delle corse.
DISABILI CORTEO ROMA,SOS ASSISTENZA DOMICILIARE
Al corteo No Monti Day si sono unite anche alcune persone disabili per chiedere assistenza domiciliare e assegni di cura. A guidare la loro protesta è il Comitato 16 Novembre Onlus.
IN PIAZZA 'PIOVRA FINANZA' E SUOI BURATTINI
La finanza globale vista come un'enorme piovra che con i suoi tentacoli manovra dei burattini: dal presidente degli Stati Uniti Obama alla cancelliera Merkel, dal premier francese Sarkozy al presidente del Consiglio Monti fino al numero uno della Bce Draghi e al Cavaliere Berlusconi. Questa la protesta 'in cartapesta' portata dal comitato 'No Debito' di Torino, in piazza della Repubblica a Roma, dove centinaia di manifestanti si stanno concentrando, in attesa della partenza del corteo del No Monti Day.
PARTITO CORTEO STUDENTI
E NO TAV DA SAPIENZA
«Piazze invase contro la troika. È l'Europa che ce lo chiede». Dietro questo striscione, che raffigura anche dei manifestanti portoghesi, spagnoli e greci, stanno sfilando alcune centinaia di giovani studenti partiti dall'università La Sapienza di Roma per partecipare al No Monti Day nella capitale. Gli studenti hanno acceso fumogeni e sono diretti a Piazza della Repubblica dove si stanno concentrando gli altri manifestanti. Al corteo spuntano bandiere rosse e del movimento No Tav.
MAPPA
Di fronte al possibile pericolo di frange violente infiltrate, il dispositivo di sicurezza 'ordinario' è stato integrato con qualche novità: lungo tutto il percorso divieto di sosta per auto, ciclomotori e taxi, niente cassonetti e tombini sigillati.
Una novità frutto dell'esperienza, per evitare quanto accade nel corteo degli 'Indignati' del 15 ottobre 2011 con vetture e moto alle fiamme, cassonetti usati come barricate e arieti. Ovviamente il piano potrà essere rimodulato se ci sarà necessità e se le attività info-investigative (che proseguono) daranno segnali in tal senso.
Gli organizzatori della manifestazione nei giorni scorsi hanno comunque precisato di non temere scontri o violenze durante il corteo: «A noi non risultano infiltrati, al massimo gli infiltrati sono in Parlamento. Nel corteo ci saranno comunque 300 persone che si occuperanno del servizio di autotutela».
Corteo indignati a Roma. Black bloc all'assalto: è caos.
Ansa
Era partito come previsto da piazza della
Repubblica il corteo nazionale degli indignati e si stava svolgendo in
modo pacifico. Poi un gruppetto di Black bloc ha cominciato a sfondare
vetrine e incendiare auto. Gli incidenti sono iniziati in via Cavour e
poi proseguiti in piazza San Giovanni. A fuoco un blindato, illesi i due
carabinieri a bordo. Manifestanti applaudono le cariche ai violenti.
POLIZIA CARICA SU VIA MERULANA
- Le forze dell'ordine hanno caricato i manifestanti del corteo di Roma che si erano asserragliati in via Merulana innalzando barricate. La carica è stata lanciata con dei blindati che hanno sfondato le barricate.
Dopo aver divelto le barricate le forze dell'ordine hanno inseguito i manifestanti che stanno scappando verso piazza Santa Maria Maggiore. Nelle via attorno a via Merulana è in corso un fuggi fuggi generale di manifestanti inseguiti dalle forze dell'ordine.
Alcune centinaia di teppisti stanno tentando di incendiare una pompa di benzina, in via Merulana, ma sono stati, per ora, bloccati dalle forze dell'ordine. I teppisti sono stati respinti dal lancio di lacrimogeni e dall'avanzare dei blindati. I manifestanti sono stati inseguiti dalle forze dell'ordine anche nelle vie circostanti.
BLINDATI ASSALTATI, MEZZO CC IN FIAMME - I militari all'interno del mezzo dei carabinieri incendiato a San Giovanni sono riusciti a fuggire. Gli altri blindati si sono nuovamente ritirati dopo la carica e l'assalto violentissimo da parte dei teppisti. La situazione resta di stallo: i teppisti sempre arroccati nei giardini della basilica, le forze dell'ordine all'incrocio tra via Carlo Felice e la piazza. Un fumo denso, che sale dal mezzo ormai divorato dalle fiamme, avvolge la piazza e oscura la vista della Basilica e dell'Obelisco.
ALMENO 20 FERITI MANIFESTANTI-FORZE ORDINE - Ci sarebbero circa venti feriti tra forze ordine, manifestanti e teppisti negli scontri di oggi a Roma. Tutti sono stati trasportati all'Umberto I e al San Giovanni e sono stati medicati per contusioni e lievi ferite. Tra i feriti anche un ufficiale dei carabinieri, colpito da una pietra ed un agente di polizia.
BOTTIGLIA INCENDIARIA CONTRO IDRANTE POLIZIA - La violenza dei teppisti continua a Roma. La polizia non riesce ad avanzare. I blindati vengono assaltati: una bottiglia incendiaria è stata lanciata contro un idrante. Ormai in piazza San Giovanni sono scontri, atti di teppismo e cariche. Molti manifestanti se sono andati via e i pochi sono arroccati sotto la basilica.
Un mezzo delle forze dell'ordine che aveva forzato le barricate è stato assaltato dai teppisti. Il mezzo è stato preso a calci e colpito con mazze, e poi è riuscito ad andare via. Gli idranti sono ancora in azione contro i violenti.
ALCUNI MANIFESTANTI FERMANO TEPPISTI
- Ora sono i manifestanti ad aiutare le forze dell'ordine per bloccare i violenti nel corteo degli Indignati a Roma. A piazza San Giovanni alcuni manifestanti hanno bloccato dei violenti. In molti hanno applaudito più volte all'entrata in azione dei mezzi speciali con idranti. Anche le cariche vengono accolte da sollievo e applausi.
Circa 200 manifestanti del corteo degli Indignati a Roma si sono arroccati sotto la statua di San Francesco e urlano 'no violenza' all'indirizzo dei teppisti. Continuano le cariche e l'uso degli idranti contro le frange violente. In molti applaudono quando i violenti vengono fermati con idranti.
Le cariche degli agenti sono violentissime e c'é un nutrito lancio di fumogeni contro i teppisti. Tanti i blindati che stanno arrivando sul posto. Per disperdere i manifestanti gli agenti usano idranti.
BOTTIGLIE CONTRO FORZE ORDINE - Bottiglie contro le forze dell'ordine a via Labicana. Dopo un nutrito lancio di bottiglie contro i poliziotti c'é stato un lancio di fumogeni. A quel punto i teppisti sono fuggiti e si sono arroccati dietro la barricata in fiamme.
Un agente è rimasto ferito nel corso degli scontri a Piazza San Giovanni a Roma. Il poliziotto, con una grave frattura alla gamba, è stato soccorso e trasportato in ospedale dal personale del 118.
PRIMA CORTEO DENUNCIATI 4 ANARCO-INSURREZIONALISTI - Quattro anarco-insurrezionalisti sono stati denunciati nella tarda mattinata di oggi alla periferia di Roma, a poche ore dell'inizio del corteo degli indignati. In via E. Parisi, in località Castel di Leva, una pattuglia dei Carabinieri ha fermato, dopo un breve inseguimento, un'auto con a bordo 4 persone, tutte appartenenti all'area anarco-insurrezionalista. All'interno dell'auto, i Carabinieri hanno trovato zaini contenenti caschi da motociclista, maschere antigas, mefisti, parastinchi, mazzette da muratore, piede di porco, 500 biglie di vetro, una fionda professionale di grosse dimensioni e bottiglie di vetro.
MANIFESTANTE FERITO ALLA MANO DA PETARDO
- Un manifestante è stato portato in ospedale con gravissime ferite ad una mano provocate dallo scoppio di un petardo. nel corso del corteo degli Indignati a Roma. Non è chiaro se il manifestante avesse lui il petardo o gli sia arrivato addosso. L'incidente è accaduto all'angolo tra via Labicana e via Merulana, dove per ci sono stati violenti scontri sia tra forze di polizia e manifestanti, sia tra gli stessi partecipanti al corteo.
MANIFESTANTI ALLONTANANO 'INCAPPUCCIATI'
- "Andate via! Andate via! non vogliamo la vostra violenza": così un gruppo di manifestanti ha allontanato dal corteo, all'incrocio tra via Cavour e via dei Fori Imperiali, un gruppo di giovani manifestanti con caschi e cappucci che volevano andare verso piazza Venezia, dove sono schierate le forze dell'ordine. Anche lungo via Cavour, dove sono state incendiate due auto, c'era stato un battibecco tra manifestanti pacifici e i "neri", con in mano bottiglie, bastoni e anche martelli. Tra i due gruppi c'é stato anche un contatto e un militante dei Cobas, che stava facendo allontanare la gente dalle auto bruciate, è stato colpito alla testa da una bottiglia.
DOPO VIA CAVOUR ATTI TEPPISMO IN VIA LABICANA - Dopo via Cavour via Labicana, la direttrice che parte dal Colosseo, è diventata oggetto della violenza dei teppisti. In una manciata di metri hanno distrutto vetrine, devastato uffici del ministero della difesa, forzato portoni, incendiato almeno due auto e lanciato fumogeni contro una banca. Fumogeni e bomba carta anche contro l'assessorato delle politiche sociali. Il gruppo si aiuta con pali della segnaletica stradale usati come ariete. Sembrano le stesse scene del 14 dicembre ma lontano da via del Corso.
UN UOMO LIEVEMENTE FERITO A VIA CAVOUR
- Stava tentando di fermare un lancio di bottiglie contro i vigili del fuoco intenti a domare il rogo di un Suv, dato alle fiamme da alcuni teppisti, quando è stato aggredito. Così un uomo di circa 60 anni è rimasto lievemente ferito al volto. Il fatto è avvenuto a via Cavour, già teatro di atti di teppismo nel corso del corteo degli Indignati.
TESTA CORTEO ARRIVATA A PIAZZA SAN GIOVANNI - E' arrivato in piazza S.Giovanni il corteo degli Indignati, partito quasi due ore fa da piazza della Repubblica, a Roma. La testa del lungo serpentone di decine di migliaia di persone si è fermata dietro lo striscione che recita: 'People of Europe: rise up-Solleviamoci!'.
A VIA CAVOUR AUTO IN FIAMME E ESPLOSIONI
- Auto in fiamme, esplosioni, colonne nere di fumo. E' uno scenario di guerra quello che si presenta a via Cavour, nel centro di Roma. I vigili del fuoco sono arrivati per spegnere i roghi di auto facendosi spazio tra i manifestanti, molti dei quali impauriti per le esplosioni dei serbatoi delle auto.
TROUPE SKY TG24 AGGREDITA - Una troupe di Sky tg24 è stata aggredita nel corso del corteo degli Indignati a Roma. Lo riferiscono i giornalisti di Sky nel corso della diretta dalla Capitale.
A DECINE 'OCCUPANO' AREA ARCHEOLOGICA FORI - Occupati simbolicamente i Fori all'altezza della Basilica di Massenzio: alcuni hanno scavalcato la recinzione e sono entrati dentro. Per motivi di sicurezza i Fori, assieme ad altre aree archeologiche, sono off limits per i manifestanti.
DA MANIFESTANTI BOTTIGLIE CONTRO VIOLENTI
- Una parte dei manifestanti ha tentato di bloccare il gruppo di violenti autori degli atti di teppismo durante il corteo degli Indignati a Roma. I manifestanti hanno lanciato bottiglie contro il gruppetto 'in nero' che però non ha desistito. Molti, per paura, sono però fuggiti.
QUELLI 'IN NERO' AUTORI BLITZ VIOLENTI
- Sono vestiti completamente di nero, hanno il volto travisato e non parlano con nessuno. Sono un gruppetto nutrito di manifestanti, almeno trenta-quaranta, che sta sfilando a Roma all'interno del corteo degli Indignati. La loro sembra proprio una divisa studiata: felpe nere, caschi neri, occhiali da sole o bandane ma comunque volto coperto. Se interrogati non parlano né si definiscono. Muti per loro parla lo striscione che espongono: "se ci prendono il presente noi ci rubiamo il futuro".
DATE ALLE FIAMME BANDIERE ITALIA E UE
- Alcuni manifestanti hanno bruciato le bandiere dell'Italia e dell'Unione Europea che sventolano sul tetto di un hotel mentre il corteo degli indignati sfila per via Cavour a Roma. I manifestanti indossando maschere bianche come quella di Guy Fox, il protagonista di 'V come Vendetta'. Dopo il blitz sono stati lanciati volantini: 'E' la vendetta Precaria'.
SFONDATA VETRINA BANCA CON PALO SEGNALETICO - Un gruppo di manifestanti ha sfondato la vetrina di una banca a via Cavour a Roma usando un palo della segnaletica stradale precedentemente divelto. Il gruppo, mimetizzato tra i manifestanti, si è staccato e rapidamente ha devastato la vetrina della banca. Poi dopo il blitz si è dileguato.
L'I-DAY A ROMA - Oggi a Roma si svolge l'I-Day, la 'Giornata della rabbia' contro la finanza e le politiche economiche. La manifestazione è partita da piazza della Repubblica intorno alle 14. Zaini e sacchi a pelo, canti e balli caratterizzano questa prima fase dell'iniziativa lanciata dal movimento, con striscioni come 'La passione politica non ha prezzo, per tutto il resto c'é Berluscard'. Gran parte dei manifestanti sono arrivati con i pullman: ne sono previsti 750 da oltre 80 province italiane.
Altri sono arrivati con i treni alla stazione Termini: un gruppo consistente è giunto da Livorno e da altre città della Toscana. A Cassino, nel Frusinate, un gruppo di ragazzi proveniente da Caserta ha danneggiato due carrozze del treno regionale che li portava a Roma: un giovane è stato fermato e altri quattro sono stati denunciati dalla polizia.
Alle 12 a Roma è scattato il dispositivo di sicurezza approntato dalla questura, con la chiusura al traffico dei varchi lungo il percorso del corteo. Molte le linee di autobus deviate, quattro fermate della metropolitana sono state chiuse. In campo 1500 uomini delle forze dell'ordine con una 'blindatura nascosta', pronta ad essere rimodulata in caso di incidenti. Off-limits i principali siti archeologici. La manifestazione romana si inserisce in una giornata all'insegna dello slogan 'United for Global Change', che vedrà in piazza gli Indignati in quasi mille città del mondo.
POLIZIA CARICA SU VIA MERULANA
- Le forze dell'ordine hanno caricato i manifestanti del corteo di Roma che si erano asserragliati in via Merulana innalzando barricate. La carica è stata lanciata con dei blindati che hanno sfondato le barricate.
Dopo aver divelto le barricate le forze dell'ordine hanno inseguito i manifestanti che stanno scappando verso piazza Santa Maria Maggiore. Nelle via attorno a via Merulana è in corso un fuggi fuggi generale di manifestanti inseguiti dalle forze dell'ordine.
Alcune centinaia di teppisti stanno tentando di incendiare una pompa di benzina, in via Merulana, ma sono stati, per ora, bloccati dalle forze dell'ordine. I teppisti sono stati respinti dal lancio di lacrimogeni e dall'avanzare dei blindati. I manifestanti sono stati inseguiti dalle forze dell'ordine anche nelle vie circostanti.
BLINDATI ASSALTATI, MEZZO CC IN FIAMME - I militari all'interno del mezzo dei carabinieri incendiato a San Giovanni sono riusciti a fuggire. Gli altri blindati si sono nuovamente ritirati dopo la carica e l'assalto violentissimo da parte dei teppisti. La situazione resta di stallo: i teppisti sempre arroccati nei giardini della basilica, le forze dell'ordine all'incrocio tra via Carlo Felice e la piazza. Un fumo denso, che sale dal mezzo ormai divorato dalle fiamme, avvolge la piazza e oscura la vista della Basilica e dell'Obelisco.
ALMENO 20 FERITI MANIFESTANTI-FORZE ORDINE - Ci sarebbero circa venti feriti tra forze ordine, manifestanti e teppisti negli scontri di oggi a Roma. Tutti sono stati trasportati all'Umberto I e al San Giovanni e sono stati medicati per contusioni e lievi ferite. Tra i feriti anche un ufficiale dei carabinieri, colpito da una pietra ed un agente di polizia.
BOTTIGLIA INCENDIARIA CONTRO IDRANTE POLIZIA - La violenza dei teppisti continua a Roma. La polizia non riesce ad avanzare. I blindati vengono assaltati: una bottiglia incendiaria è stata lanciata contro un idrante. Ormai in piazza San Giovanni sono scontri, atti di teppismo e cariche. Molti manifestanti se sono andati via e i pochi sono arroccati sotto la basilica.
Un mezzo delle forze dell'ordine che aveva forzato le barricate è stato assaltato dai teppisti. Il mezzo è stato preso a calci e colpito con mazze, e poi è riuscito ad andare via. Gli idranti sono ancora in azione contro i violenti.
ALCUNI MANIFESTANTI FERMANO TEPPISTI
- Ora sono i manifestanti ad aiutare le forze dell'ordine per bloccare i violenti nel corteo degli Indignati a Roma. A piazza San Giovanni alcuni manifestanti hanno bloccato dei violenti. In molti hanno applaudito più volte all'entrata in azione dei mezzi speciali con idranti. Anche le cariche vengono accolte da sollievo e applausi.
Circa 200 manifestanti del corteo degli Indignati a Roma si sono arroccati sotto la statua di San Francesco e urlano 'no violenza' all'indirizzo dei teppisti. Continuano le cariche e l'uso degli idranti contro le frange violente. In molti applaudono quando i violenti vengono fermati con idranti.
Le cariche degli agenti sono violentissime e c'é un nutrito lancio di fumogeni contro i teppisti. Tanti i blindati che stanno arrivando sul posto. Per disperdere i manifestanti gli agenti usano idranti.
BOTTIGLIE CONTRO FORZE ORDINE - Bottiglie contro le forze dell'ordine a via Labicana. Dopo un nutrito lancio di bottiglie contro i poliziotti c'é stato un lancio di fumogeni. A quel punto i teppisti sono fuggiti e si sono arroccati dietro la barricata in fiamme.
Un agente è rimasto ferito nel corso degli scontri a Piazza San Giovanni a Roma. Il poliziotto, con una grave frattura alla gamba, è stato soccorso e trasportato in ospedale dal personale del 118.
PRIMA CORTEO DENUNCIATI 4 ANARCO-INSURREZIONALISTI - Quattro anarco-insurrezionalisti sono stati denunciati nella tarda mattinata di oggi alla periferia di Roma, a poche ore dell'inizio del corteo degli indignati. In via E. Parisi, in località Castel di Leva, una pattuglia dei Carabinieri ha fermato, dopo un breve inseguimento, un'auto con a bordo 4 persone, tutte appartenenti all'area anarco-insurrezionalista. All'interno dell'auto, i Carabinieri hanno trovato zaini contenenti caschi da motociclista, maschere antigas, mefisti, parastinchi, mazzette da muratore, piede di porco, 500 biglie di vetro, una fionda professionale di grosse dimensioni e bottiglie di vetro.
MANIFESTANTE FERITO ALLA MANO DA PETARDO
- Un manifestante è stato portato in ospedale con gravissime ferite ad una mano provocate dallo scoppio di un petardo. nel corso del corteo degli Indignati a Roma. Non è chiaro se il manifestante avesse lui il petardo o gli sia arrivato addosso. L'incidente è accaduto all'angolo tra via Labicana e via Merulana, dove per ci sono stati violenti scontri sia tra forze di polizia e manifestanti, sia tra gli stessi partecipanti al corteo.
MANIFESTANTI ALLONTANANO 'INCAPPUCCIATI'
- "Andate via! Andate via! non vogliamo la vostra violenza": così un gruppo di manifestanti ha allontanato dal corteo, all'incrocio tra via Cavour e via dei Fori Imperiali, un gruppo di giovani manifestanti con caschi e cappucci che volevano andare verso piazza Venezia, dove sono schierate le forze dell'ordine. Anche lungo via Cavour, dove sono state incendiate due auto, c'era stato un battibecco tra manifestanti pacifici e i "neri", con in mano bottiglie, bastoni e anche martelli. Tra i due gruppi c'é stato anche un contatto e un militante dei Cobas, che stava facendo allontanare la gente dalle auto bruciate, è stato colpito alla testa da una bottiglia.
DOPO VIA CAVOUR ATTI TEPPISMO IN VIA LABICANA - Dopo via Cavour via Labicana, la direttrice che parte dal Colosseo, è diventata oggetto della violenza dei teppisti. In una manciata di metri hanno distrutto vetrine, devastato uffici del ministero della difesa, forzato portoni, incendiato almeno due auto e lanciato fumogeni contro una banca. Fumogeni e bomba carta anche contro l'assessorato delle politiche sociali. Il gruppo si aiuta con pali della segnaletica stradale usati come ariete. Sembrano le stesse scene del 14 dicembre ma lontano da via del Corso.
UN UOMO LIEVEMENTE FERITO A VIA CAVOUR
- Stava tentando di fermare un lancio di bottiglie contro i vigili del fuoco intenti a domare il rogo di un Suv, dato alle fiamme da alcuni teppisti, quando è stato aggredito. Così un uomo di circa 60 anni è rimasto lievemente ferito al volto. Il fatto è avvenuto a via Cavour, già teatro di atti di teppismo nel corso del corteo degli Indignati.
TESTA CORTEO ARRIVATA A PIAZZA SAN GIOVANNI - E' arrivato in piazza S.Giovanni il corteo degli Indignati, partito quasi due ore fa da piazza della Repubblica, a Roma. La testa del lungo serpentone di decine di migliaia di persone si è fermata dietro lo striscione che recita: 'People of Europe: rise up-Solleviamoci!'.
A VIA CAVOUR AUTO IN FIAMME E ESPLOSIONI
- Auto in fiamme, esplosioni, colonne nere di fumo. E' uno scenario di guerra quello che si presenta a via Cavour, nel centro di Roma. I vigili del fuoco sono arrivati per spegnere i roghi di auto facendosi spazio tra i manifestanti, molti dei quali impauriti per le esplosioni dei serbatoi delle auto.
TROUPE SKY TG24 AGGREDITA - Una troupe di Sky tg24 è stata aggredita nel corso del corteo degli Indignati a Roma. Lo riferiscono i giornalisti di Sky nel corso della diretta dalla Capitale.
A DECINE 'OCCUPANO' AREA ARCHEOLOGICA FORI - Occupati simbolicamente i Fori all'altezza della Basilica di Massenzio: alcuni hanno scavalcato la recinzione e sono entrati dentro. Per motivi di sicurezza i Fori, assieme ad altre aree archeologiche, sono off limits per i manifestanti.
DA MANIFESTANTI BOTTIGLIE CONTRO VIOLENTI
- Una parte dei manifestanti ha tentato di bloccare il gruppo di violenti autori degli atti di teppismo durante il corteo degli Indignati a Roma. I manifestanti hanno lanciato bottiglie contro il gruppetto 'in nero' che però non ha desistito. Molti, per paura, sono però fuggiti.
QUELLI 'IN NERO' AUTORI BLITZ VIOLENTI
- Sono vestiti completamente di nero, hanno il volto travisato e non parlano con nessuno. Sono un gruppetto nutrito di manifestanti, almeno trenta-quaranta, che sta sfilando a Roma all'interno del corteo degli Indignati. La loro sembra proprio una divisa studiata: felpe nere, caschi neri, occhiali da sole o bandane ma comunque volto coperto. Se interrogati non parlano né si definiscono. Muti per loro parla lo striscione che espongono: "se ci prendono il presente noi ci rubiamo il futuro".
DATE ALLE FIAMME BANDIERE ITALIA E UE
- Alcuni manifestanti hanno bruciato le bandiere dell'Italia e dell'Unione Europea che sventolano sul tetto di un hotel mentre il corteo degli indignati sfila per via Cavour a Roma. I manifestanti indossando maschere bianche come quella di Guy Fox, il protagonista di 'V come Vendetta'. Dopo il blitz sono stati lanciati volantini: 'E' la vendetta Precaria'.
SFONDATA VETRINA BANCA CON PALO SEGNALETICO - Un gruppo di manifestanti ha sfondato la vetrina di una banca a via Cavour a Roma usando un palo della segnaletica stradale precedentemente divelto. Il gruppo, mimetizzato tra i manifestanti, si è staccato e rapidamente ha devastato la vetrina della banca. Poi dopo il blitz si è dileguato.
L'I-DAY A ROMA - Oggi a Roma si svolge l'I-Day, la 'Giornata della rabbia' contro la finanza e le politiche economiche. La manifestazione è partita da piazza della Repubblica intorno alle 14. Zaini e sacchi a pelo, canti e balli caratterizzano questa prima fase dell'iniziativa lanciata dal movimento, con striscioni come 'La passione politica non ha prezzo, per tutto il resto c'é Berluscard'. Gran parte dei manifestanti sono arrivati con i pullman: ne sono previsti 750 da oltre 80 province italiane.
Altri sono arrivati con i treni alla stazione Termini: un gruppo consistente è giunto da Livorno e da altre città della Toscana. A Cassino, nel Frusinate, un gruppo di ragazzi proveniente da Caserta ha danneggiato due carrozze del treno regionale che li portava a Roma: un giovane è stato fermato e altri quattro sono stati denunciati dalla polizia.
Alle 12 a Roma è scattato il dispositivo di sicurezza approntato dalla questura, con la chiusura al traffico dei varchi lungo il percorso del corteo. Molte le linee di autobus deviate, quattro fermate della metropolitana sono state chiuse. In campo 1500 uomini delle forze dell'ordine con una 'blindatura nascosta', pronta ad essere rimodulata in caso di incidenti. Off-limits i principali siti archeologici. La manifestazione romana si inserisce in una giornata all'insegna dello slogan 'United for Global Change', che vedrà in piazza gli Indignati in quasi mille città del mondo.
Miles de personas se vuelven a concentrar en Madrid contra los PGE y el pago de la deuda
por Coordinadora #25s
Sábado, 27 de Octubre de 2012 12:33
Este sábado 27 de octubre manifestantes han vuelto a rodear el
Congreso para manifestar su firme oposición a los Presupuestos de la
Deuda.
La
manifestación convocada por la Coordinadora 25S para protestar contra
los Presupuestos Generales del Estado elaborados por el Gobierno para el
año que viene, que ha dado comienzo a las 18.00 horas en Plaza de
España, ya ha llegado a Neptuno, donde se han concentrado varios miles
de personas. A las 22:00 han dado por finalizada la concentración sin
que se hayan producido incidentes destacables.
La cabecera de la marcha ha llegado
alrededor de las 20.00 horas a la plaza de Cánovas del Castillo, donde
les esperaba un fuerte despliegue policial, como en anteriores
convocatorias. En esta ocasión, no obstante, las vallas que protegen la
Carrera de San Jerónimo, en la que se ubica el Congreso de los
Diputados, han sido ubicadas más próximas a Neptuno.
"No nos representan" o "No debemos,
no pagamos" son algunos de las consignas que se han vuelto a escuchar
este sábado en las calles de la capital, en la que ya es la quinta
protesta convocada por la Coordinadora desde la que tuvo lugar el 25 de
septiembre para 'rodear el Congreso' y pedir el inicio de un proceso
constituyente.
Asimismo, se trata de la segunda
acción celebrada esta semana en los alrededores de la Cámara Baja, si
bien, a diferencia de la que tuvo lugar el martes 23, este sábado la
concentración en Neptuno ha sido precedida por una marcha que ha
recorrido la Gran Vía, Alcalá y el Paseo del Prado.
Al igual que ya ocurriera con las
convocatorias anteriores, la Coordinadora decidió no comunicar la
protesta por los cauces oficiales a la Delegación del Gobierno en Madrid
al entender que el departamento dirigido por Cristina Cifuentes ya
tenía conocimiento suficiente de las acciones que se llevarán a cabo
para tomar las medidas necesarias que garantizaran tanto el desarrollo
de la marcha como la circulación del tráfico en la zona.
Esto ha provocado que varios agentes
de la Policía hayan identificado en Plaza de España a algunos de los
manifestantes antes de que diera comienzo la marcha, tal y como ya
ocurrió el martes en la Cuesta de Moyano antes de iniciarse la
concentración en Neptuno.
Aunque la Coordinadora insiste en que
la Constitución garantiza en derecho de reunión sin necesidad de pedir
autorización previa, la Delegación del Gobierno insiste en que la Ley
Orgánica 9/1983 que regula este derecho establece que "la celebración de
reuniones en lugares de tránsito público y de manifestaciones deberán
ser comunicadas por escrito a la autoridad gubernativa correspondiente
por los organizadores o promotores de aquellas".
19.50 Los primeros manifestantes llegan a Neptuno. El acceso a la Plaza de las Cortes, completamente cortado
19.45
Aumentan las identificaciones en Neptuno. También las
autoidentificaciones, ya que la gente hace cola para identificarse y
saturar las tareas.
19.40 La cabecera de la manifestación del #27O alcanza la Plaza de Cibeles y ya hay pancartas en Neptuno
19.40 Valencia. Unas 600 personas al grito de: NO PAGAMOS LA DEUDA DE LOS BANCOS
19.35 Informan desde Zaragoza: Concentración desde las 19h. en Plaza de España. José Miguel Domingo no te olvidamos!!
19.32 "Usureros, asesinos" gritan al frente de una oficina de Bankia #27O
19.30 Sigue la mani desde Sevilla en directo www.bambuser.com/channel/ setastv
19.29 Reiteramos Identificando ahora en Plaza de España, Neptuno, y entrada de Atocha. (PuntoDeInfo Sol 15M @PuntoSol )19.25 Un grupo de manifestantes abandona Plaza de España y enfila Gran Vía hacia Neptuno, donde concluirá la marcha. (Foto: AFP, DOMINIQUE FAGET)
19.00 Policía identifica a compañeros en Neptuno y Paseo del Prado
19.00 Más de 600 policías y miles de personas ocupan ahora mismo calles del centro de Madrid informa Periodismo Humano.
http://periodismohumano.com/
18.53 Profesionales de la sanidad pública también han venido hoy a decir no a los presupuestos de la deuda
Somos miles ya!
#27O Comienza la asamblea en Plaza de España recordando a José Miguel Domingo que se ha suicidado en Granada
Así estaba la marcha en Madrid a poco de comenzar
El 23 de octubre, miles de personas salieron a la calle para protestar contra los PGE mientras en el interior del Congreso tenía lugar un simulacro de debate en torno a los mismos. Desoyendo este grito unánime, la fuerza política actualmente en el poder no solo no ha permitido modificación alguna de su proyecto, sino que sigue dando a entender que existe un consentimiento de la mayoría de las ciudadanas del Estado a su aprobación.
Por esta razón, el #27O volvemos de nuevo al Congreso en una manifestación quesaldrá de la madrileña plaza de España a las 18h, pasando por las plazas de Callao y Cibeles, hasta llegar a la plaza de Neptuno.
Además, decenas
de ciudades rodearán diferentes instituciones a lo largo de todo el
Estado y varias asambleas y colectivos han fletado autobuses para llegar
a la manifestación en Madrid.Puedes participar en la preparación del #27O en Madrid asistiendo a las próximas asambleas.
Nos volveremos a cuidar colectivamente
Legal Sol tendrá abogados de guardia para el 27o: Marc Sanz de Bremond y Frescó y Jesús Calpe Ruiz. En caso de que te detengan, puedes nombrarles a ellos. Recuerda que en esa situación requisarán tus pertenencias y te preguntarán el nombre completo, por lo que antes de ir a rodear el Congreso tienes que memorizar el nombre y los dos apellidos (o apuntártelos en el brazo). Si has visto una detención, o has perdido a una amiga y temes que haya sido detenida, o tienes algún problema legal mientras estás participando en la acción, puedes llamar a Legal Sol. Apúntate este teléfono: 665225665. Y úsalo con moderación, sólo si es estrictamente necesario, para no saturarlo.
De todas maneras, recuerda que, siempre que tus acciones sean no violentas, no es ilegal manifestarse. También puedes repasar estos documentos sobre derechos de manifestantes. Y las propuestas tácticas que preparamos para el 25s. Seguimos apostando por la desobediencia civil no violenta y confiando en la inteligencia colectiva.
27-O: Miles de personas marchan en Madrid contra los presupuestos
La Policía Nacional retiene y registra autobuses con participantes antes de su entrada en Madrid
La Delegación del Gobierno dice que la concentración no está oficialmente comunicada
Participantes de la protesta en la Plaza de Neptuno de Madrid. / GORKA LEJARCEGI
Un mes después de la primera manifestación convocada por la Coordinadora 25-S, miles de personas han marchado hoy por el centro de Madrid decididos a rodear el Congreso de los Diputados y protestar contra los Presupuestos Generales del Estado para 2013 presentados el pasado martes en el Parlamento.
La marcha ha partido a las seis de la tarde desde Plaza de España y ha llegado hacia las ocho de la tarde a su destino en, la plaza de Cánovas del Castillo -en la que se ubica la fuente de Neptuno- donde miles de personas se han concentrado, aunque la afluencia no ha desbordado la plaza. Frente a los manifestantes, la barrera policial ha impedido el acceso por la Carrera de San Jerónimo al Congreso de los Diputados. La Delegación del Gobierno ha calculado que a las 20.30 se concentraban unos 3.000 manifestantes.
La protesta ha transcurrido de forma pacífica por tres de los carriles de la Gran Vía madrileña entre un gran dispositivo policial. Los manifestantes han coreado los eslóganes que ya se han hecho famosos desde las primeras marchas del Movimiento 15-M, como "No nos representan" y "No debemos, no pagamos". Pasadas las 10 de la fría noche de este sábado (las temperaturas han descendido notablemente en la capital), ha concluido una asamblea en las que se han reunido parte de los manifestantes.
En este caso, la protesta se ha centrado en las cuentas públicas de 2013: “A nuestros entender es un proyecto de ley que, además de conculcar derechos fundamentales con un procedimiento que no respeta la soberanía popular y con un contenido que va a ser generador de opresión y miseria, son unos Presupuestos de la deuda”, asegura Carlos, uno de los portavoces de la Coordinadora, tras registrar en el Congreso un texto de rechazo a las cuentas públicas elaborado por el colectivo.
Se trata de la segunda acción que ha tenido lugar esta semana en los alrededores de Congreso y al igual que ya ocurriera el pasado martes, la Coordinadora ha decidido no comunicar la protesta por los cauces oficiales a la Delegación del Gobierno en Madrid al entender que el departamento dirigido por Cristina Cifuentes ya tiene conocimiento suficiente de las acciones que se llevarán a cabo para tomar las medidas necesarias que garanticen tanto el desarrollo de la marcha como la circulación del tráfico en la zona. Desde la Delegación insisten en que la Ley Orgánica 9/1983 que regula el derecho de reunión establece que "la celebración de reuniones en lugares de tránsito público y de manifestaciones deberán ser comunicadas por escrito a la autoridad gubernativa correspondiente por los organizadores o promotores de aquellas".
La única protesta comunicada según los cauces que ahora exige el Gobierno fue precisamente la primera, que tuvo lugar el 25 de septiembre, si bien no fue la Coordinadora quien comunicó la protesta sino un particular, que posteriormente fue multado por la Delegación con una sanción de 6.000 euros al entender la institución que no se garantizó la "seguridad de la protesta", que se saldó con 35 detenidos y 64 heridos a raíz de los enfrentamientos entre manifestantes y agentes de los antidisturbios.
Una portavoz de la Coordinadora ha recordado antes de la concentración que estaba previsto que este sábado llegasen a Madrid personas procedentes de otras ciudades de España para participar en la marcha. Como ya ocurriera el 25-S, la Policía Nacional ha retenido y registrado los autobuses que desde diversos puntos de España están llegando a Madrid; además, ha identificado a algunos de sus ocupantes.
Mientras Madrid se manifestaba contra los Presupuestos, Cataluña se teñía de amarillo, símbolo de la protesta contra los recortes en educación. Miles de personas (50.000 según los convocantes y 5.500 según la Guardia Urbana) han marchado por las calles del centro de Barcelona para exigir a las Administraciones que retiren medidas como el aumento de las ratios de alumnos por clase y del incremento de las horas lectivas del profesorado, informa Ivanna Vallespín.
Ivanna Vallespín El País
Barcelona
27 OCT 2012 - 20:59 CET
EFE
Barcelona
27 OCT 2012 - 15:03 CET
No sé qué título poner al artículo de hoy. Dudo entre:
El Rey ha ido a la India, pero ha vuelto,
Vicios y virtudes de la política,
¿Se acuerdan de cuando esto era una democracia?,
Cosas que aún me emocionan,
Érase una vez el capitalismo,
El hundimiento de una nación.
Operación Opus,
¡Rescatados!,
La prima de riesgo se desboca,
Sorpresa, sorpresa, más recortes,
Rajoy Corazón de León ha comenzado la Cruzada para conquistar Catalunya,
El Príncipe desde Asturias quiere apalancar España,
El Sindicato de Funcionarios esquirolea y se desentiende de la huelga del 14 porque no es el momento pero no aclara cuándo es el momento,
Hoy solo ha habido 517 desahucios,
¿Ha sido un fracaso el 25-S o un éxito?,
¿Qué pasa si se cierra Bankia?,
La mentira como instrumento político,
Ser español a la fuerza, ¿Cuántos fachas habrá en España?,
Diferencias entre imputado y procesado,
Los policías se manifiestan en Madrid para quejarse por las mismas razones por las que aporrean a los ciudadanos en otras manifestaciones; no los vigilaba nadie.
No sé cuál poner.
Se admiten títulos.
—
Algunos títulos aportados por los lectores:
De la Europa social a la del tupper. (lombardo)
La explosión de una burbuja se mide en megatones de deshumanidad. (lombardo)
Cuando lo más esperanzador de Europa era su pasado. (lombardo)
Muertes en el Estrecho. (kierkegaard)
¿Ha matado el Rey un tigre de Bengala? (kierkegaard)
El partido populista va a por todas. (1 que pasaba)
El Gobierno perjudica seriamente la salud. (ANPV66)
Año Mariano. (ANPV66)
La marcha ha partido a las seis de la tarde desde Plaza de España y ha llegado hacia las ocho de la tarde a su destino en, la plaza de Cánovas del Castillo -en la que se ubica la fuente de Neptuno- donde miles de personas se han concentrado, aunque la afluencia no ha desbordado la plaza. Frente a los manifestantes, la barrera policial ha impedido el acceso por la Carrera de San Jerónimo al Congreso de los Diputados. La Delegación del Gobierno ha calculado que a las 20.30 se concentraban unos 3.000 manifestantes.
La protesta ha transcurrido de forma pacífica por tres de los carriles de la Gran Vía madrileña entre un gran dispositivo policial. Los manifestantes han coreado los eslóganes que ya se han hecho famosos desde las primeras marchas del Movimiento 15-M, como "No nos representan" y "No debemos, no pagamos". Pasadas las 10 de la fría noche de este sábado (las temperaturas han descendido notablemente en la capital), ha concluido una asamblea en las que se han reunido parte de los manifestantes.
En este caso, la protesta se ha centrado en las cuentas públicas de 2013: “A nuestros entender es un proyecto de ley que, además de conculcar derechos fundamentales con un procedimiento que no respeta la soberanía popular y con un contenido que va a ser generador de opresión y miseria, son unos Presupuestos de la deuda”, asegura Carlos, uno de los portavoces de la Coordinadora, tras registrar en el Congreso un texto de rechazo a las cuentas públicas elaborado por el colectivo.
Se trata de la segunda acción que ha tenido lugar esta semana en los alrededores de Congreso y al igual que ya ocurriera el pasado martes, la Coordinadora ha decidido no comunicar la protesta por los cauces oficiales a la Delegación del Gobierno en Madrid al entender que el departamento dirigido por Cristina Cifuentes ya tiene conocimiento suficiente de las acciones que se llevarán a cabo para tomar las medidas necesarias que garanticen tanto el desarrollo de la marcha como la circulación del tráfico en la zona. Desde la Delegación insisten en que la Ley Orgánica 9/1983 que regula el derecho de reunión establece que "la celebración de reuniones en lugares de tránsito público y de manifestaciones deberán ser comunicadas por escrito a la autoridad gubernativa correspondiente por los organizadores o promotores de aquellas".
La única protesta comunicada según los cauces que ahora exige el Gobierno fue precisamente la primera, que tuvo lugar el 25 de septiembre, si bien no fue la Coordinadora quien comunicó la protesta sino un particular, que posteriormente fue multado por la Delegación con una sanción de 6.000 euros al entender la institución que no se garantizó la "seguridad de la protesta", que se saldó con 35 detenidos y 64 heridos a raíz de los enfrentamientos entre manifestantes y agentes de los antidisturbios.
Una portavoz de la Coordinadora ha recordado antes de la concentración que estaba previsto que este sábado llegasen a Madrid personas procedentes de otras ciudades de España para participar en la marcha. Como ya ocurriera el 25-S, la Policía Nacional ha retenido y registrado los autobuses que desde diversos puntos de España están llegando a Madrid; además, ha identificado a algunos de sus ocupantes.
Mientras Madrid se manifestaba contra los Presupuestos, Cataluña se teñía de amarillo, símbolo de la protesta contra los recortes en educación. Miles de personas (50.000 según los convocantes y 5.500 según la Guardia Urbana) han marchado por las calles del centro de Barcelona para exigir a las Administraciones que retiren medidas como el aumento de las ratios de alumnos por clase y del incremento de las horas lectivas del profesorado, informa Ivanna Vallespín.
Así te hemos contado el 27-O en directo
Miles de manifestantes han recorrido el centro de Madrid para protestar contra los Presupuestos Generales del Gobierno en una jornada que ha transcurrido sin incidentes
PÚBLICO Madrid 27/10/2012 16:45 Actualizado: 27/10/2012 22:48
22.15- A penas quedan 50 personas en
la Plaza y llegan los camiones de la basura. Mientras, agentes de la
Policía se dedican a quitar los carteles que los manifestantes han
colgado de las vallas.
22.10- Termina la asamblea. Los participantes aseguran que seguirá "la lucha contra Rresupuestos y por un proceso constituyente".
22.07- "Tengo 53 años, he pagado tres crisis que no he creado y estoy harta", dice una mujer en la asamblea.
21.50- Una gran parte de los manifestantes se retiran y cada vez queda menos gente en la glorieta de Neptuno. En estos momentos hay unas 50 personas frente a las vallas y el resto permanecen en la asamblea.
21.40- Unas 300 personas se sientan para participar en una asamblea junto a la fuente de Neptuno (en la imagen, tomada por EFE) . "Juntos podemos. Lo importante que el proceso constituyente llegue a poder del pueblo" dice un manifestante en la asamblea.
21.30- La 'Sólfónica' toca 'En el pozo María Luisa', himno de los mineros asturianos, y 'Grândola, Vila Morena', la histórica canción que utilizaron los 'capitanes de abril' portugueses que se levantaron en 1974 contra la dictadura en la llamada 'Revolución de los Claveles' para iniciar el proceso democrático. Cientos de personas levantan el puño cantando.
21.10- Un portavoz de la Coordinadora 25-S recuerda que a las 22.00 horas se dará por terminada la movilización. De fondo, muchos manifestantes cantan canciones versionadas con letras 'indignadas'. Otros gritan "violencia es no llegar a fin de mes" y "se va acabar la paz social".
- La Delegación de Gobierno que dirige Cristina Cifuentes cifra en alrededor de 3.000 los participantes en la manifestación.
21.10- Muchos manifestantes gritan contra la Policía: "¿Dónde está el número de placa?" y "yo también soy compañero", en referencia al policía infiltrado al que los antidisturbios confundieron con un manifestante y trataron de detenerle el 25 de septiembre.
21.05- La 'Solfónica' (la banda integrada por músicos indignados) comienza a tocar el 'canto a la libertad' de Labordeta.
21.00- Cada vez más gente se suma a la sentada. Tras el "grito mudo", en silencio y con los brazos levantados, los manifestantes vuelven a corear lemas como "dimisión" y "que se vayan". Otros, a causa del frío, emprenden el camino a casa.
Varios grupos de manifestantes se han sentado frente a las vallas policiales que rodean el Congres. E. H.
20.43- Cada vez más personas se van apolpando en la valla. Además, muchos cuelgan de ellas pancartas y carteles con sus mensajes de indgnación, informa Elena Herrera desde el lugar.
20.37- "Lo peor de esta crisis es el retroceso en derechos sociales y laborales", relata a Público Tomasa Contreras, licenciado en Filosofía y actualmente en paro. Su último trabajo fue de jardinera.
- Más 60.000 personas según los convocantes, y unas 5.500 según la Guardia Urbana, se han manifestado esta tarde en Barcelona contra los recortes en la Educación. La marcha ha empezado a las 18.00 horas en la plaza Urquinaona bajo el lema 'Por la educación pública. Ningún recorte', los manifestantes han recorrido la Via Laietana para disolverse pasadas las 19.30 horas en la plaza Sant Jaume. El objetivo de los convocantes es reclamar, entre otras cosas, que las sustituciones se suplan desde el primer día, se baje la ratio de alumnos por aula y se contrate a personal de apoyo.
- Aquí puedes ver la Fotogalería de Público con las imágenes de la manifestación.
20.25- Varios miembros de la Coordinadora 25-S piden a los manifestantes que empiecen a la sentada, pero sólo algunos grupos secundan la propuesta.
20.15- "No debemos, no pagamos", "ya esta bien de tanto desahucio" y "a, anti, anticapitalistas" gritan miles de personas frente al Congreso. La cabecera se ha situado a diez metros de las vallas y aún continúa llegando gente.
20.10- "La frustracion ante la situacion actual" es el motivo que ha llevado a Antonio Gómez, estudiante de Historia, a manifestarse este sábado. De fondo, la gente grita "Rajoy dimite el pueblo no te admite" y "Rajoy, capullo, recortate lo tuyo", cuenta Elena Herrera desde Neptuno.
20.05- La cabecera, con la pancarta que dice "Proceso constituyente. No a los presupuestos de la deuda", llega a Neptuno, donde se encuntran las vallas y el dispositivo policial que protege el Congreso, y la gente grita "menos Policía, más educación".
Un gran despliegue policial ha escoltado a la manifestación desde Plaza de España hasta el Congreso. - Cesar Manso (AFP)
20.00- Algunos manifestantes portan pancartas contra la delegada del Gobierno madrileño, Cristina Cifuentes. Además, a su paso por una sucursal de Bankia, algunos manifestantes han proferido gritos como "usureros", "asesinos", "Bankia recuerda, tenemos una cuenta", informa la agencia EFE.
19.50- Los manifestantes gritan "vergüenza" frente al Banco de España. Mientras, la cabecera avanza por el Paseo del Prado.
- Miles de personas secundan en toda España el llamamiento de la Coordinadora 25-S. Las protestas se repiten en Barcelona, Granada, León, Málaga, Mallorca y la mayoría de capitales de provincia.
19.45- La marcha llega a Cibeles a grito de "Sí se se puede", el lema de la lucha contra los desahucios.
Miles de personas marchan por la Gran Vía de Madrid en dirección al Congreso a grito de "no es un crisis es una estafa". - Dominique Faget (AFP)
19.30- "Menos Policía más educación" gritan miles de manifestantes custodiados por un gran despliegue de agentes y, al menos, 15 furgones policiales.
19.25- La cabecera ya ha pasado la calle Montera y los manifestantes gritan "aquí está la juventud precaria" y "manos arriba esto es un atraco".
19.20- Míriam (en la imagen) tiene 20 años y es estudiante de Magisterio. Ha venido a esta manifestación desde Zaragoza con una amiga y está convencida de que "el Gobierno tiene que ver que nos movemos para defender nuestros derechos".
- También este sábado más de 150.00 personas se han manifestado en Roma contra los recortes y las políticas de austeridad del Gobierno de Monti. El llamado "No Monti day", una iniciativa que ya se celebró en pasado contra el Gobierno de Silvio Berlusconi, había sido convocada por sindicatos, asociaciones ciudadanas y movimientos de izquierdas. "Con la Europa que se rebela, echemos al Gobierno Monti" se leía en la pancarta que abría la manifestación, donde los participantes gritaron eslóganes contra una política que "solo ha generado despidos y precariedad".
19.10- "En España no hay futuro para los jovenes", cuenta desde la manifestación María Benito, una estudiante de quinto de Filología que el año que viene no podrá hacer el máster que tenía previsto porque no va a poder pagarlo.
19.05- Los manifestantes, a su paso por Gran Vía, gritan "no nos mires, únete" y "a ti que estás mirando también te están robando" a todos aquéllos que están haciendo compras en las grandes tiendas de la zona.
Manifestantes llegando a Callao. E. H.
18.55- La cabecera de la manifestación ya ha pasado Callao gritando "no es una crisis es una estafa" y continúa rodeada de furgones de la UIP, los antidisturbios.
18.50- Ángel Escribano, un conductor de la EMT que ha ido a la manifestación con su pareja, que es profesora, y sus hijas de 11 y 6 años, está en la manifestación para que no les "roben" el futuro a sus hijas, relata Elena Herrera desde la manifestación.
18.45- Los indignados gritan "que no queremos, que no nos da la gana ser una colonia de la banca alemana" y "vuestra deuda no la pagamos".
18.40- La cabecera de la marcha llega a Callao gritando a favor de la huelga general. La Policía no ha cortado el tráfico en la Gran Vía, que se encuentra colapsada.
18.25- Arranca la manifestación entre gritos de "el pueblo unido jamás será vencido" y rodeada de un gran dispositivo policial. Un helicóptero de la Policía sobrevuela la marcha.
18.15- Los convocantesa anuncian por megáfono que cuando lleguen al Congreso habrá una sentada. A las 21.45 horas habrá un minuto de silencio de espaldas a la Cámara, a las 22.00 se dará por finalizada convocatoria y se celebrará una asamblea para los que decidan permanecer allí.
18.05- "Ni un muerto más" gritan los manifestantes entre otros lemas contra los desahucios y recuerdan al hombre que se suicidó en Granada.
Pancarta en Plaza de España. Elena Herrera
17:40- Agentes de Policía identifican a varias personas en Plaza España a pocos minutos de que arranque la marcha, según informa Elena Herrera desde el lugar.
14.OO- La Policía Nacional ha desplegado un operativo en las carreteras de acceso a Madrid para retener y registrar a autobuses llenos de manifestantes que vienen de otras provincias para "rodear el Congreso". La 'Acampada Granada' del movimiento 15-M ha anunciado por Twitter que un bus proveniente de esa ciudad ha sido retenido y todos sus pasajeros "registrados e identificados".
- El 25-S vuelve a llamar a rodear el Congreso: Son unos Presupuestos "antiecológicos", "antisociales" e "inhumanos". Por eso hay que plantarles cara. Y hay que hacerlo en la calle. Al menos, eso es lo que piensan los participantes de la coordinadora 25-S, promotores de las movilizaciones que llamaron a rodear de forma pacífica el Congreso el pasado 25 de septiembre, y que vuelven a convocar a la ciudadanía ese mismo espacio, ahora para mostrar el rechazo a las cuentas del Gobierno para 2013.
22.10- Termina la asamblea. Los participantes aseguran que seguirá "la lucha contra Rresupuestos y por un proceso constituyente".
22.07- "Tengo 53 años, he pagado tres crisis que no he creado y estoy harta", dice una mujer en la asamblea.
21.50- Una gran parte de los manifestantes se retiran y cada vez queda menos gente en la glorieta de Neptuno. En estos momentos hay unas 50 personas frente a las vallas y el resto permanecen en la asamblea.
21.40- Unas 300 personas se sientan para participar en una asamblea junto a la fuente de Neptuno (en la imagen, tomada por EFE) . "Juntos podemos. Lo importante que el proceso constituyente llegue a poder del pueblo" dice un manifestante en la asamblea.
21.30- La 'Sólfónica' toca 'En el pozo María Luisa', himno de los mineros asturianos, y 'Grândola, Vila Morena', la histórica canción que utilizaron los 'capitanes de abril' portugueses que se levantaron en 1974 contra la dictadura en la llamada 'Revolución de los Claveles' para iniciar el proceso democrático. Cientos de personas levantan el puño cantando.
21.10- Un portavoz de la Coordinadora 25-S recuerda que a las 22.00 horas se dará por terminada la movilización. De fondo, muchos manifestantes cantan canciones versionadas con letras 'indignadas'. Otros gritan "violencia es no llegar a fin de mes" y "se va acabar la paz social".
- La Delegación de Gobierno que dirige Cristina Cifuentes cifra en alrededor de 3.000 los participantes en la manifestación.
21.10- Muchos manifestantes gritan contra la Policía: "¿Dónde está el número de placa?" y "yo también soy compañero", en referencia al policía infiltrado al que los antidisturbios confundieron con un manifestante y trataron de detenerle el 25 de septiembre.
21.05- La 'Solfónica' (la banda integrada por músicos indignados) comienza a tocar el 'canto a la libertad' de Labordeta.
21.00- Cada vez más gente se suma a la sentada. Tras el "grito mudo", en silencio y con los brazos levantados, los manifestantes vuelven a corear lemas como "dimisión" y "que se vayan". Otros, a causa del frío, emprenden el camino a casa.
Varios grupos de manifestantes se han sentado frente a las vallas policiales que rodean el Congres. E. H.
20.43- Cada vez más personas se van apolpando en la valla. Además, muchos cuelgan de ellas pancartas y carteles con sus mensajes de indgnación, informa Elena Herrera desde el lugar.
20.37- "Lo peor de esta crisis es el retroceso en derechos sociales y laborales", relata a Público Tomasa Contreras, licenciado en Filosofía y actualmente en paro. Su último trabajo fue de jardinera.
- Más 60.000 personas según los convocantes, y unas 5.500 según la Guardia Urbana, se han manifestado esta tarde en Barcelona contra los recortes en la Educación. La marcha ha empezado a las 18.00 horas en la plaza Urquinaona bajo el lema 'Por la educación pública. Ningún recorte', los manifestantes han recorrido la Via Laietana para disolverse pasadas las 19.30 horas en la plaza Sant Jaume. El objetivo de los convocantes es reclamar, entre otras cosas, que las sustituciones se suplan desde el primer día, se baje la ratio de alumnos por aula y se contrate a personal de apoyo.
- Aquí puedes ver la Fotogalería de Público con las imágenes de la manifestación.
20.25- Varios miembros de la Coordinadora 25-S piden a los manifestantes que empiecen a la sentada, pero sólo algunos grupos secundan la propuesta.
20.15- "No debemos, no pagamos", "ya esta bien de tanto desahucio" y "a, anti, anticapitalistas" gritan miles de personas frente al Congreso. La cabecera se ha situado a diez metros de las vallas y aún continúa llegando gente.
20.10- "La frustracion ante la situacion actual" es el motivo que ha llevado a Antonio Gómez, estudiante de Historia, a manifestarse este sábado. De fondo, la gente grita "Rajoy dimite el pueblo no te admite" y "Rajoy, capullo, recortate lo tuyo", cuenta Elena Herrera desde Neptuno.
20.05- La cabecera, con la pancarta que dice "Proceso constituyente. No a los presupuestos de la deuda", llega a Neptuno, donde se encuntran las vallas y el dispositivo policial que protege el Congreso, y la gente grita "menos Policía, más educación".
Un gran despliegue policial ha escoltado a la manifestación desde Plaza de España hasta el Congreso. - Cesar Manso (AFP)
20.00- Algunos manifestantes portan pancartas contra la delegada del Gobierno madrileño, Cristina Cifuentes. Además, a su paso por una sucursal de Bankia, algunos manifestantes han proferido gritos como "usureros", "asesinos", "Bankia recuerda, tenemos una cuenta", informa la agencia EFE.
19.50- Los manifestantes gritan "vergüenza" frente al Banco de España. Mientras, la cabecera avanza por el Paseo del Prado.
- Miles de personas secundan en toda España el llamamiento de la Coordinadora 25-S. Las protestas se repiten en Barcelona, Granada, León, Málaga, Mallorca y la mayoría de capitales de provincia.
19.45- La marcha llega a Cibeles a grito de "Sí se se puede", el lema de la lucha contra los desahucios.
Miles de personas marchan por la Gran Vía de Madrid en dirección al Congreso a grito de "no es un crisis es una estafa". - Dominique Faget (AFP)
19.30- "Menos Policía más educación" gritan miles de manifestantes custodiados por un gran despliegue de agentes y, al menos, 15 furgones policiales.
19.25- La cabecera ya ha pasado la calle Montera y los manifestantes gritan "aquí está la juventud precaria" y "manos arriba esto es un atraco".
19.20- Míriam (en la imagen) tiene 20 años y es estudiante de Magisterio. Ha venido a esta manifestación desde Zaragoza con una amiga y está convencida de que "el Gobierno tiene que ver que nos movemos para defender nuestros derechos".
- También este sábado más de 150.00 personas se han manifestado en Roma contra los recortes y las políticas de austeridad del Gobierno de Monti. El llamado "No Monti day", una iniciativa que ya se celebró en pasado contra el Gobierno de Silvio Berlusconi, había sido convocada por sindicatos, asociaciones ciudadanas y movimientos de izquierdas. "Con la Europa que se rebela, echemos al Gobierno Monti" se leía en la pancarta que abría la manifestación, donde los participantes gritaron eslóganes contra una política que "solo ha generado despidos y precariedad".
19.10- "En España no hay futuro para los jovenes", cuenta desde la manifestación María Benito, una estudiante de quinto de Filología que el año que viene no podrá hacer el máster que tenía previsto porque no va a poder pagarlo.
19.05- Los manifestantes, a su paso por Gran Vía, gritan "no nos mires, únete" y "a ti que estás mirando también te están robando" a todos aquéllos que están haciendo compras en las grandes tiendas de la zona.
Manifestantes llegando a Callao. E. H.
18.55- La cabecera de la manifestación ya ha pasado Callao gritando "no es una crisis es una estafa" y continúa rodeada de furgones de la UIP, los antidisturbios.
18.50- Ángel Escribano, un conductor de la EMT que ha ido a la manifestación con su pareja, que es profesora, y sus hijas de 11 y 6 años, está en la manifestación para que no les "roben" el futuro a sus hijas, relata Elena Herrera desde la manifestación.
18.45- Los indignados gritan "que no queremos, que no nos da la gana ser una colonia de la banca alemana" y "vuestra deuda no la pagamos".
18.40- La cabecera de la marcha llega a Callao gritando a favor de la huelga general. La Policía no ha cortado el tráfico en la Gran Vía, que se encuentra colapsada.
18.25- Arranca la manifestación entre gritos de "el pueblo unido jamás será vencido" y rodeada de un gran dispositivo policial. Un helicóptero de la Policía sobrevuela la marcha.
18.15- Los convocantesa anuncian por megáfono que cuando lleguen al Congreso habrá una sentada. A las 21.45 horas habrá un minuto de silencio de espaldas a la Cámara, a las 22.00 se dará por finalizada convocatoria y se celebrará una asamblea para los que decidan permanecer allí.
18.05- "Ni un muerto más" gritan los manifestantes entre otros lemas contra los desahucios y recuerdan al hombre que se suicidó en Granada.
Pancarta en Plaza de España. Elena Herrera
17:40- Agentes de Policía identifican a varias personas en Plaza España a pocos minutos de que arranque la marcha, según informa Elena Herrera desde el lugar.
14.OO- La Policía Nacional ha desplegado un operativo en las carreteras de acceso a Madrid para retener y registrar a autobuses llenos de manifestantes que vienen de otras provincias para "rodear el Congreso". La 'Acampada Granada' del movimiento 15-M ha anunciado por Twitter que un bus proveniente de esa ciudad ha sido retenido y todos sus pasajeros "registrados e identificados".
- El 25-S vuelve a llamar a rodear el Congreso: Son unos Presupuestos "antiecológicos", "antisociales" e "inhumanos". Por eso hay que plantarles cara. Y hay que hacerlo en la calle. Al menos, eso es lo que piensan los participantes de la coordinadora 25-S, promotores de las movilizaciones que llamaron a rodear de forma pacífica el Congreso el pasado 25 de septiembre, y que vuelven a convocar a la ciudadanía ese mismo espacio, ahora para mostrar el rechazo a las cuentas del Gobierno para 2013.
Miles de personas se manifiestan en Barcelona por los recortes educativos
La Guardia Urbana cifra los asistentes en 5.500 y los organizadores en 50.000
Exigen que se retiren los ajustes que afectan a profesores y alumnos
Profesores, padres y alumnos se manifestaron ayer en el centro de Barcelona. / Massimiliano Minocri
El sector educativo vuelve a tomar la calle por los recortes
impulsados por las administraciones. Miles de personas (60.000 según los
convocantes y 5.500 según la Guardia Urbana) han marchado este sábado
por las calles del centro de Barcelona convocados por el Marco Unitario
de la Comunidad Educativa (MUCE) –que agrupa sindicatos, AMPAs y
estudiantes. Bajo el lema “Por la dignidad y la calidad de la enseñanza
pública”, profesores y familias de todos los niveles educativos han
partido a las seis de la tarde de la plaza Urquinaona, han recorrido Vía
Laietana hasta llegar a plaza Sant Jaume, frente al Palau de la
Generalitat. La manifestación iba encabezada por los secretarios
generales en Cataluña de los sindicatos CC OO y UGT, Joan Carles Gallego
y José María Álvarez, respectivamente, además de Rosa Cañadell, líder
del sindicato Ustec (mayoritario en la educación catalana). También han
asistido los líderes de ICV, Joan Herrera, y ERC, Oriol Junqueras.
La marea amarilla (símbolo de la protesta educativa en Cataluña) ha teñido las calles céntricas de la ciudad, a ritmo de batucada y coreando lemas como 'La educación no es un negocio, es una inversión', 'Ni ERE, ni paro, ni precariedad. Escuela pública y de calidad' o el ya tradicional 'Rigau divina, trabaja de interina', en referencia a la consejera de Enseñanza, Irene Rigau.
Un grupo de padres de Badalona se han encargado de parte de la banda sonora de esta manifestación. Sin dejar de aporrear los tambores, explican que pertenecen a la plataforma 'Badalona es mou' (Badalona se mueve). Su presidenta, Mercè Cabrera, abunda que en la escuela de primaria en que estudia su hijo han perdido 1,5 profesores y se han tenido que dejar desdoblamientos de clase. La situación de su otro hijo, en segundo de ESO no es mejor. De 25 alumnos que eran en clase el año pasado han pasado a 32 este curso. Además, perdieron hace poco dos semanas de clase de catalán porque el profesor se puso enfermo y la lección no se pudo reprender hasta que llegó el sustituto, pasados 10 días lectivos. "Estamos aquí para intentar cambiar toda esta situación, aunque sabemos que es muy difícil", asienta Cabrera.
En actitud reivindicativa y tras una gran pancarta amarilla que rezaba 'Educación especial en lucha', también ha asistido el claustro de la escuela de educación especial Can Rigol de El Prat de Llobregat. Denuncian que este curso necesitaban dos profesores más para atender a 15 alumnos nuevos, pero la plantilla no se ha modificado, cosa que ha obligado a repartir a los recién llegados entre las clases existentes, que "han quedado masificadas". La directora del centro, Rosa Rodríguez, también lamenta que los recortes hayan dejado a muchas familias sin la beca comedor, especialmente en esta escuela donde el precio de este servicio es de 190 euros mensuales, más caro de lo habitual porque se necesitan más monitores. "En nuestro centro los recortes son muy graves porque atentan contra la igualdad de oportunidades de nuestros alumnos, que son discapacitados", alerta un profesor.
Con esta protesta, la comunidad educativa quiere exigir que se sustituyan las bajas del profesorado desde el primer día, y no a partir del undécimo día lectivo como hasta ahora (después de la reforma que aplicó el Ministerio en abril). Los convocantes también piden que el gobierno dé marcha atrás en el aumento de las ratios de alumnos por clase, del incremento de las horas lectivas del profesorado (esta última medida está permitiendo a la Generalitat ahorrarse la contratación de centenares de docentes) y exigen que se pague el 100% del sueldo a los sustitutos (ahora solo se les abona el 85%)
En el manifiesto, el MUCE también censura que se recorten las becas comedor y de libros de texto en un momento en que la pobreza infantil rebasa el 25%. También exigen que se contraten cuidadores y otros especialistas para atender a los alumnos con dificultades de aprendizaje y que se suprima la tasa de 360 euros de la Formación Profesional de grado superior.
La marea amarilla (símbolo de la protesta educativa en Cataluña) ha teñido las calles céntricas de la ciudad, a ritmo de batucada y coreando lemas como 'La educación no es un negocio, es una inversión', 'Ni ERE, ni paro, ni precariedad. Escuela pública y de calidad' o el ya tradicional 'Rigau divina, trabaja de interina', en referencia a la consejera de Enseñanza, Irene Rigau.
Un grupo de padres de Badalona se han encargado de parte de la banda sonora de esta manifestación. Sin dejar de aporrear los tambores, explican que pertenecen a la plataforma 'Badalona es mou' (Badalona se mueve). Su presidenta, Mercè Cabrera, abunda que en la escuela de primaria en que estudia su hijo han perdido 1,5 profesores y se han tenido que dejar desdoblamientos de clase. La situación de su otro hijo, en segundo de ESO no es mejor. De 25 alumnos que eran en clase el año pasado han pasado a 32 este curso. Además, perdieron hace poco dos semanas de clase de catalán porque el profesor se puso enfermo y la lección no se pudo reprender hasta que llegó el sustituto, pasados 10 días lectivos. "Estamos aquí para intentar cambiar toda esta situación, aunque sabemos que es muy difícil", asienta Cabrera.
En actitud reivindicativa y tras una gran pancarta amarilla que rezaba 'Educación especial en lucha', también ha asistido el claustro de la escuela de educación especial Can Rigol de El Prat de Llobregat. Denuncian que este curso necesitaban dos profesores más para atender a 15 alumnos nuevos, pero la plantilla no se ha modificado, cosa que ha obligado a repartir a los recién llegados entre las clases existentes, que "han quedado masificadas". La directora del centro, Rosa Rodríguez, también lamenta que los recortes hayan dejado a muchas familias sin la beca comedor, especialmente en esta escuela donde el precio de este servicio es de 190 euros mensuales, más caro de lo habitual porque se necesitan más monitores. "En nuestro centro los recortes son muy graves porque atentan contra la igualdad de oportunidades de nuestros alumnos, que son discapacitados", alerta un profesor.
Con esta protesta, la comunidad educativa quiere exigir que se sustituyan las bajas del profesorado desde el primer día, y no a partir del undécimo día lectivo como hasta ahora (después de la reforma que aplicó el Ministerio en abril). Los convocantes también piden que el gobierno dé marcha atrás en el aumento de las ratios de alumnos por clase, del incremento de las horas lectivas del profesorado (esta última medida está permitiendo a la Generalitat ahorrarse la contratación de centenares de docentes) y exigen que se pague el 100% del sueldo a los sustitutos (ahora solo se les abona el 85%)
En el manifiesto, el MUCE también censura que se recorten las becas comedor y de libros de texto en un momento en que la pobreza infantil rebasa el 25%. También exigen que se contraten cuidadores y otros especialistas para atender a los alumnos con dificultades de aprendizaje y que se suprima la tasa de 360 euros de la Formación Profesional de grado superior.
Los Mossos forcejean con ‘yayoflautas’ que intentaban entrar en la Generalitat
Unos 300 miembros del colectivo de indignados jubilados protestan en Barcelona
Algunos sufren caídas durante los incidentes, aunque no se registra ningún herido
Forcejeo entre los Mossos y los "yayoflautas" cuando han intentado entrar en el Palau de la Generalitat. / Toni Garriga (EFE)
La protesta del colectivo de los yayoflautas, los indignados
jubilados, ha vivido algunos momentos de tensión esta mañana cuando
varias personas han intentado acceder al interior del Palau de la
Generalitat, lo que ha provocado un forcejeo con los Mossos d'Esquadra,
así como la caída de algunos manifestantes mayores.
Los yayoflautas han realizado hoy un acto sorpresa con motivo de su primer aniversario, que ha recibido el apoyo de miembros del colectivo de otras partes de España, como Madrid y la Comunidad Valenciana.
Unos 300 miembros de este colectivo se han concentrado primero en la avenida de la Catedral de Barcelona y posteriormente se han dirigido hacia la plaza de Sant Jaume, donde han intentado acceder al interior de la sede del Gobierno de la Generalitat.
La policía autonómica ha intentado evitar el acceso al Palau de los yayoflautas, lo que ha provocado un forcejeo y la caída al suelo de varios protestantes aunque, según los Mossos d'Esquadra, no se han registrado incidencias destacables ni ningún herido.
Después de estos momentos de tensión, ha vuelto la calma y dos representantes del colectivo han entregado al responsable del operativo de los Mossos un manifiesto con las tres principales reivindicaciones, aunque su primera intención era poder entrevistarse con algún representante del Ejecutivo catalán.
Según ha explicado Celestino, un representante de este colectivo, el documento reclama la creación de una república catalana como "solución" a los problemas de Cataluña, rechaza los recortes y constata que "en estos momentos, la democracia está más en la calle que en el Govern o en el Parlament".
Celestino ha denunciado que varios miembros del colectivo han recibido "empujones" y "golpes" por parte de los Mossos, incluido él mismo y que, junto a otro compañero -Alfonso-, ha tenido que ser atendido en una ambulancia por un ataque de ansiedad, según su relato.
"Ha sido un poco salvaje", ha lamentado Celestino, quien ha agregado: "El Govern no tiene conciencia. La desobediencia civil pacífica no les hace gracia".
Tras los momentos de tensión en Sant Jaume, los "yayoflautas" han proseguido su protesta hasta la plaza de Cataluña, donde han realizado una asamblea.
Los yayoflautas han realizado hoy un acto sorpresa con motivo de su primer aniversario, que ha recibido el apoyo de miembros del colectivo de otras partes de España, como Madrid y la Comunidad Valenciana.
Unos 300 miembros de este colectivo se han concentrado primero en la avenida de la Catedral de Barcelona y posteriormente se han dirigido hacia la plaza de Sant Jaume, donde han intentado acceder al interior de la sede del Gobierno de la Generalitat.
La policía autonómica ha intentado evitar el acceso al Palau de los yayoflautas, lo que ha provocado un forcejeo y la caída al suelo de varios protestantes aunque, según los Mossos d'Esquadra, no se han registrado incidencias destacables ni ningún herido.
Después de estos momentos de tensión, ha vuelto la calma y dos representantes del colectivo han entregado al responsable del operativo de los Mossos un manifiesto con las tres principales reivindicaciones, aunque su primera intención era poder entrevistarse con algún representante del Ejecutivo catalán.
Según ha explicado Celestino, un representante de este colectivo, el documento reclama la creación de una república catalana como "solución" a los problemas de Cataluña, rechaza los recortes y constata que "en estos momentos, la democracia está más en la calle que en el Govern o en el Parlament".
Celestino ha denunciado que varios miembros del colectivo han recibido "empujones" y "golpes" por parte de los Mossos, incluido él mismo y que, junto a otro compañero -Alfonso-, ha tenido que ser atendido en una ambulancia por un ataque de ansiedad, según su relato.
"Ha sido un poco salvaje", ha lamentado Celestino, quien ha agregado: "El Govern no tiene conciencia. La desobediencia civil pacífica no les hace gracia".
Tras los momentos de tensión en Sant Jaume, los "yayoflautas" han proseguido su protesta hasta la plaza de Cataluña, donde han realizado una asamblea.
Puntadas sin hilo
Arturo González
Título
27 oct 2012
El Rey ha ido a la India, pero ha vuelto,
Vicios y virtudes de la política,
¿Se acuerdan de cuando esto era una democracia?,
Cosas que aún me emocionan,
Érase una vez el capitalismo,
El hundimiento de una nación.
Operación Opus,
¡Rescatados!,
La prima de riesgo se desboca,
Sorpresa, sorpresa, más recortes,
Rajoy Corazón de León ha comenzado la Cruzada para conquistar Catalunya,
El Príncipe desde Asturias quiere apalancar España,
El Sindicato de Funcionarios esquirolea y se desentiende de la huelga del 14 porque no es el momento pero no aclara cuándo es el momento,
Hoy solo ha habido 517 desahucios,
¿Ha sido un fracaso el 25-S o un éxito?,
¿Qué pasa si se cierra Bankia?,
La mentira como instrumento político,
Ser español a la fuerza, ¿Cuántos fachas habrá en España?,
Diferencias entre imputado y procesado,
Los policías se manifiestan en Madrid para quejarse por las mismas razones por las que aporrean a los ciudadanos en otras manifestaciones; no los vigilaba nadie.
No sé cuál poner.
Se admiten títulos.
—
Algunos títulos aportados por los lectores:
De la Europa social a la del tupper. (lombardo)
La explosión de una burbuja se mide en megatones de deshumanidad. (lombardo)
Cuando lo más esperanzador de Europa era su pasado. (lombardo)
Muertes en el Estrecho. (kierkegaard)
¿Ha matado el Rey un tigre de Bengala? (kierkegaard)
El partido populista va a por todas. (1 que pasaba)
El Gobierno perjudica seriamente la salud. (ANPV66)
Año Mariano. (ANPV66)
Los policías se manifiestan hoy frente al Ministerio de Interior para protestar contra los recortes de Rajoy
por Kaos. Estado Español
Sábado, 27 de Octubre de 2012 12:45
Harían bien estos piquetes del capital en dirigir sus herramientas
represivas contra quienes son los causantes de la explotación y la
opresión del pueblo, en vez de seguir como mercenarios al servicio de
los poderosos(pagados mayoritariamente con dinero obtenidos con
impuestos de los trabajadores).
Los sindicatos policiales han convocado una concentración hoy frente a la sede del Ministerio del Interior
en Madrid para protestar por los recortes del Ejecutivo de Mariano
Rajoy y cómo afectan a la seguridad pública, "provocando que los
profesionales del sector hayan experimentado la mayor precariedad
salarial de la historia reciente del Cuerpo Nacional de Policía,
situándose a la cola de los Cuerpos de seguridad en cuanto a sueldos y
derechos laborales".
La macroconcentración ha sido convocada por la Confederación Española de Policía (CEP), la Unión Federal de Policía (UFP) y el Sindicato Profesional de Policía (SPP) a partir de las 12.00 horas y, como gesto simbólico para denunciar la retirada de la paga extraordinaria de diciembre, durante el acto se sorteará una cesta de navidad para que las familias de los agentes "puedan al menos recibir una ayuda en las peores navidades de los últimos años".
Los sindicatos policiales quieren denunciar así que los "tijeretazos" que ha sufrido este sector desde 2010 "en diferentes complementos, descensos en la productividad, recorte primero y eliminación después en las pagas extraordinarias, congelaciones salariales en 2012 y 2013, mantenimiento de cuotas dobles en el pago de Muface o clases pasivas pese a lo anterior y además, y no menos importante, eliminación del disfrute de días de asuntos particulares o los adicionales que se suman a los de vacaciones tras el cumplimiento de seis trienios de servicio".
Estas medidas, señalan las centrales sindicales, hacen que cualquier policía nacional "convierta en un milagro el poder llegar a fin de mes en una profesión en la que se presta servicio fuera del entorno familiar y social habitual de los agentes, con el gasto adicional que eso conlleva" y han provocado, además, una "erosión anímica inédita" en el colectivo policial.
Igualmente, CEP, UFP y SPP critican la media aplicada desde el pasado día 16 que "obliga" a los policías a acudir a su puesto de trabajo aun estando enfermos "por la pérdida de emolumentos que sufrirían si hicieran lo contrario" y, al mismo tiempo, recuerdan que los recortes presupuestarios introducidos en el Ministerio del Interior, de un 4,31% en 2012 y un 3,6% en 2013, la partida destinada al pago de los gastos en el Cuerpo Nacional de Policía "ya está a punto de caer por debajo de los 3.000 millones de euros, en un triste récord de descenso de la inversión pública en seguridad".
[En la imagen, manifestación de policías en Valencia, el pasado mes de julio. EFE]
Así, recuerdan que "los 71.709 policías en activo, además de los varios miles que se encuentran en situación de Segunda Actividad no quieren ser unos privilegiados frente al resto de funcionarios" pero sí que se reconozca "la especial singularidad de las condiciones de trabajo en las que los policías desarrollan su actividad laboral".
Finalmente, recuerdan que se trata del único operador de seguridad que presta servicio las 24 horas del día, los 365 días del año, es un sector que lleva años "con medios deficientes" para la prestación eficaz del servicio, tiene unos "horarios desestructurados" que inciden en la conciliación de la vida laboral y familiar, realizando guardias no remuneradas "como sí hacen a otros colectivos de funcionarios" y este Cuerpo está "privado del derecho de huelga", lo que les coloca "en situación de indefensión respecto a quienes les dirigen".
La macroconcentración ha sido convocada por la Confederación Española de Policía (CEP), la Unión Federal de Policía (UFP) y el Sindicato Profesional de Policía (SPP) a partir de las 12.00 horas y, como gesto simbólico para denunciar la retirada de la paga extraordinaria de diciembre, durante el acto se sorteará una cesta de navidad para que las familias de los agentes "puedan al menos recibir una ayuda en las peores navidades de los últimos años".
Los sindicatos policiales quieren denunciar así que los "tijeretazos" que ha sufrido este sector desde 2010 "en diferentes complementos, descensos en la productividad, recorte primero y eliminación después en las pagas extraordinarias, congelaciones salariales en 2012 y 2013, mantenimiento de cuotas dobles en el pago de Muface o clases pasivas pese a lo anterior y además, y no menos importante, eliminación del disfrute de días de asuntos particulares o los adicionales que se suman a los de vacaciones tras el cumplimiento de seis trienios de servicio".
Estas medidas, señalan las centrales sindicales, hacen que cualquier policía nacional "convierta en un milagro el poder llegar a fin de mes en una profesión en la que se presta servicio fuera del entorno familiar y social habitual de los agentes, con el gasto adicional que eso conlleva" y han provocado, además, una "erosión anímica inédita" en el colectivo policial.
Igualmente, CEP, UFP y SPP critican la media aplicada desde el pasado día 16 que "obliga" a los policías a acudir a su puesto de trabajo aun estando enfermos "por la pérdida de emolumentos que sufrirían si hicieran lo contrario" y, al mismo tiempo, recuerdan que los recortes presupuestarios introducidos en el Ministerio del Interior, de un 4,31% en 2012 y un 3,6% en 2013, la partida destinada al pago de los gastos en el Cuerpo Nacional de Policía "ya está a punto de caer por debajo de los 3.000 millones de euros, en un triste récord de descenso de la inversión pública en seguridad".
[En la imagen, manifestación de policías en Valencia, el pasado mes de julio. EFE]
Recortes y discriminación
"Los recortes en los complementos salariales de los policías, que suponen más de la mitad del sueldo, ha sido una de las partidas que más ha sufrido este descenso. Sólo en el Programa de Acción Social, la cifra de recorte es tan brutal que llega a su nivel más bajo desde el año en que se puso en marcha, en 2005", han indicado.Así, recuerdan que "los 71.709 policías en activo, además de los varios miles que se encuentran en situación de Segunda Actividad no quieren ser unos privilegiados frente al resto de funcionarios" pero sí que se reconozca "la especial singularidad de las condiciones de trabajo en las que los policías desarrollan su actividad laboral".
Finalmente, recuerdan que se trata del único operador de seguridad que presta servicio las 24 horas del día, los 365 días del año, es un sector que lleva años "con medios deficientes" para la prestación eficaz del servicio, tiene unos "horarios desestructurados" que inciden en la conciliación de la vida laboral y familiar, realizando guardias no remuneradas "como sí hacen a otros colectivos de funcionarios" y este Cuerpo está "privado del derecho de huelga", lo que les coloca "en situación de indefensión respecto a quienes les dirigen".
INFORME DE AMNESTY INTERNATIONAL SOBRE LA ACTUACION DE LAS FUERZAS DE SEGURIDAD EN EUROPA
En Valencia, la policía custodia a un detenido durante una protesta por recortes al presupuesto educativo.
El documento de AI denuncia que personas que se
manifestaban pacíficamente, contra las medidas de austeridad aprobadas
en la UE, recibieron golpes y patadas, fueron rociados con gas
lacrimógeno y heridos por balas de goma.
Por Adrián Pérez
Página 12
Abuso policial para reprimir las protestas
En Valencia, la policía custodia a un detenido durante una protesta por recortes al presupuesto educativo.
Imagen: EFE
Por Adrián Pérez
Página 12
En La
letra con sangre entra, pintura de Francisco de Goya, un maestro golpea
a su alumno en las nalgas, con un perro a sus pies, mientras dos
estudiantes que ya recibieron la tunda observan la escena con gesto de
dolor. En el Carnaval veneciano que atraviesa la Eurozona, el maestro
viene disfrazado de troika europea, el perro puede ser cualquier de los
gobiernos que aceptan la receta neoliberal sin chistar y los alumnos se
visten de pueblos que resisten, como pueden, el plan de ajuste. La
crisis económica es acompañada por la violencia de un Estado que aplica
los recortes con rigor y no escatima en apalear a la ciudadanía europea.
“¿Qué tienen en común la policía de España, Grecia y Rumania?”, lanzó
Amnistía Internacional España, desde su cuenta de Twitter (@amnistiaes
pana), como si se tratara de una trivia. La organización humanitaria
develó ayer el misterio con la presentación de “Actuación policial en
las manifestaciones en la Unión Europea”. Basado en testimonios
recogidos en esos tres países, el documento denuncia que personas que se
manifestaban pacíficamente, contra las medidas de austeridad aprobadas
en la UE, recibieron golpes y patadas, fueron rociados con gas
lacrimógeno y heridos por balas de goma. Además, pone el acento en la
actuación de la Justicia, afirmando que el abuso policial no es
investigado ni castigado y, en el caso de que se investigue, las
demandas son cajoneadas al no ser identificados los agentes implicados.
La de Paloma Aznar es una de las historias que pinta esa represión que flota en el aire europeo, como los gases lanzados por la policía antidisturbio de su país. Con el arribo de la acampada de los indignados del 15-M, la escritora, guionista, cineasta y periodista española comprendió que había historias que contar sobre la crisis, las protestas y los movimientos sociales en España. Entonces se instaló en la madrileña Puerta del Sol. Ya había hecho reportajes sobre el movimiento okupa y los abusos bancarios.
Y documentó los primeros casos de abuso policial en una manifestación ante el Ministerio de Interior, durante las protestas contra el viaje del papa Benedicto XVI a Madrid, en agosto del año pasado. “Según se ha ido endureciendo la crisis, han aumentado las protestas y ha crecido la violencia policial contra manifestantes y periodistas, que se han convertido en testigos incómodos de abusos y agresiones”, señala la mujer, que lleva más de un año registrando golpizas a manifestantes y periodistas.
Aunque estuvo en Irak, asistió a manifestaciones en Egipto y viajó a los territorios palestinos en ocho ocasiones, la escritora –con la experiencia de haber recorrido escenarios de violencia– afirma de entrada: “No me podía imaginar que la policía española cometería las atrocidades que ha cometido en el último tiempo, especialmente, durante los dos últimos años”. “Comencé a ver cosas increíbles para un país europeo democrático”, insiste, consultada sobre las razones que la empujaron a cubrir las protestas en su país.
–¿A qué atrocidades se refiere? –pregunta este diario.
–Desde que comenzó la crisis, 23 personas han perdido un ojo por las balas de goma disparadas por los agentes de las UIP (antidisturbios de la Unidad de Intervención Policial) y dos han muerto. Todos los casos de los que te hablo están archivados, no se han investigado y no hay ningún policía sancionado. El último muerto es Iñigo Cabacas, en Bilbao, el pasado mes de abril. Estuvo en coma durante 72 horas y murió por lesiones cerebrales tras recibir el impacto de una bala de goma. La agresión de Iñigo no se produjo en una manifestación. La policía vasca (Ertzaintza) le disparó a la cabeza, durante unos alborotos callejeros, tras un partido de fútbol. Una mujer de 59 años, también vasca, llamada Rosa Zarra, falleció por una perforación intestinal provocado por una bala de goma.
Aznar también sufrió la violencia de la policía española. En la protesta contra el viaje del Papa, la policía encerró a los manifestantes en la calle Carretas para sacarlos de la Puerta de Sol, que se llenaba de peregrinos católicos. “En Carretas cargaron contra la gente, vi a varios antidisturbios golpeando a una chica en el suelo, en un callejón, tras el edificio de la Presidencia de la Comunidad de Madrid –señala Aznar–. Corrí hacia allí pensando que cuando me viesen con una cámara dejarían de pegarle a la chica, pero se volvieron y me zurraron a mí.” La cineasta recuerda que eran antidisturbios con cascos y escudos, la mayoría sin número de identificación. “A mí me golpeó uno, pero sobre la chica había cinco, desalojando había varias unidades de UIP, serían unos cien agentes”, reconstruye. “¿Sabes? ¡Ahora vamos a trabajar con casco!”, cuenta la situación en la que trabajan los periodistas españoles.
La periodista siente miedo y señala que en su país impera la doctrina del shock. “España va a recibir pronto el rescate, la tensión aumentará, y la violencia en las calles también”, vaticina y se pregunta: “Si la policía está para protegernos, ¿quién nos protege de la policía?”.
La de Paloma Aznar es una de las historias que pinta esa represión que flota en el aire europeo, como los gases lanzados por la policía antidisturbio de su país. Con el arribo de la acampada de los indignados del 15-M, la escritora, guionista, cineasta y periodista española comprendió que había historias que contar sobre la crisis, las protestas y los movimientos sociales en España. Entonces se instaló en la madrileña Puerta del Sol. Ya había hecho reportajes sobre el movimiento okupa y los abusos bancarios.
Y documentó los primeros casos de abuso policial en una manifestación ante el Ministerio de Interior, durante las protestas contra el viaje del papa Benedicto XVI a Madrid, en agosto del año pasado. “Según se ha ido endureciendo la crisis, han aumentado las protestas y ha crecido la violencia policial contra manifestantes y periodistas, que se han convertido en testigos incómodos de abusos y agresiones”, señala la mujer, que lleva más de un año registrando golpizas a manifestantes y periodistas.
Aunque estuvo en Irak, asistió a manifestaciones en Egipto y viajó a los territorios palestinos en ocho ocasiones, la escritora –con la experiencia de haber recorrido escenarios de violencia– afirma de entrada: “No me podía imaginar que la policía española cometería las atrocidades que ha cometido en el último tiempo, especialmente, durante los dos últimos años”. “Comencé a ver cosas increíbles para un país europeo democrático”, insiste, consultada sobre las razones que la empujaron a cubrir las protestas en su país.
–¿A qué atrocidades se refiere? –pregunta este diario.
–Desde que comenzó la crisis, 23 personas han perdido un ojo por las balas de goma disparadas por los agentes de las UIP (antidisturbios de la Unidad de Intervención Policial) y dos han muerto. Todos los casos de los que te hablo están archivados, no se han investigado y no hay ningún policía sancionado. El último muerto es Iñigo Cabacas, en Bilbao, el pasado mes de abril. Estuvo en coma durante 72 horas y murió por lesiones cerebrales tras recibir el impacto de una bala de goma. La agresión de Iñigo no se produjo en una manifestación. La policía vasca (Ertzaintza) le disparó a la cabeza, durante unos alborotos callejeros, tras un partido de fútbol. Una mujer de 59 años, también vasca, llamada Rosa Zarra, falleció por una perforación intestinal provocado por una bala de goma.
Aznar también sufrió la violencia de la policía española. En la protesta contra el viaje del Papa, la policía encerró a los manifestantes en la calle Carretas para sacarlos de la Puerta de Sol, que se llenaba de peregrinos católicos. “En Carretas cargaron contra la gente, vi a varios antidisturbios golpeando a una chica en el suelo, en un callejón, tras el edificio de la Presidencia de la Comunidad de Madrid –señala Aznar–. Corrí hacia allí pensando que cuando me viesen con una cámara dejarían de pegarle a la chica, pero se volvieron y me zurraron a mí.” La cineasta recuerda que eran antidisturbios con cascos y escudos, la mayoría sin número de identificación. “A mí me golpeó uno, pero sobre la chica había cinco, desalojando había varias unidades de UIP, serían unos cien agentes”, reconstruye. “¿Sabes? ¡Ahora vamos a trabajar con casco!”, cuenta la situación en la que trabajan los periodistas españoles.
La periodista siente miedo y señala que en su país impera la doctrina del shock. “España va a recibir pronto el rescate, la tensión aumentará, y la violencia en las calles también”, vaticina y se pregunta: “Si la policía está para protegernos, ¿quién nos protege de la policía?”.
Los policías protestan ante Interior por los recortes del Gobierno
La concentración ha contado con el apoyo de unos 3.000 agentes llegados a Madrid desde varias ciudades españolas
EFE Madrid 27/10/2012 15:20 Actualizado: 27/10/2012 17:39 PúblicoAgentes de Policía se manifiestan contra los recortes frente al Ministerio del Interior.- Sergio Barrenechea (EFE)
Los sindicatos convocantes, la Confederación Española de Policía (CEP), la Unión Federal de Policía (UFP) y el Sindicato Profesional de Policía (SPP), que ya salieron a la calle el pasado 2 de septiembre, se han manifestado el mismo día en que un dispositivo de entre 1.300 y 1.500 agentes antidisturbios ha sido desplegado en la capital con motivo de la manifestación convocada por la Coordinadora 25-S y que pretende "rodear" el Congreso de nuevo.
En el paseo de la Castellana, frente al Ministerio, los manifestantes han utilizado pitos, petardos y la música de una charanga para denunciar que la Policía Nacional es un "colectivo débil" que cuenta con los "sueldos más bajos del sector" y que ha sufrido "recortes de todas las formas posibles".
Convocados bajo el lema "Haz un corte a los que te recortan", los manifestantes han protestado cantando canciones como "Érase una vez un circo" o una versión para policías del tema popular de Manolo Escobar "Soy minero", que reza: "Yo no maldigo mi suerte, porque 'madero' nací (..,)".
Los manifestatnes han reclamado al Gobierno que se dote al Cuerpo de un Estatuto Profesional
Con su protesta, que ha transcurrido en un ambiente tranquilo, festivo y sin apenas presencia policial, los sindicatos han pedido al Gobierno que les proteja frente a posibles nuevos recortes, que evite que la crisis económica afecte a los medios materiales para luchar contra la delincuencia y que se dote al Cuerpo Nacional de Policía de un Estatuto Profesional.
El secretario general de la Confederación Española de Policía (CEP), Ignacio López, ha asegurado que los policías, al igual que los médicos o los profesores, tienen "derecho" a "protestar" y que por ello hoy le han exigido al ministro del Interior, Jorge Fernández Díaz, que les proteja de los "rigores de la crisis" porque ya han sufrido "bastante".
Por su parte, el secretario general de la Unión Federal de Policía, Javier Arrillaga, ha pedido un "reconocimiento expreso" de la función que desempeña el Cuerpo Nacional de Policía, que a juicio de José Ángel Fuentes, presidente del Sindicato Profesional de Policías (SPP), debe ser un "cuerpo bien dotado, con un estatuto diferenciado".
"No sólo es una concentración contra los recortes, aunque también, porque los recortes que se hacen en seguridad afectan al ciudadano, sino que queremos el reconocimiento que nos merecemos por parte del Ministerio", ha explicado Fuentes.
En la concentración se han podido ver numerosas banderas de España y pancartas con leyendas como "Menos seguridad del Policía equivale a una sociedad más insegura", "Policía en lucha" o "Los policías no aguantamos más".
Los policías exigen un mayor reconocimiento de su labor por parte de las instituciones
Además, grupos de policías y familiares han inmortalizado su paso por la concentración de Madrid tomándose una foto con la pancarta en la que se leía el lema bajo el que han sido convocados, o con un muñeco disfrazado con el uniforme de la Policía Nacional que, en alusión a los recortes, llevaba al hombro una tijera gigante.
El Sindicato Unificado de Policía (SUP), mayoritario con sus 32.000 afiliados, no ha secundado esta protesta porque previamente, y por motivos similares, había convocado "una gran manifestación" para el 17 de noviembre, en la que han sido invitados agentes de los Mossos d'Esquadra, Ertzaintza y policías locales.
Gritos de "¡manos arriba, esto es un atraco!" en la ceremonia de los Premios Príncipe de Asturias
Los manifestantes se concentraron en las proximidades del Teatro Campoamor de Oviedo mientras dentro el príncipe pedía superar los "desencuentros" entre los españoles "en el marco del Estado de Derecho".
PÚBLICO.ES/AGENCIAS Oviedo 26/10/2012 18:48 Actualizado: 26/10/2012 22:52Protestas contra los recortes en las inmediaciones del Teatro Campoamor.-Felix Ordonez
Noticias relacionadas
-
Casillas y Xavi vuelven a ganar el Príncipe de Asturias de los Deportes
-
La Federación Española de Bancos de Alimentos, Premio Príncipe de Asturias de la Concordia
-
Príncipe de Asturias de Cooperación para Cruz Roja Internacional
-
Príncipe de Asturias al gran narrador de la realidad estadounidense
-
Premio Príncipe de Asturias al avance en la inmunología
Durante el acto, el Príncipe ha pedido superar los "desencuentros" entre los españoles "en el marco de nuestro Estado de Derecho". "Los desafíos que tiene la España del siglo XXI sólo se podrán superar "si todos los españoles caminamos en la misma dirección", ha asegurado.
Los asistentes a las protestas abuchearon al inicio de la ceremonia, especialmente en el momento en que llegaron la Reina Sofía, el Príncipe Felipe Borbón y a la Princesa Letizia Ortiz. En la señal ofrecida por el canal 24 horas de Televisión Española se han podido escuchar durante unos instantes el sonido de las protestas, pero inmediatamente se ha silenciado.
La concentración estaba convocada por diferentes colectivos, entre los figuraban sindicatos del personal de la Administración y de clase, colectivos de profesores de la escuela pública, organizaciones políticas y movimientos sociales, como el 15M.
Los asistentes a la concentración, que ocuparon buena parte de la plaza de la Escandalera silbaron y abuchearon, algunos con bocinas, la llegada de cada uno de los premiados, llegando el instante más álgido de la protesta en el momento en que aparecieron frente al Campoamor la reina, el heredero a la Corona de España, Felipe Borbón, y su esposa, la asturiana Letizia Ortiz.
"En estos tiempos de crisis no deberían merecer ni un euro este tipo de fastos"
También se escucharon gritos como "Manos arriba, esto es un atraco", "No nos representan", "Vergüenza", "Fartones" (glotones) o "España mañana será republicana". También se pudieron ver ondeando numerosas banderas republicanas de España, así como pancartas de otros colectivos, como los trabajadores de la entidad bancaria Cajastur.
Del colectivo de profesores de la Escuela Pública, Primi Avella ha señalado que los convocantes quisieron "aprovechar esta ocasión para expresar todo el malestar y el cabreo que tenemos con los recortes". Además, considera que "en estos tiempos de crisis no deberían merecer ni un euro este tipo de fastos, recordando que la Fundación Príncipe está llena de banqueros, de gente de la nobleza, y de la elite política y económica de este país".
"Los españoles vivimos momentos decisivos"
Durante la ceremonia, el príncipe Felipe ha pedido superar los "desencuentros" entre los españoles "en el marco de nuestro Estado de Derecho que tantos sacrificios nos ha costado alcanzar". "Desde el año 1978 millones de españoles hemos sido educados en libertad y democracia y hemos aprendido a expresar nuestras opiniones y a escuchar y valorar ideas distintas a las nuestras dentro de ese marco", ha añadido.El Príncipe de Asturias ha asegurado que los grandes desafíos que tiene la España del siglo XXI sólo se podrán superar "si todos los españoles colaboramos y caminamos en la misma dirección" y ha señalado que las diferencias se deben de resolver "respetando las leyes en el marco de nuestro Estado de Derecho, que tantos sacrificios nos costado alcanzar".
"A lo largo de estos años de democracia, todos juntos, hemos acumulado un patrimonio extraordinario de libertad, de respeto y de civismo, como nunca antes en nuestra Historia, que debemos cuidar, proteger y -como toda obra humana- acrecentar y perfeccionar", ha manifestado.
"Los sacrificios que están haciendo tantos españoles acentúan el deber de todas las instituciones del Estado"
El
príncipe ha hecho mención a los "tiempos extraordinariamente complejos y
difíciles" que vive España pero ha apuntado también la necesidad de "mirar hacia el futuro con esperanza y con responsabilidad, tiempos para la convivencia". A su juicio, los representantes políticos "tienen legítimamente la gran tarea de encauzar y dar respuesta a los graves problemas que vivimos, especialmente a los derivados de la crisis económica". Y añade que "no cabe mayor exigencia de compromiso y responsabilidad de los poderes públicos ante los ciudadanos.
Para Don Felipe "los sacrificios que están haciendo tantos españoles, la grave preocupación e incertidumbre de otros muchos por su futuro, acentúan aún más ese deber de todas las instituciones del Estado de servir a los ciudadanos, de animar su vitalidad y confianza, atendiendo en todo momento a los intereses generales y teniendo como norte su bienestar".
"La crisis económica actual, nos obliga, además, a una reflexión rigurosa orientada a que ese espíritu colectivo recupere, también, valores extraviados en los últimos tiempos, aunque nunca definitivamente perdidos. Hoy, aquí mismo, nos hemos acercado a los ejemplos de generosidad, integridad, esfuerzo y excelencia que representan nuestros premiados", ha señalado.
Elogio a los premiados
El Príncipe de Asturias ha elogiado a los premiados ya que "dedican su trabajo y su tiempo a la búsqueda de la verdad y de la belleza y nos ayudan a encontrar caminos para avanzar hacia el futuro". "Nuestros premiados nos ayudan a mantener viva la esperanza", ha remarcado, dando la enhorabuena a todos y cada uno de los premiados.Ha destacado "los valores de la amistad y el compañrismo más allá de la máxima rivalidad de sus respectivos equipos" de los galardonados con el Premio Príncipe de Asturias de los Deportes, Iker Casillas y Xavi Hernández. Ha señalado que "ellos, de alguna forma, también representan hoy aquí a todos los que en el mundo del deporte cultivan estos valores humanos, fomentan la convivencia y la solidaridad y administran con prudencia el éxito y la fama".
Del arquitecto Rafel Moneo, Premio Príncipe de Asturias de las Artes 2012, don Felipe ha destacado que "trabaja con la lucidez e inteligencia de quien es plenamente consciente de que su labor puede y debe mejorar la vida de sus semejantes". "No es ajena a esta actitud su vocación académica, su convicción de que la práctica de la arquitectura tiene que dialogar con la enseñanza y la reflexión intelectual", ha apuntado.
Respecto a la galardonada con el Premio Príncipe de Asturias de Ciencias Sociales 2012, la filósofa Martha Nussbaum, ha resaltado su estudio de "cómo potenciar sentimientos y emociones positivas como la amistad y el amor e intentar acabar para siempre con otras negativas como la violenca".
El príncipe también ha elogiado la labor del galardonado en la categoría de Comunicación y Humanidades 2012, Shigeru Miyamoto, del que ha destacado su capacidad con los videojuegos "para provocar emociones y sentimientos positivos en los jugadores y también el aspecto educativo de sus creaciones, que huyen siempre de la violencia".
Del biólogo británico Sir Gregory Winter y el patólogo estadounidense Richard Alan Lerner, Premio de Investigación Científica y Técnica, el Príncipe ha manifestado que "sus trabajos ilustran las posibilidades inmensas de la Biotecnología actual para intervenir en células y materiales biológicos, modificando sus capacidades y encauzando su actividad hacia aplicaciones de gran utilidad".
Puntadas sin hilo
Arturo González
Somos todos unos indecentes
26 oct 2012
Estoy hasta los cojones de que se diga que las leyes se pueden cambiar, pero no se cambian.
Un hombre se ha suicidado en Granada ante la inminencia de desahucio de su vivienda por impago.
A este hombre ya le da igual que cambien o no las leyes.
Un grupo de personas llevan durmiendo varias noches al raso delante de Bankia en un intento de evitar el desahucio de 50 familias amenazadas de ello por el tristemente famoso banco. Bankia replica que no negocia con colectivos, y los acampados deben continuar durmiendo en la calle.
En los pasados cuatro años se han llevado a cabo 350.000 desahucios. Últimamente, 517 cada día. Cada día.
Varios jueces han hecho un estudio de la procedencia de esta figura del desahucio. Han llegado a la conclusión de que la banca juega con ventaja, que se aprovecha de ¡una legislación de 1909, mal reformada en el año 2000!, practica malas artes comerciales, vende productos financieros engañando y sin valorar las posibilidades reales del deudor.
Y proponen medidas que alivien la desgracia de estos atribulados ciudadanos: que las ayudas a los bancos se extiendan obligatoriamente a esos clientes, que los jueces a la hora de dictar sentencia puedan tener en cuenta las desgracias familiares, las situaciones de paro, los accidentes de trabajo, las enfermedades persistentes.
El Consejo General del Poder Judicial ha archivado el informe sin debatirlo.
¿Pero cómo podemos permanecer impávidos ante estas tropelías y villanías sociales? Hoy ya no será noticia el ahorcado de Granada. ¿Cómo es posible que aun a regañadientes aceptemos estas brutales crueldades de los bancos que tenemos que rescatar de sus desastres de gestión? ¿Cómo toleramos y votamos a un Gobierno, cualquier Gobierno, que no tiene la voluntad de paliar tales desmanes y aplicar todos los muchos resortes legales existentes?, ¿cómo no se les cae la cara de vergüenza a todos los responsables pasados y actuales de Bankia, que impertérritos consienten que a los ciudadanos en desgracia los despojen de sus viviendas mientras ellos disfrutan de sueldos y complementos de fábula, van a misa o navegan en yates?, ¿qué jueces son éstos que no se constituyen en intérpretes generosos y solidarios de la legalidad, pero bien que se unen para reclamar sus días libres y demás recortes, como han tenido todos los ciudadanos?, ¿de verdad que Rajoy puede dormir tranquilo en su almohada de plumas sin intervenir en el asunto?, ¿sobre qué conciencias cae la muerte del trabajador de Granada?, ¿cuántos suicidios son necesarios para que todos nos soliviantemos más de un minuto o ni eso? El drama de la vivienda es espantoso, con cinco millones de pisos vacíos, pero pasamos en volandas sobre él, convirtiéndolo en un tema recurrente y sin interés, ¿qué es de esas familias desahuciadas, a dónde van, cómo viven ellos y sus hijos?
Ayer nos ahorcamos todos en Granada, y la flor de la mandrágora dejó caer unas gotas de revolución y contestación social. Solo si prenden dejaremos de ser todos unos indecentes. Sí, es sentimentalismo barato. Es el sentimentalismo de decir que estamos todos hasta los cojones de la legalidad y de las leyes que no quieren cambiar.
———————
Gota RELATIVA: Amancio Ortega, dueño de Zara, dona 20 millones de euros a Caritas. Su fortuna es de 38.000 millones de euros.
——————–
Gota del EMPLEO: El paro supera el 25%. ¿Es usted uno de los 5.778.100 españoles que quieren trabajar y no pueden? ¿A qué cree que se debe, qué se puede hacer?
30.000 personas se manifestaron en Linares contra la desindustrialización de la ciudad y comarca
por Kaos. Andalucía
Viernes, 26 de Octubre de 2012 17:25
Sucedió hace cinco días. Más de un 30% de los y las habitantes de
Linares se manifestaron exigiendo un plan industrial para la comarca que
se encuentra muy afectada por el cierre de empresas. 20 mil personas en
las calles, un tercio de la población. Si saliéramos en esa proporción a
las calles...
...desde todas las ciudades del Estado español, ya se hubieran
terminado los desahucios, los recortes, las estafas y la forma corrupta y
sanguinaria de gobernar.
En Linares no hubo esa mayoría silenciosa que tanto emociona a Rajoy.
Esta es la noticia:
Ultima modificacion el Miércoles, 17 de Octubre de 2012 20:36
por Kaos. Estado español
por Kaos. Laboral y economía
Ya han empezado: la contrarreforma laboral facilitará decenas de miles de despidos en el sector público
por Kaos. Laboral y Economía
Estas palabras llevan en sus entrañas la fuerza, la alegría, el ánimo de lucha que nos dejó a todos la Marcha del jueves 11 de octubre próximo pasado.
¡QUE BUENO!
Hacía tiempo, MUCHO TIEMPO, que no teníamos una demostración tan multitudinaria y tan contundente por las calles de nuestra ciudad... una verdadera PUEBLADA!
Que nos oxigena y nos da pie para pensar el futuro... que le indica a los poderosos de adentro y de afuera del país y a los que nos han tristemente traicionado, que este pueblo tiene una tradición de lucha que todavía corre por sus venas.
Y todo esto dicho sin triunfalismo alguno; conscientes de cuanto nos falta, pero también realmente positivos porque la Marcha fue un logro.
¿Y quienes encabezaban de a caballo esa marcha?
A los costados dos paisanos de Cerro Chato, uno de ellos llamado Quicón y en el centro Ney Thedy, apodados por todos “nuestro Don Ney".
¿Fue casualidad? Todo lo contrario. Así lo resolvió la Coordinación Nacional y luego en cada instancia organizativa lo reafirmamos.
Para todos nosotros, conscientes que en esta Marcha unificamos luchas y juntábamos realidades tan diversas como el "interior", la costa y la capital; nos parecía imprescindible, utilizando el lenguaje de Artigas: "privilegiar a los más infelices" ubicándolos al frente.
Quisimos destacar lo que caracteriza a este movimiento social: que estamos todos juntos en pie de igualdad, pero que un lugar especial ocupan los que más sufren. Por eso también estábamos tan orgullosos de que hubieran siete carritos...
¿Y por qué "Don Ney" ha encabezado nuestras 3 Marchas Nacionales" Porque es el único peludo, desde gurisito cortador de caña sin tiempo para aprender a leer o escribir, uno de los fundadores de UTAA (sindicato de los cortadores de caña promovido por el BEBE SENDIC), que en los años 90 se convirtió en colono y que estos indignos gobernantes auto proclamados "izquierdistas", por una mísera deuda lo expulsan de su tierra el 28 de abril del año pasado.
Hasta el desalojo mismo es todo un símbolo de resistencia y no dejarse doblegar... porque lo fueron a sacar el Martes 26 de abril y un centenar de peludos lo impidieron, en una muestra notable de apoyo y adhesión; tuvieron que volver el jueves 28 con casi 200 milicos para sacarlo!
Por todo esto "Don Ney" encabeza nuestras marchas; ES UN CASO EMBLEMÁTICO QUE NOS MARCA EL CAMINO, y esta vez lo acompañaron dos paisanos "de Ley"; que en sus manos y cuerpos curtidos tienen grabado el costo que, para quien viene de abajo, tiene el diario vivir del campo. En particular Quicón, compinche de "Don Ney" que lo visitó una vez en Bella Unión, en el ranchito que este hizo a la entrada de su predio cercado por una guardia policial 222.
Una última cosita que no es nada menor: la manera de ser de "Don Ney" es ejemplar... esto lo sabemos y lo saben quienes han convivido con él. Siempre alegre, con fuerza, con la frente en alto y con una sabiduría y un respeto por todo lo colectivo realmente admirables!
Entonces cuando afirmamos: "la tierra de Ney es de todos, devolverla ya" estamos resumiendo un sentir que nos identifica y nos une a todos en un mismo horizonte de lucha: el de "tierra pa quien la trabaja con sus manos..."
En defensa de nuestro territorio y todos sus bienes naturales, y parafraseando lo que dijo otro viejito, tiempo antes en la historia, apodado "Don José": seguiremos peleando para que "NO SE VENDA EL RICO PATRIMONIO DE LOS ORIENTALES AL BAJO PRECIO DE LA NECESIDAD"
Para terminar, algunas informaciones sobre la situación jurídica del caso "Don Ney":
1º.- El juicio sobre el embargo de sus animales cuenta con una sentencia de primera instancia a favor de Colonización. El Dr. López Goldaracena ya presentó un recurso de apelación de Don Ney contra esta sentencia.. Esta apelación está en trámite en un tribunal de Montevideo.
2º.- Recientemente se presentó una denuncia penal en el juzgado de Bella Unión por el faltante de los 77 animales.
3º.- El próximo 27 de noviembre, a las 10 horas, en el Juzgado de Conciliación de Montevideo, ubicado en Cerrito entre Treinta y Tres y Misiones, se llevará a cabo una audiencia de conciliación, previa al juicio por daños y perjuicios que se iniciará contra el Instituto Nacional de Colonización por “abuso de derecho en el proceder de todo este tema (el lanzamiento, el faltante de animales, el mal manejo que han dado al rodeo desde que lo tienen en depósito, y la imposibilidad de Don Ney de continuar trabajando como colono).
Intentaremos mantener actualizada la información de todo lo que vaya sucediendo, pero DESDE YA CONTAMOS CON EL APOYO DE TODOS Y TODAS EN LA PUERTA DEL JUZGADO DE CONCILIACIÓN EL 27 DE NOVIEMBRE A LAS 10 HORAS.
LA TIERRA DE DON NEY ES DE TODOS, DEVOLVERLA YA !!!
Contactos: Juan Santana (099057673), Alvaro Jaume (22966688), Mario Thedy (099947323), Diego Henderson (099759479) y Julián Cabrera (099891869)
Sendic inaugura mañana Propuesta Uruguay 2030, un centro de estudios estratégicos que busca trascender diferencias partidarias.
Mañana en la Sociedad Criolla Elías Regules habrá un
almuerzo al que estarán invitados los principales referentes del mundo
político y empresarial, y no será el que organiza la Asociación de
Dirigentes de Marketing. Una de las diferencias es que estarán invitados
también referentes de organizaciones sociales, y otra es que este ciclo
de almuerzos lo organiza un grupo de “ciudadanos frenteamplistas”
agrupados en torno a la asociación civil Propuesta Uruguay 2030. El tema
de mañana será “Infraestructura para el crecimiento y desarrollo del
Uruguay”. Como expositores figuran el subsecretario del Ministerio de
Transporte y Obras Públicas, Pablo Genta, y los empresarios Jorge Erro
-dueño de Barraca Erro, la mayor exportadora de granos del país- y
Alejandro Ruibal, dueño de Saceem, la principal empresa constructora de
infraestructura en el país.
Sendic hizo el anuncio ayer en entrevista con el programa De diez a doce de Radio Uruguay. “Creo que hay que hablar de futuro. Deberíamos ponernos metas, y una meta alcanzable es que Uruguay en el año 2030 pueda ser un país desarrollado”, manifestó. “No está planteado desde el punto de vista de la política, sino desde el deseo de elaborar propuestas estratégicas procurando que en esa elaboración participen técnicos de diferentes orígenes”, agregó.
Propuesta Uruguay 2030 es una asociación civil que se propone como “usina de contenidos, buscando acuerdos amplios en distintos sectores de la sociedad, pero con el fin de lograr que esos acuerdos permitan continuidad en los procesos de instrumentación de los cambios estructurales que el Uruguay necesita para transformarse en un país de primer mundo”. Su presidente, el sociólogo Gustavo Leal (que además integra la lista 711 de Sendic), explicó a la diaria que el ciclo de almuerzos previsto para este año y el primer semestre del próximo abordará los temas de infraestructura, educación, innovación, economía y convivencia. Al mismo tiempo, se conformarán grupos de trabajo que discutirán y elaborarán propuestas de largo plazo para el desarrollo del país. Se trabajará sobre la base de documentos iniciales y luego se abrirá la participación también por vía virtual. “La idea es instalar un espacio de construcción de pensamiento amplio, con capacidad de tender puentes con distintos ámbitos de la producción y el conocimiento”, explicó Leal.
El sociólogo, que estuvo asesorando al Ministerio del Interior en la elaboración de la “Estrategia por la vida y la convivencia”, consideró que si Uruguay “quiere aprovechar el impulso de crecimiento económico, precisa tener proyectos fundamentados de futuro”, y para ello precisa establecer un “vínculo fuerte entre la academia, la intelectualidad y la política”, así como “construir relatos y épicas que pongan a los uruguayos de cara a un modelo de desarrollo”.
Leal aclaró que no se buscará unanimidades, sino que se trata de “construir consensos e identificar con claridad los disensos”, y que se pensará el Uruguay 2030 “a partir de las transformaciones que están en curso hoy, pero buscando espacios más amplios de acuerdo”. “Hay temas en que se necesitan construir puentes de acuerdo, porque nadie gobierna solo. Esto no quiere decir que las políticas de Estado impliquen unanimidades absolutas. Esto no es el fin de la política”, enfatizó. Por otra parte, rechazó que se trate de un espacio de acumulación para promover la figura de Sendic. “Ésta no es una operación de catapulta personal, es un acuerdo de un grupo de ciudadanos que tienen ideas y que quieren hacer un aporte”, remarcó.
NOSOTROS TENEMOS UN OBJETIVO SOCIALISTA
Antonio Dabezies, Nelson Caula, Alberto Silva, Pilar Domingo y Pedro Silva. Revista Guambia.
¿Cuándo naciste?
- El 16 de marzo de 1925.
- ¿Dónde?
- En Chamangá, una zona al sur del departamento de Flores.
- Hay varios Sendic por ahí, ¿no? ¿Es una familia de la zona?
- Sí, nosotros nacimos en Flores. Pero después mis hermanos fueron a Artigas, y en general se dispersó un poco la familia, al punto de que ahora mismo creo que no quedan más Sendic en Flores.
- ¿Y tu niñez la pasaste en Flores? ¿A qué edad fueron a Artigas?
-No, no. Yo viví hasta los 10 años en esa zona, ni siquiera conocía un pueblo. Después me mudé cerca de Trinidad y ahí fui a la escuela y al liceo, que me quedaba a una legua más o menos de allá donde vivía. Hasta los 18 años viví en el campo.
-¿Qué hacía tu familia?
-Bueno, mi padre arrendaba un campo ahí en Chamangá, y después entró de mayordomo en un campo, que era el trabajo anterior de él. Después siguió de mayordomo y nosotros arrendamos unas vacas en la chacra ésa, y vendíamos la leche.
-¿Qué de las tareas del campo le gustaba de chico?
-Y... todas las tareas propias de una persona que vive en el campo. andar a caballo. No puedo decir que me gustara ordeñar, pero lo hice durante ocho años. Eso implica levantarse a las cuatro de la mañana, porque después tenía que ir a la escuela.
-¿Tuviste caballo propio?
-Sí, desde luego.
-¿Cómo se llamaba?
-Ah, no me acuerdo (se ríe). Iba al pueblo en él, y fui a la escuela en él, y después iba en bicicleta: ¡me modernicé! (risas)
-¿Cuando ibas a caballo, nunca se te desató a la salida del colegio?
-Sí, sí, ¡y me dio alguna patada también!!
-¿Iba solo en el caballo, o iban varios juntos?
-No, no. Como en toda escuela rural: la de Chamangá era una escuela rural e íbamos en sulky y a caballo. Y después, en esa zona de chacras que les contaba, íbamos siempre en grupo todos los muchachos que vivíamos en esa zona. La escuela estaba bastante lejos. Yo fui a una escuela agrícola también, en Porongos, donde te enseñaban a hacer quinta, a plantar.
-¿Empezaste la escuela a los seis años?
-Sí, pero la escuela rural tenía hasta tercer año. Al pasar al pueblo perdí años ahí porque las escuelas urbanas estaban concebidas de otra forma: había hasta sexto año. Trinidad o "Porongos" y su "democracia"
-Por lo que decís conociste a Trinidad como "Porongos".
-Bueno, siempre se llamó a Trinidad-Porongos. Pero nosotros le llamábamos Trinidad. Era una época de muchas convulsiones estudiantiles, porque era la época de la guerra. Había grandes manifestaciones contra el fascismo. Uruguay no estaba definido todavía a favor de los Aliados.
-¿Ahí empezaste a preocuparte por la política, o eso ya venía de tu casa?
-Sí, verdaderamente. En el liceo fundamos una asociación de estudiantes que se llamaba "Asociación de Estudiantes Trinitarios", y sacamos un periódico que se llamaba "Rebeldía" e hicimos una campaña bastante fuerte ahí; hicimos huelgas, hicimos movilizaciones, hicimos manifestaciones, e hicimos lo que se llamaba una "democracia", algo como una asonada popular en que se rompieron vidrieras y esas cosas.
-¡En Trinidad!!!
-(En medio de risas) ¡Sí, en Trinidad!
-Habrá sido un escándalo: todo el pueblo con los pelos de punta... Primera vez en la historia.¿no?-Sí, por primera vez... y última, creo. Y fueron creciendo las manifestaciones estudiantiles, entonces en determinado momento fue como la chispa que encendió a la bomba, porque una noche se unió la gente de los barrios, y saqueó todos los comercios. Yo a esa hora siempre me iba para la chacra, y me perdí la famosa "democracia" de Flores. que al final quedó como sinónimo de "democracia" un saqueo de comercios, rotura de vidrieras. Llevaban barricas de yerba rodando por las calles y gritaban "¡Viva la democracia!!". De ahí que le quedara ese nombre..
.
-¿En qué año fue eso, Raúl?-Fue más o menos por el 42. Y después fuimos a Durazno, yo iba en un techo de un ómnibus, y rompimos cuatro o cinco vidrieras. Era la época en que los nazis, sobre todo los fascistas, porque había mucho italiano, tenían puestos comercios importantes en ambos pueblos.
-¿Fueron a Durazno el mismo día de lo de Flores?-No, no. Fuimos dos o tres días después.
-¿Quién influyó políticamente, de esa barra, en usted?-Teníamos algunos profesores muy progresistas, muy formados, como el Dr. Atilio Grezzi, que era profesor de historia y de filosofía. El nos formó. digo "nos" porque fue toda una generación donde estaba mi hermano Alberto, donde estaba Carlos María Gutiérrez; con esos compañeros fue que sacamos ese periódico "Rebeldía".
-¿El Negro Gutiérrez también era de Flores?-Sí, sí.
-¿Y cómo sintió el cambio de Flores a Montevideo?-Y bueno, no fue fácil, ya que estaba muy habituado a la vida en el campo y nunca había vivido ni siquiera en un pueblo como Trinidad. Viví siempre en campaña. Te choca un poco el cambio; la gente un poco agresiva. Te choca si vos venís directamente de campaña, para el que hace una transición por los pueblos no es tan difícil.
-¿Te trataban como "canario"?-No, realmente yo no tenía amigos en esa época. Estuve mucho tiempo. porque en realidad yo vine a trabajar y a estudiar ¿no? Vivía solo acá, después vino mi hermano y mi hermano se murió porque, justamente, éramos canarios y no sabíamos bien qué hacer. A él le vino una apendicitis nada más, no sabíamos dónde llevarlo. Y mientras pregunté a un canillita y fuimos a un sanatorio, nos demoraron y se murió. Entonces quedé solo de vuelta.
-¿Vivían en una pensión?
-No. Vivíamos en un garaje que nos prestaba un familiar.
-¿De esa época joven te quedó alguna otra amistad?
-De toda aquella generación que hicimos la lista de la Federación de Estudiantes, en cierto modo nos seguimos viendo, pero esporádicamente.
-Yo voy más atrás: a la época de Flores.
-Sí, yo no recuerdo una amistad permanente porque nosotros nos "expatriamos" ahí, y nos fuimos a Montevideo solos. Y salvo algunas esporádicas visitas que nos hacíamos con Carlos María Gutiérrez, que también se vino para acá, no hubo nadie ni de mi zona primitiva ni de mi zona de chacras posterior que se viniera para Montevideo. Entonces, no puedo hablar más que de mis hermanos.
-¿Hubo novias en esa época?
-Sí, hubo novias (mira con cierto desconcierto). Algunas.
-¿Es cierto que la vida del campo es dura?
-Bueno, según cómo estés ubicado dentro de los estratos sociales del campo ¿no? O sea, si hoy hay tanta gente que emigra no es porque no les guste el campo, sino porque del campo los expele la miseria que pasan, las dificultades, la ausencia de oportunidades, pero. toda la gente que ha vivido y estado allá en el campo, clama para volver. Sólo que.
-Estoy pensando también en Bella Unión y los cañeros.
-Sí, en cierto modo después de transitar por una militancia política y estudiantil acá, yo volví al trabajo con la gente del campo. Antes que con los cañeros, estuve con los arroceros de Treinta y Tres.
-¿Y te sigue agobiando la ciudad?
-Bueno, no.
-Si pudieras elegir: ¿adónde irías a vivir?
-Al campo ¿no? ¡Eso es inevitable! Tengo un hermano que trabajó en París 20 años como obrero en la Renault, y al jubilarse se fue al campo allá. Y mis hermanos mayores también se fueron, acá mismo, se consiguieron una chacra y se fueron de vuelta. O sea que la gente que se ha criado en el campo.
-¿Así que esperás volver al campo?
-Sí, espero.
Bella Unión y los comienzo políticos
-¿Estuvo últimamente en Bella Unión?
-Sí, hace poco una tarde, nomás.
-¿Muy cambiado?
-Sí, lo que se ve. Es una zona de prosperidad, de mucha producción en distintos rubros. Y eso hizo como un polo de magnetismo que atrajo gente. Entonces hay demasiada gente, y más miseria que antes. Se fue demasiada gente ilusionada con la posibilidad de trabajo de Bella Unión. Y es una zona del país que ha crecido tanto económicamente como en población, pero no se refleja en la vida del sector más bajo de la población. Hay un tremendo rancherío que ha ensanchado el cinturón de Bella Unión.
-¿Por qué fue tu familia a Artigas?
-Bueno, en realidad se fueron mis hermanos, a trabajar en el campo.
-¿Ya era una zona progresista que prometía desde el punto de vista económico?
-No, no: al contrario. Para mi familia, que trabajaba en ganadería, era una zona atrasada. Entonces, fueron justamente llevando una serie de innovaciones sobre cría de ovejas y demás, que era la especialidad de la familia. Y bueno, estuvieron tratando de salir adelante en el trabajo ganadero, pero no lo consiguieron. Pero eso es independiente de la ida mía, que fue por cuestiones gremiales.
-Así que fuiste exclusivamente por cuestiones gremiales.
-Sí.
-Hoy no me contestaste: ¿qué eran, políticamente, tus padres?
-Eran nacionalistas. Digo, mi padre era blanco y mi madre colorada. Mi padre y mis tíos pelearon en la revolución de 1904. Y bueno, cuando yo ya vivía, mi padre dio armas para el levantamiento del 34, aquel que se hizo contra la dictadura de Terra.
-Pero no era herrerista...
-No, no: era blanco independiente.
-¿Cuáles fueron tus primeras lecturas políticas?
-Bueno, toda esa literatura que había en aquella época, y que es un poco diferente a la actual ¿no?
-¿Tus primeras lecturas fueron políticas, o tuviste otras lecturas antes?
-Bueno, tenía toda la literatura tradicional. A esas zonas rurales llegan revistas de la época con novelas de Alejandro Dumas, de Víctor Hugo, de Dostoiewski. Y justamente por el hecho de estar tan alejado de todo centro poblado, esas lecturas, más que leídas, son devoradas. Y por las noches nuestra madre nos leía a los seis hermanos "Tabaré"... y lo leía durante varias noches: cuando terminaba lo empezaba de vuelta (risas). Terminábamos todos llorando... y entonces empezaba de vuelta y esperábamos que terminara distinto... pero no.
-¿Tuviste la suerte de llorar con "Tabaré" y no con "Caperucita Roja"?
-Sí, en aquella época por lo menos nos iniciábamos con "Tabaré".
La juventud antes, y la de ahora
-¿Qué diferencia encontrás entre la juventud de esa época y la de ahora?
-Bueno, en realidad aquella era una juventud bastante combativa, bastante radicalizada. Hicimos grandes manifestaciones estudiantiles. También ahí yo estuve preso, en algunas de ellas. Eran manifestaciones un poco violentas, digámoslo así, de mucho choque con la policía. Y yo mismo fui escrachado en "El Día" por haber lastimado un policía. Y en realidad yo estaba luchando con él, y otra persona le pegó un fierrazo en la cabeza. Entonces me llevaron a mí, y el policía sangrando y hasta el Ministro del Interior dijo de todo. Ahí soltaron a la mayoría; a mí me procesaron, y después me escracharon como que había traído un fierro entre las ropas y lo había lastimado. Ese fue el primer procesamiento que tuve.
-¿Y fue la primera vez que estuviste preso?
-Sí, que estuve preso y que fui procesado. Pero al final el que lo lastimó fue otra persona, era un profesor, no me acuerdo ahora. profesor de historia. no recuerdo ahora el nombre.
-Mejor no diga nada que lo quema.
-¡No, no!
-¿Y cómo ve la juventud de ahora?
-Un poco desconcertada, porque no tienen una perspectiva promisoria como la de aquella época, más segura. Sigue estudiando, pero no con el mismo entusiasmo, porque sabe que se reciba de lo que se reciba, no tiene inserción, porque aunque llegue como profesional -como abogado, como ingeniero, como escribano, como arquitecto- no hay perspectivas.
-¿Cuándo se acabó el Uruguay de las vacas gordas?
-Bueno, estadísticamente fue por el 57 cuando empezó el declive.
-¿De quién fue la culpa? ¿De Luis Batlle?
-No, al contrario: Luis Batlle fue el que usufructuó el período de auge. Todo eso pasa independientemente del gobierno que haya. Si después de la guerra hay un plan Marshall para Europa, y Europa a su vez deriva los dólares para productos del Uruguay y Argentina, Batlle puede hacer una política populista, y Perón puede hacer lo mismo. Pero cuando no hay exportaciones tan voluminosas como existieron en esa época, cuando no hay tantas ventajas económicas en el comercio exterior, los gobiernos declinan. Eso lo demostró Perón al volver en épocas que ya eran bravas, cuando no tenía nada que repartir. Ya no dejó la imagen del hombre que llegaba y repartía prosperidad.
Un médico frustrado
-¿Siempre te interesó el tema económico?
-Sí, en realidad la economía explica un poco las actitudes políticas. Por eso yo también evito tratar a Perón o a Evita independientemente de la situación económica imperante en la época.
-¿Por qué eligió la carrera de Abogacía, siendo tan buen economista?
-Bueno, no fui nunca un buen economista y menos cuando elegí la carrera de Abogacía. Yo no tenía otra alternativa, porque como trabajaba todo el día, no podía hacer mi carrera predilecta, que podía haber sido Medicina, porque me coincidían los horarios de clases. La únca carrera que podía hacer compatible con el trabajo en el día, era Abogacía. No había otra que uno pudiera hacer sin concurrir a la Facultad. De manera que no hubo elección.
-¿Realmente hubiera sido Medicina tu carrera preferida?
-Sí, pienso que sí. Pero veía también en la Abogacía un instrumento para llevar adelante la lucha social.
-¿Te interesaba más como carrera o como militancia, la actividad en Abogacía?
-Sí, la vi como una palanca para el trabajo social.
-Por aquella época estudió con mucha gente notoria y conocida hoy en lo político.
-Sí, pero no tuve contacto, salvo con Flores Mora, con el que estuve haciendo la práctica forense. Al no ir a Facultad no pude alternar con mucha gente que fue contemporánea mía.
-¿Qué le pareció la contratapa de Flores Mora donde hablaba de usted cuando todavía era un rehén? Hablaba de usted cuando nadie lo nombraba, o recién empezaban a hablar, y lo hacía de manera muy afectuosa.
-Bueno, justamente, pienso que compartimos un período de grandes luchas estudiantiles, como la que les contaba recién de 1951, por la autonomía de la Universidad. Al haber transitado una parte de la lucha social juntos, haber compartido alguna clase de práctica forense en la Facultad de Derecho, se sintió solidario en un período donde todos nos agraviaban. El quebró una lanza, lo cual significa que era un hombre muy sensible.
-¿Cuándo deriva tu actividad gremial en la Facultad hacia una actividad gremial más general?
-Bueno, yo tuve una militancia de 10 o 12 años en el Partido Socialista, y después empecé a trabajar en los gremios. Primero se hizo una marcha de los arroceros desde Charqueada a Montevideo, donde yo participé. Después la movilización de los trabajadores de la remolacha en Paysandú. Ahí también estuvimos presos y procesados por entrar en las plantaciones sin autorización del dueño, en San Javier. Y después organizamos a los trabajadores de "El Espinillar" en un sindicato que todavía dura, que es el de "Unión de Regadores y Destajistas de El Espinillar", que ya eran cañeros. Después saltamos a las cañeras del norte de Bella Unión, donde se levantó UTAA. Simultáneamente yo trabajaba ya como procurador en Paysandú, y tenía el escritorio en la sede de los sindicatos de Norteña y Paycueros. Era una especie de asesor de esos sindicatos, y de otros de Paysandú, y de los problemas laborales en general de los trabajadores.
-O sea que en sindicatos capitalinos prácticamente no actuaste.
-Bueno, trabajé un año en el "Sindicato de Almacenes al por Mayor", como funcionario rentado, y antes en la Defensoría de Menores de Montevideo, como subjefe.
El surgimiento del MLN
-¿Cómo le explicarías a las nuevas generaciones por qué surge el Movimiento de Liberación Nacional?
-Bueno, tendría que situarlos en la época. A través de todas esas luchas sindicales fuimos bastante perseguidos: en aquella época se usaba que ante cada conflicto se dictaban Medidas Prontas de Seguridad. Entonces, supongamos que había un conflicto en Montevideo, nosotros estando en Paysandú éramos detenidos. Es decir que figurábamos en una lista de militantes sindicales que eran detenidos automáticamente cada vez que se dictaban las medidas, ¡y a veces ni sabíamos que habían sido decretadas! Era habitual que uno llegara al trabajo y lo llevaran preso.
-¿En qué años era eso?
-Y. en el 60, 61.
-¿Era gobierno colorado?
-No. Era blanco, "chicotacista". El Jefe de Policía de Paysandú era "chicotacista". Era una época en que no se podía decir que no hubiera derechos civiles, sólo que no los había para ciertos sectores: nosotros estábamos supeditados a esas represiones. Todo eso creaba una situación de rebeldía porque ni siquiera te permitían trabajar: yo trabajaba en esa época como procurador e iba todos los días al Juzgado, pero evidentemente nadie confía en un profesional al que cada pocos días lo meten en un calabozo ¿no? Incluso hacía defensas penales y muchas veces me encontraba con mi defendido en un calabozo (risas). Sí, sí, pasaban cosas como ésa, de verme los presos en Paysandú y decirme "Raúl: ¿cuándo nos van a dejar ir?", y yo "voy a ver si salgo yo primero" (carcajadas) porque muchas veces ni se habían dado cuenta que yo llegaba como preso. Por eso es muy difícil explicarle a la juventud cuál era el panorama de la época. Todo eso fue in crescendo; hubo manifestaciones; hubo muertos en las manifestaciones; después hubo prohibición de Partidos: fue una escalada de violencia. Y nosotros mismos, como movimiento cañero, hicimos un conflicto con todas las leyes laborales a favor, porque había violación de todas esas leyes, y no conseguíamos ni siquiera que se aplicaran las leyes sobre salario ni nada.
-Y ahí hicieron una huelga ¿no?
-Entonces tuvimos que ir a un conflicto con la empresa cañera que se llamaba CAINSA. Acampamos frente a ella, la policía nos pidió si podíamos descongestinar la carretera y nos ofreció un monte ahí en Itacumbú. Y bueno estuvimos tres meses a monte con toda la familia, en carpa y demás. Después tuvimos que tomar la fábrica con toda la dirección adentro, y ahí recién conseguimos un convenio para el pago de todo lo que nos debían. Vinimos a Montevideo en camiones, pidiendo la ley de 8 horas para el trabajador rural y la expropiación de un latifundio de Silva y Rosas para dar trabajo a la gente. Bueno, acá fuimos recibidos también con represión: terminamos todos presos en Miguelete, y volvimos allá sin lograr ni la ley de 8 horas (que nunca hubo quorum en el Parlamento para tratarla) ni la expropiación de ese latifundio. Ambas cosas se lograron después: la expropiación del latifundio por Colonización, y se sacó la ley de 8 horas por convenio. Y después por convenio de la OIT, ratificado por ley de país, para ese tipo de plantaciones.
-¿Quién tiene ahora el latifundio? ¿Colonización?
-Lo tomó en aquel momento, en el 70, luego lo tomó la dictadura militar y.
-¿No han hecho nada ahí, no?
-Bueno, gente adicta a la dictadura (sargentos jubilados y gente así) es la que lo tiene.
-Todo verde el campo.
-Y el campo sigue ahí, a medio explotar. Todavía hay fracciones que las ocupa el Ejército, y hay fracciones sin destino. No le dieron una buena colonización. La gente que se movilizó por eso nunca accedió a ningún pedazo de terreno. Es una enorme extensión, está al borde de la arrocera, tiene irrigación del río Uruguay y de los arroyos de la zona, pero permanece prácticamente inexplotado.
-Hablamos de las 8 horas como si fuera una cosa normal... ¿de cuánto era la jornada del trabajador cañero en esa época?
-En época de zafra trabajaba -y trabaja- unas 12 horas. Nosotros pedíamos 8 horas para que les pagaran como horas extras el resto. Lo mismo ocurre en las estancias: todavía no tienen ley de 8 horas. El peón de la estancia tiene un salario bajísimo. Ahora es de 14 mil pesos, y si tuviera las 8 horas, como está más horas en el campo podría tener un aumento en su sueldo. Una ley de 8 horas que al fin y al cabo fue aprobada hace 70 años para industria y comercio, fue aprobada en 1915.
Socialismo a la uruguaya
-¿Seguís siendo socialista, en el viejo sentido de la palabra?
-Bueno, sí. O sea, nosotros tenemos un objetivo socialista. Lo cierto es que nosotros nunca fuimos demasiado esquemáticos y menos ahora que ha habido una serie de experiencias donde las mismas experiencias socialistas se han ido rectificando.
Nostros estamos con esas rectificaciones y estamos por un socialismo adaptado a la uruguaya, y siempre luchamos por él.
-¿Podrías definir en pocas palabras qué es "un socialismo a la uruguaya"?
-Bueno, hay una mentalidad en el país. Nosotros no estamos en una sociedad que haya sido zarista como la Unión Soviética, ni en una sociedad presidida por mandarines como China. Tenemos cierta tradición democrática muy arraigada en la mentalidad del pueblo, por libertades y todo eso, y nosotros tenemos que adaptar el socialismo a la realidad uruguaya. Un socialismo que sea compatible con toda esa tradición, digamos libertaria, de todo el pueblo uruguayo.
-¿Existen líderes campesinos?
-Bueno, yo diría que de un campesino a otro campesino hay afinidad, hay una afinidad de una cantidad de gente que estuvimos en la Universidad, con nuestro hábitat anterior. Y a raíz de eso uno entra mejor en el medio rural que en el medio urbano. Por eso pienso que yo ni siquiera creo que haya ayudado mucho a los cañeros, simplemente participé en los campamentos. Pero sí puedo alternar con la gente de campo ¿no?
-Hablando con el senador Ricaldoni, fuera del reportaje, nos decía que la izquierda insiste en la palabra "campesino" que no tiene andamiento popular: ¿tú encontrás otra palabra para sustituir la de "campesino"?
-Sí, sí. Aquí al campesino se le llama "chacrero".
-¿Paisano.?
-Sí, "paisano" se usa en forma más genérica para el peón de estancia, porque.
-¿Pero estás de acuerdo en que "campesino" en Uruguay no es una palabra adecuada?
-No, absolutamente. Yo, por lo menos, no la uso. Acá hay chacreros y después, hay lo que podríamos llamar granjeros: gente con capital, con máquinas. El chacrero es la persona que no tiene más que el terreno y su fuerza de trabajo. El otro ya tiene algún pequeño capital, ya sea ordeñadora si tiene un tambo, o máquinas y tractor, si tiene una granja.
-¿Los cambios que este país reclama pasan por la reforma constitucional?
-No los cambios, pero sí tal vez una manera de destrabar el sistema político de desbloquearlo. Ahora tenemos un panorama político dividido en tercios, algunos de los cuales son mayores que otros, pero sin que se vea a través de las compulsas de opinión que vaya a haber un partido mayoritario. Y eso se ha reflejado en que el sistema está trabado, porque ni el gobierno puede mandar proyectos al Parlamento que puedan ser aprobados, porque no tienen la mayoría necesaria, ni la oposición -que sí la tiene- puede sacar sus proyectos porque se los veta el Ejecutivo. Lo peor es que eso no tiene visos de cambiar, porque puede ser que la minoría mayor cambie de color, pero siempre será una minoría. Entonces yo diría que, por lo menos para que salga un aumento a los jubilados, se impida la extranjerización de la tierra o salga un presupuesto que contemple la enseñanza, la salud y demás, que no considero que sea un cambio porque eso existió antes en el país. Pero sí tal vez fuera imprescindible una reforma constitucional.
-¿No le parece un desatino que la izquierda esté discutiendo eso en este momento, cuando hay temas más importantes?
-No, porque entre los temas importantes que tiene el país está el aumento a los jubilados, que va a ser trabado por un veto, y está una modificación en el presupuesto a favor de los empleados públicos y como la gente sin perjuicio de los cambios profundos que llegarán un día, tiene que vivir hoy.
-Si hay reforma, a los jubilados no les aumentan hoy: con buena suerte les aumentarán de aquí a tres años, porque la reforma se va a aplicar después de las elecciones, no ahora.
-Sí, sí, pero el panorama, si no se hace la reforma, es que tengamos ocho años de empate...
-Además con reforma o sin reforma los colorados dicen que hoy hay financiación, así que.
-Sí, sí. Pero simultáneamente dicen que el país está prosperando y la gente de abajo está cada vez peor. Entonces, en algún lado hay prosperidad como para sacar esa financiación.
______________________________ ____________
Información disponible en el sitio ARCHIVO CHILE, Web del Centro Estudios “Miguel Enríquez”, CEME:
http://www.archivo-chile.com
Elbio Moreira responde a Cecilia Arreche
Enviado por Nestor Durante
De: Veronika Engler
Congreso Departamental del PIT-CNT de SALTO. 13/10/2012.
DOCUMENTO SOBRE MATRIZ PRODUCTIVA
Marco general.
Las debilidades del sistema capitalista, manifiestas en una nueva crisis general, ponen en jaque la economía mundial, dejando a la vista un modelo que nos sigue demostrando que se agota en si mismo, porque la acumulación de la riqueza y la concentración cada vez en menos manos, solo genera crisis y desigualdad, al decir de Mahatma Ghandi “El gran problema de la humanidad es la concentración de la riqueza en unos pocos países desarrollados”
En este marco, paralelamente, los trabajadores organizados, nucleados en el PIT-CNT, entendemos que nos enfrentamos a un nuevo proceso histórico político, tanto en lo nacional como en lo internacional, en el cual existe, centralmente, la idea de unificar criterios ideológicos y procurar una alternativa común para la transformación de la sociedad, en pro de beneficiar al conjunto de la humanidad.
Desde la perspectiva del concepto de profundización democrática, esta visión, alienta la participación de vastos sectores en la discusión acerca de cual es el rumbo a transitar como nación, como sociedad, como país, en función de los avatares internacionales y las cuestiones locales propiamente dichas.
Pero la participación en si misma considerada no garantiza a ningún sector, la incidencia en los grandes temas que hacen al desarrollo, por lo cual los lugares de participación deben procurarse con esfuerzo, dedicación y fundamentalmente generando credibilidad a través de la coherencia en la acción.
Nuestra organización ha desandado a lo largo de sus 45 años de historia, el escabroso camino de la lucha, siendo un actor determinante en la vida política de nuestro país, lucha que nos ha permitido consolidar ámbitos de negociación colectiva, tanto en el sector público como en el sector privado, que han abierto las puertas, a partir del 2005, a un nuevo tiempo.
Pero hecha la ley, hecha la trampa, no basta con lo escrito en un papel si luego no se cumple, en tal sentido reconocemos los avances en la legislación laboral pero continuamos exigiendo el cumplimiento a cabalidad de las normas vigentes por parte del gobierno y de algunas ramas de actividad en el sector privado.
Nuestra visión sobre el desarrollo.
Somos conscientes que a partir de la nueva legislación, el componente más significativo, ha sido la creciente responsabilidad del movimiento sindical, en cuanto a plantear una alternativa de modelo de país popular y nacional con carácter profundamente internacionalista, que contemple las necesidades de los más amplios sectores y las grandes mayorías populares, empleados, obreros, pequeños productores, pequeños comerciantes, desocupados, marginados, etc.
Porque no es posible concebir el desarrollo de un país sin la inclusión social como buque insignia, el desarrollo sostenido solo es posible si la riqueza se distribuye igualitariamente en función del nivel de participación de cada sector en la actividad que se realiza.
Una sociedad en desarrollo tiene como máxima significación, la movilización de toda su estructura productiva en función del bienestar general, lo cual implica la acción del Estado y el sector privado en una alianza estratégica que promueva la dignificación del individuo y la resignificación de los valores como eje principal, posicionando las convicciones humanas por encima de los intereses económicos.
Esto implica valorar el trabajo humano en su real dimensión y no únicamente en función de la plusvalía, plusvalor o ganancia que genera, ya que esta circunstancia es la que condiciona el aumento de individuos especializados.
A mayor nivel de capacitación y especialización del trabajador, disminuye la plusvalía, plusvalor o ganancia que produce, en función de lo cual es inevitable deducir que para el empleador que ubique el objetivo únicamente vinculado a sus intereses económicos, verá más adecuado a ello, subemplear al trabajador lo cual implica que por una actividad calificada le pagará menos de lo que la función impone.
Este aspecto es determinante para deducir el rol fundamental que cumplen los institutos como el INEFOP (Instituto nacional de empleo y formación profesional), en las políticas de capacitación y promoción del empleo. Lo que supone dos cuestiones trascendentes, la primera en cuanto a la capitación, es imperioso que los trabajadores tengan acceso al reconocimiento formal de la tarea que realizan y en segundo lugar porque el empleo que se promueva debe ser de calidad.
Estos dos elementos se unifican para determinar que, no podemos hablar de desarrollo, mientras no pongamos el énfasis en resolver los problemas generados a partir del subempleo, de los salarios de hambre que no contemplan las necesidades mínimas que genera el alto costo de vida y fundamentalmente el no reconocimiento de las capacidades que implican la incidencia de la fuerza de trabajo en la tarea realizada, mientras no tengamos la grandeza de reconocer que la torta debe ser repartida con equidad, mientras no pongamos en discusión el concepto “calidad de vida”, partiendo de la premisa de la igualdad en el acceso a los bienes y servicios estatales y privados por parte de toda la población, no podemos hablar de desarrollo mientras halla compatriotas viviendo en ranchos de lata y cartón.
Hoy se dice que para la cantidad de emprendimientos que existen, no hay suficiente personal capacitado, y este razonamiento simplemente demuestra que no se unifican criterios en función de un proyecto común de país, existen inversiones aisladas que no son parte de un paquete proyectado al largo plazo, es en ese sentido que va nuestra preocupación, porque no es sostenible una economía basada en la coyuntura internacional, sustentada únicamente en dos aspectos: a) en los precios internacionales que al momento determina el mercado para las materias primas y b) en los flujos de inversión extranjera, vinculados a intensos procesos de explotación de recursos naturales, lo cual implica al resumir ambos aspectos, la existencia de un gigante con pies de barro.
Por lo cual deducimos que la defensa de las empresas públicas, abarcativas de los sectores más estratégicos para el desarrollo de nuestra economía, es una cuestión de principios, deben mantenerse en la órbita del Estado. En tal sentido, es ineludible que un país agro exportador, con una extensa tradición en el sector cárnico, promueva la creación de un frigorífico nacional, en manos del Estado. Y alentamos esta postura, fundamentándola en la máxima: “el Estado debe ser la locomotora del desarrollo”.
Afirmamos esto, porque en un proceso de crecimiento sostenido de la economía, que todos conocemos, y en función de profundizar el proceso de cambios que favorezca al modelo popular y nacional que promovemos, es imprescindible como condición sine quanon el rol que juegue el Estado.
Para ello es prioritario, desde nuestra visión, apuntar a:
1) Transformar nuestra matriz productiva en el sentido inequívoco de superar la dependencia económica.
2) Erradicar la miseria y combatir la pobreza, profundizando en políticas sociales, educativas y laborales que estén enmarcadas en función de un proyecto de país con un sostenido proceso de desarrollo.
3) Generar trabajo genuino, a través de políticas de formación profesional inclusivas para todas y todos los uruguayos.
4) Favorecer, desde el Estado, a través de inversión o crédito, emprendimientos productivos con la participación de los trabajadores, a través de los cuales se recuperen para el país, fuentes de trabajo y producción, que impliquen la génesis de nuevas formas de propiedad social no estatal.
5) Promover el sistema de compras públicas y la participación de los trabajadores en el diseño de los pliegos de las licitaciones y a su vez analizar las diferentes cadenas productivas y sectores económicos donde deben crearse nuevas empresas públicas al servicio de un programa popular.
6) Enmarcar la educación no en función del mercado, sino en función de impulsar la conciencia critica de individuos con capacidad de transformación real, protagonistas de un país en desarrollo hacia una sociedad diferente.
7) Dinamizar el mercado interno a través del aumento de salarios, pensiones y jubilaciones.
8) Defender y reivindicar la mano de obra nacional.
9) Comprometer nuestros máximos esfuerzos, en la defensa y concreción del Programa de Vivienda Sindical y apoyar todas las iniciativas que apunten a generar soluciones habitacionales para los trabajadores.
10) Creación de una Mesa Departamental de Desarrollo Productivo.
11) Generar condiciones a nivel departamental para discutir la accesibilidad a la tierra, considerando la misma como un bien social y que con un carácter asociativo, los trabajadores sean quienes produzcan y reciban las ganancias.
12) Reclamar el cumplimiento efectivo del convenio de 1946, sobre la Represa de Salto Grande, y en tal sentido, que se distribuyan las regalías que implican energía barata para la Región.
13) Reclamar, a través de los mecanismos orgánicos del PIT-CNT, al Gobierno Nacional, que sea considerado en el cálculo del Producto Bruto Interno, los ingresos que generan los trabajadores de la Cultura.
Nuestra visión sobre las inversiones.
Si hablamos de un programa popular y nacional, para profundizar en las transformaciones democráticas hacia la consolidación de un proceso de cambio, es indudable que en el ámbito de las inversiones debemos comprometer al Estado.
Concebimos al Estado, como hacíamos referencia ut supra, como una locomotora para el desarrollo del país, en tal sentido, estamos firmemente convencidos que el papel del estado en cuanto a invertir en emprendimientos genuinos que generen trabajo de calidad y mano de obra calificada, es imprescindible.
Y esto lo decimos en el marco del referido crecimiento económico sostenido, que ya lleva más de 8 años, la cuestión central es deducible, si el Estado no fortalece la matriz productiva a través de inversiones de largo aliento que involucren a toda la sociedad, el crecimiento económico será una anécdota de la época.
Para ello es ineludible, profundizar en el conocimiento existente acerca de la base productiva de nuestro país y de los enormes cambios producidos en ella, citamos a modo de ejemplo la composición del producto bruto que generamos, cuanto queda y cuanto se va para el exterior, el papel de las trasnacionales, el rol de las zonas francas, la tenencia de la tierra y los altos niveles de extranjerización, los principales grupos exportadores, la industria frigorífica, los productos del agro, el sistema financiero, el boom de las importaciones, la composición de las clases sociales, el vínculo existente entre las mejoras de salarios e ingresos, el impacto medio ambiental, etc.
Y aquí nos detenemos en la caracterización de las inversiones a las que aspiramos, dejando en claro que no nos oponemos a las inversiones privadas, por lo contrario, estamos convencidos que las inversiones privadas son necesarias, la cuestión es en que condiciones se dan.
Nosotros entendemos que las inversiones deben encastrarse en el proyecto de país, no pueden estar desprendidas de lo que la sociedad uruguaya necesita en clave de presente y futuro, ello supone el fortalecimiento de la matriz productiva a través de inversiones que apunten a ciclos productivos completos y que del compendio de ganancias que surjan, quede un gran porcentaje en nuestro departamento.
Esto implica que nuestro país no continúe exportando materia prima, generando un ciclo perverso de destrucción de nuestro medio ambiente y un perjuicio para las generaciones futuras. Y aquí queremos puntualizar, que como habitantes de este planeta nos cabe la responsabilidad de cuidar el lugar donde vivimos, no solo por nosotros sino también por los otros, las políticas medioambientales son fundamentales en el marco de la discusión sobre el carácter de las inversiones que se avengan a instalarse en nuestro país y en nuestro departamento en particular.
Y en referencia a nuestro departamento, debemos mencionar que, la reciente discusión de la crisis que atraviesa el sector citrícola en nuestro departamento, que ha impulsado la movilización de los trabajadores, los pequeños productores y todo el sistema político, ha dejado al desnudo una dramática situación que se traduce en la ausencia de inversiones reales.
Por lo que no nos pesan prendas en este planteo, porque la cantidad de salteñas y salteños que trabajan en empleos que no son de calidad y por los cuales no perciben salarios acorde a la realidad, nos imponen reflexionar sobre la visión estratégica y largoplacista de las inversiones privadas que vengan a Salto.
Paralelamente, esta encrucijada ha puesto de manifiesto, que existen cuestiones en común para los diversos sectores, en perspectiva de mejorar el departamento, para lo que entendemos como impostergable la creación y consolidación de una Mesa de Desarrollo Productivo.
Este ámbito debe ser parte de un proceso y en si mismo una señal, de crecimiento, de madurez política, debe ser un ámbito integrado por trabajadores, productores, políticos, instituciones como la Universidad de la República, la Universidad de Trabajo del Uruguay, el INEFOP, la Comisión Técnica Mixta de Salto Grande, los empresarios; la génesis de este espacio, propenderá a la edificación de una sustentable construcción de la matriz productiva departamental.
Esto es lo que nos compromete a que debemos asumir la responsabilidad de promover la industrialización de nuestro departamento y del Uruguay, propendiendo al desarrollo de ciclos productivos completos que se inicien y finalicen en nuestro país, y como lo referenciabamos, para coadyuvar a este proceso, el Estado debe desarrollar el sistema de compras públicas que facilite la colocación de los productos finales, independientemente de la capacidad de exportación.
Conclusión.
Como trabajadores aspiramos a un programa popular y nacional, a un país con desarrollo sostenido, con carácter inclusivo de todos los sectores productivos, a un Estado transformador, dinámico, profundamente democrático, a una sociedad con igualdad de oportunidades para todos, desde una visión humanista y socialista, donde el trabajador no sea un producto más del mercado sino protagonista y constructor de un orden social justo.
Pero de lo que deseo hablar hoy es de las reflexiones que me indujo la lectura de un trabajo del Tambero sobre lo que se cocinó en P. del Este entre el imperio y nuestro Cro. Ñato como representante del gobierno progresista de izquierda sin humo y ahora con abortos.-
La inmensa mayoría de la gente,no solamente no vá a llegar a leer el trabajo del tocayo sinó que en caso de leerlo y ,si les llegase a interesar, le darían poco crédito: X que son cosas invisibles,ocultadas y poco conocidas;pero tiene que ver con que la plata no te alcance pa' llegar a fin de mes.-
Lo que impide que pierda toda esperanza de futuro y caiga en "el verdadero infierno" al decir de Cronin, es la crisis del sistema a nivel global y las espontáneas reacciones populares masivas que vienen ocurriendo en diversas partes del globo que son ocultadas propositalmente,claro.-
Me planteo si todavía quedará tiempo para que se materialice mi utopía esperanzada - no demostrable - de que la humanidad reaccione,se rebele y evolucione mudando un modelo milenario,ante la evidente amenaza de la extinción de la especie como consecuencia de éste modelo masivamente aceptado y asumido de explotación,acumulación,hambre ,miseria,desempleo y violencia; y la suicida explotación estúpida de los recursos del planeta y del eco-sistema.-
El 47% de apoyo popular - en lo nacional - al regreso del Pluma Blanca como salvador de la patria,demuestra incuestionablemente que el pueblo no ha comprendido la lección histórica y que sigue alentando la fé religiosa en la llegada de mesías salvadores. Que se mantiene vigente el juego que durante 170 años llevaron adelante blanqui/colorados,modernizado ahora con la renovada mística de que "si no ganamos los de derecha,ganamos los de izquierda". Aciagos tiempos le esperan a éste pueblo.No se vislumbra en el horizonte histórico ninguna amenaza real al modelo,al sistema,a los dueños del país ni al imperio. La reciente lección histórica no fué entendida por el pueblo uruguayo. Apenas la izquierda uruguaya la comprendió e incorporó haciéndose "pragmática" que se plasma en la reunión de P. del Este. Que tengan suerte y que puedan dormir tranquilos.-
MAU-MAU
En Linares no hubo esa mayoría silenciosa que tanto emociona a Rajoy.
Esta es la noticia:
Alrededor de 20.000 personas según la
Policía Local, y unas 30.000 según los organizadores, se manifestaron el
pasado domingo en Linares pidiendo un plan industrial para la comarca,
muy resentida por el cierre de empresas, fundamentalmente con la
automovilística Santana.
La manifestación estuvo encabezada por
el alcalde, el socialista Juan Fernández, representantes de todos los
grupos políticos del Ayuntamiento linarense, parlamentarios, diputados,
líderes políticos provinciales y representantes sindicales, industriales
y comercios.
Durante la manifestación, entre el campo
de fútbol de Linarejos y la plaza del Ayuntamiento, pidieron que la
Junta de Andalucía cumpla con sus compromisos del 14 de febrero de 2011,
cuando se firmó el Plan Linares Futuro con el que desaparecía Santana,
tras medio siglo de vida, y que además de las compensaciones para los
trabajadores, que son las que se encuentran más avanzadas, recogía
proyectos de reindustrialización. Al término de la manifestación la
escritora linarense Fanny Rubio leyó un manifiesto haciendo un recorrido
por la historia de la ciudad. Ha sido una de las manifestaciones más
multitudinarias que se conocen en Linares.
Movilización en Bilbo ante el aumento de las situaciones de pobreza.
por Berri-Otxoak (Plataforma contra la Exclusión Social y Por los Derechos Sociales)
Miércoles, 17 de Octubre de 2012 20:17
En el "Día Internacional contra la Pobreza" decenas de personas -que
frecuentan los comedores sociales; centros de día y albergues; o viven
en pisos de inserción social-, se han concentrado ante el Ayuntamiento
de Bilbo para visibilizar las consecuencias de la crisis y los recortes
sociales.
No a los recortes sociales
•En
una coyuntura de crisis, cuando más necesarias son las prestaciones
sociales, el Gobierno Central y Vasco -además de la Diputación de
Bizkaia-, han decidido hacer un recorte drástico de las mismas. Por
este motivo, y coincidiendo con el “Día Internacional contra la
Pobreza”, decenas de personas -que frecuentan los comedores sociales;
centros de día y albergues de Bilbao; o viven en pisos de inserción
social-, se han concentrado ante el Ayuntamiento de Bilbo para
visibilizar las consecuencias de la crisis y los recortes sociales.
•Con esta movilización se ha querido exigir una política social más acorde con las necesidades de las familias vascas en la actual situación de crisis económica.
COLECTIVOS SOCIALES DE BIZKAIA:
Argilan, Asamblea
Abierta en Defensa de las Prestaciones Sociales, “Asamblea Invisibles
(Ikustezinak)”, Berri-Otxoak, Danok Lan, Elkartzen, Mujeres del Mundo,
Posada los Abrazos, R.B.U. Taldea (Renta Básica Universal), SOS Racismo.
descargar archivos:
En 1,7 millones de familias todos están en el paro
El número de hogares en los que nadie tiene trabajo ha aumentado en un 22% en un año.
PÚBLICO / AGENCIAS Madrid 26/10/2012 09:35 Actualizado: 26/10/2012 11:18
En 1,7 millones de hogares, ninguno de sus miembros en edad de trabajar tiene trabajo. Concretamente, en 1.737.900 viviendas todos sus miembros están en paro, según los datos de la Encuesta de Población Activa (EPA).
Son 200 hogares más que en el trimestre precedente, y representan el 13,36% del total de las viviendas en las que hay, al menos un activo (una persona en edad y disposición de trabajar, según la metodología del Instituto Nacional de Estadística). En un año, el número de famililas con todos sus miembros desempleados ha aumentado en 312.700 (un 21,94 % más). Los hogares con al menos un miembro activo suman un total de 13.004.900, un 0,18 % menos que en el segundo trimestre y un 0,17 % más en la comparativa interanual.
Los datos publicados hoy por el INE muestran también que la cifra de hogares con todos sus miembros ocupados descendió hasta los 8.521.700 en el tercer trimestre, lo que significa que hay 58.800 familias menos en esta situación con respecto al trimestre anterior. En comparación con el mismo periodo de 2011, los hogares con todos los miembros ocupados bajaron en 536.700, lo que supone un descenso del 5,92 %.
Por otro lado, en España existen 4.466.800 hogares sin ningún miembro activo, es decir, que no tienen personas en edad de trabajar o en disposición para ello. Así, hay 43.600 hogares más en esta situación que en junio anterior y 77.900 más que en septiembre de 2011.
Según la EPA, en España hay 17.471.700 hogares, cien mil más que en el tercer trimestre de 2011.
Son 200 hogares más que en el trimestre precedente, y representan el 13,36% del total de las viviendas en las que hay, al menos un activo (una persona en edad y disposición de trabajar, según la metodología del Instituto Nacional de Estadística). En un año, el número de famililas con todos sus miembros desempleados ha aumentado en 312.700 (un 21,94 % más). Los hogares con al menos un miembro activo suman un total de 13.004.900, un 0,18 % menos que en el segundo trimestre y un 0,17 % más en la comparativa interanual.
Los datos publicados hoy por el INE muestran también que la cifra de hogares con todos sus miembros ocupados descendió hasta los 8.521.700 en el tercer trimestre, lo que significa que hay 58.800 familias menos en esta situación con respecto al trimestre anterior. En comparación con el mismo periodo de 2011, los hogares con todos los miembros ocupados bajaron en 536.700, lo que supone un descenso del 5,92 %.
Por otro lado, en España existen 4.466.800 hogares sin ningún miembro activo, es decir, que no tienen personas en edad de trabajar o en disposición para ello. Así, hay 43.600 hogares más en esta situación que en junio anterior y 77.900 más que en septiembre de 2011.
Según la EPA, en España hay 17.471.700 hogares, cien mil más que en el tercer trimestre de 2011.
Neoliberalismo
Desempleo continúa en alza en España: uno de cada cuatro no tiene trabajo
Viernes, 26 de Octubre de 2012 13:32
RT News- Clarín
El
número de desempleados en España aumentó en 85.000 personas en el
tercer trimestre de 2012, hasta alcanzar los 5.778.100, un nuevo máximo
que equivale al 25,02% de la población activa.
El
aumento, del que informa el Instituto Nacional de Estadística (INE), se
da a conocer durante la ola de protestas en España en contra de los
presupuestos de 2013, que, a juicio de los activistas, generan "opresión
y miseria".
En
general, la economía española retrocedió el 0,4 % en el tercer
trimestre, según el informe económico del Banco de España.Anteriormente
la economía de España entró técnicamente en recesión tras la caída
acumulada de su Producto Interno Bruto durante dos trimestres
consecutivos.
Las
políticas económicas del Gobierno son erróneas y profundizarán la
recesión, opinan los analistas. Los españoles a su vez opinan que las
autoridades están resolviendo los problemas financieros de las élites
bancarias a costa de los ciudadanos comunes y que la política de ajustes
no contribuirá al crecimiento económico, sino que, por el contrario,
agudizará la recesión.
¿Los "frutos" de los que habla el Rey?: Los hogares con todos sus miembros en paro suben un 22% en un año
por Kaos. Estado español
Viernes, 26 de Octubre de 2012 11:21
Los hogares con todos sus miembros en paro subieron en el tercer
trimestre en 200, lo que supone un 0,01% más que en el trimestre
anterior, hasta situarse en 1.737.900, según datos de la Encuesta de
Población Activa (EPA) difundida este viernes por el Instituto Nacional
de Estadística (INE).
Agencias
En comparación con el mismo trimestre de 2011, los hogares con todos sus miembros en paro se han incrementado en 312.700, un 21,94% más.
Por su parte, los hogares con todos sus integrantes ocupados se redujeron en 58.800 en el tercer trimestre del año, un 0,69% menos respecto al trimestre precedente, hasta un total de 8.521.700 hogares. En el último año, las familias con todos sus miembros ocupados han bajado en 536.700 (-5,9%).
Asimismo, los hogares con el menos un activo descendieron en 23.600 en el tercer trimestre (-0,18%), aunque aumentaron en 22.300 (+0,17%) en comparación con igual periodo de 2011. Los hogares en los que no hay ningún activo se incrementaron en 43.600 entre julio y septiembre (+1%) y en 77.900 en un año (+1,78%).
Los hogares con todos sus miembros en paro subieron en 2011 en 247.000, un 18,6% más que en 2010. En el último trimestre de 2011, los hogares con todos sus miembros en paro se incrementaron en 149.800, cifra muy similar a la registrada en el primer trimestre de este año, cuando aumentaron en 153.400. En el segundo trimestre subieron en 9.300.
Por su parte, los hogares con todos sus integrantes ocupados se redujeron en 374.600 durante 2011, un 4% respecto a 2010. En los últimos tres meses de aquel ejercicio, las familias con todos sus miembros ocupados bajaron en 212.300 (-2,3%), mientras que en el primer trimestre de este año disminuyeron en 252.300 y en el segundo bajaron en 13.200.
En comparación con el mismo trimestre de 2011, los hogares con todos sus miembros en paro se han incrementado en 312.700, un 21,94% más.
Por su parte, los hogares con todos sus integrantes ocupados se redujeron en 58.800 en el tercer trimestre del año, un 0,69% menos respecto al trimestre precedente, hasta un total de 8.521.700 hogares. En el último año, las familias con todos sus miembros ocupados han bajado en 536.700 (-5,9%).
Asimismo, los hogares con el menos un activo descendieron en 23.600 en el tercer trimestre (-0,18%), aunque aumentaron en 22.300 (+0,17%) en comparación con igual periodo de 2011. Los hogares en los que no hay ningún activo se incrementaron en 43.600 entre julio y septiembre (+1%) y en 77.900 en un año (+1,78%).
Los hogares con todos sus miembros en paro subieron en 2011 en 247.000, un 18,6% más que en 2010. En el último trimestre de 2011, los hogares con todos sus miembros en paro se incrementaron en 149.800, cifra muy similar a la registrada en el primer trimestre de este año, cuando aumentaron en 153.400. En el segundo trimestre subieron en 9.300.
Por su parte, los hogares con todos sus integrantes ocupados se redujeron en 374.600 durante 2011, un 4% respecto a 2010. En los últimos tres meses de aquel ejercicio, las familias con todos sus miembros ocupados bajaron en 212.300 (-2,3%), mientras que en el primer trimestre de este año disminuyeron en 252.300 y en el segundo bajaron en 13.200.
Ya hay un millón de jóvenes en España en paro y sin estudios obligatorios
por Kaos. Laboral y economía
Viernes, 26 de Octubre de 2012 10:33
El número de jóvenes españoles entre 16 y 19 años en paro y sin
estudios obligatorios asciende en 2012 a cerca de un millón y se debe,
fundamentalmente, a la burbuja inmobiliaria, según un análisis de la
Fundación de Estudios de Economía Aplicada, en base a datos de la
Encuesta de Población Activa.
Agencias
Así lo ha indicado el subdirector de esta entidad, José Ignacio Conde Ruiz, durante el seminario ‘Formación Profesional Dual: Experiencia Suiza y Española’, celebrado en Madrid, y en el que también ha mostrado con un gráfico que este colectivo de jóvenes sin Educación Secundaria Obligatoria (ESO) y en situación de desempleo se ha duplicado en los últimos cinco años.
En 2007, los jóvenes en estas circunstancias no superaban los 400.000 y en 2012 esta cifra asciende a más de 950.000. “Se trata de uno de los problemas a los que España se tiene que enfrentar en los próximos años y que es consecuencia también de la burbuja inmobiliaria”, ha indicado Conde Ruiz, no sin advertir de que se trata de una situación que España “arrastra” desde antes de la eclosión inmobiliaria.
“Hay que pensar en que esta cantidad de jóvenes son la cara humana de las consecuencias de la explosión inmobiliaria y se trata de un capital humano que hay que reparar. Siempre pensamos en que hay que reparar el capital físico (financiero), pero el humano es mucho más importante y mucho más difícil porque son jóvenes, que, según pasa el tiempo, empiezan a descapitalizarse más, algo dañino para su proyección profesional y su futuro”, ha aseverado.
El subdirector de FEDEA ha insistido en la necesidad de “solventar” este problema en España porque si no, “se empezará a hablar de una generación de jóvenes perdida”. Por ello, ha hecho hincapié en que en los Presupuestos Generales del Estado (PGE) se “priorice” el gasto en “reciclar” a estos jóvenes para poderlos emplear, una inversión, a su juicio, “puramente productiva”.
Durante la presentación de este seminario, organizado también por la Embajada Suiza, también ha intervenido la secretaria de Estado de educación, Formación Profesional y Universidades, Montserrat Gomendio, que ha reconocido los resultados de este sistema dual en Suiza y Alemania, que han conseguido incrementar la empleabilidad de los jóvenes y reducir los problemas de transición entre el ámbito educativo y el laboral.
“Ningún Gobierno debe aceptar que sus jóvenes tengan la sensación de que no se les ofrecen perspectivas. No debemos olvidar que es una responsabilidad que todos tenemos”, ha aseverado Gomendio, al tiempo que ha advertido de que la implantación del sistema dual en España “no está exento de problemas”.
En este sentido, ha citado el “desajuste” entre el número de plazas de aprendizaje y la demanda, las “desigualdades” provocadas por la concentración de jóvenes más cualificados en las ocupaciones de mayor proyección, la necesidad de dotar de”mayor flexibilidad” al sistema para adaptarse a los empleos.
Así lo ha indicado el subdirector de esta entidad, José Ignacio Conde Ruiz, durante el seminario ‘Formación Profesional Dual: Experiencia Suiza y Española’, celebrado en Madrid, y en el que también ha mostrado con un gráfico que este colectivo de jóvenes sin Educación Secundaria Obligatoria (ESO) y en situación de desempleo se ha duplicado en los últimos cinco años.
En 2007, los jóvenes en estas circunstancias no superaban los 400.000 y en 2012 esta cifra asciende a más de 950.000. “Se trata de uno de los problemas a los que España se tiene que enfrentar en los próximos años y que es consecuencia también de la burbuja inmobiliaria”, ha indicado Conde Ruiz, no sin advertir de que se trata de una situación que España “arrastra” desde antes de la eclosión inmobiliaria.
“Hay que pensar en que esta cantidad de jóvenes son la cara humana de las consecuencias de la explosión inmobiliaria y se trata de un capital humano que hay que reparar. Siempre pensamos en que hay que reparar el capital físico (financiero), pero el humano es mucho más importante y mucho más difícil porque son jóvenes, que, según pasa el tiempo, empiezan a descapitalizarse más, algo dañino para su proyección profesional y su futuro”, ha aseverado.
El subdirector de FEDEA ha insistido en la necesidad de “solventar” este problema en España porque si no, “se empezará a hablar de una generación de jóvenes perdida”. Por ello, ha hecho hincapié en que en los Presupuestos Generales del Estado (PGE) se “priorice” el gasto en “reciclar” a estos jóvenes para poderlos emplear, una inversión, a su juicio, “puramente productiva”.
Durante la presentación de este seminario, organizado también por la Embajada Suiza, también ha intervenido la secretaria de Estado de educación, Formación Profesional y Universidades, Montserrat Gomendio, que ha reconocido los resultados de este sistema dual en Suiza y Alemania, que han conseguido incrementar la empleabilidad de los jóvenes y reducir los problemas de transición entre el ámbito educativo y el laboral.
“Ningún Gobierno debe aceptar que sus jóvenes tengan la sensación de que no se les ofrecen perspectivas. No debemos olvidar que es una responsabilidad que todos tenemos”, ha aseverado Gomendio, al tiempo que ha advertido de que la implantación del sistema dual en España “no está exento de problemas”.
En este sentido, ha citado el “desajuste” entre el número de plazas de aprendizaje y la demanda, las “desigualdades” provocadas por la concentración de jóvenes más cualificados en las ocupaciones de mayor proyección, la necesidad de dotar de”mayor flexibilidad” al sistema para adaptarse a los empleos.
Ya han empezado: la contrarreforma laboral facilitará decenas de miles de despidos en el sector público
por Kaos. Laboral y Economía
Sábado, 27 de Octubre de 2012 13:01
El gobierno del PP aprueba el reglamento que facilitará el despido
barato y masivo del personal laboral del sector público con contrato
indefinido, aplicando la contrarrreforma laboral de febrero pasado.
El mismo día que el paro ha superado la barrera del 25%, con el foco
puesto en la destrucción de empleo en el sector público –que ha perdido
49.400 trabajadores en los últimos tres meses– el Gobierno ha aprobado
un Real Decreto por el que autoriza a las empresas, entidades o
sociedades en cuyo capital participe de forma mayoritaria el Estado a
despedir a su personal laboral alegando las mismas causas de las que se
sirven las empresas del sector privado.
La reordenación del mercado de trabajo aprobada el pasado febrero amplió las causas por las que las empresas pueden despedir con 20 días de indemnización por año trabajado (con un tope de 12 mensualidades). A las razones que ya incluía la anterior reforma laboral del Ejecutivo de Zapatero (que introdujo la existencia de pérdidas como motivo de despido objetivo), se añadieron entonces otras como la disminución de ventas o ingresos durante tres trimestres consecutivos.
El real decreto aprobado este viernes desarrolla, por tanto, la disposición adicional vigésima del Estatuto de los Trabajadores, a la que se incorporaron estos motivos y facilita el despedido de personal laboral al servicio de la Administración. No obstante, la ministra de Empleo, Fátima Báñez, ha recordado que esta medida en ningún caso afectará a los funcionarios, que tienen un régimen jurídico distinto.
En el caso de las Administraciones Públicas, también se regula un procedimiento específico. Será necesario un informe previo y vinculante del órgano competente en materia de función pública aplicable a las Administraciones Públicas en las que estuviera legalmente previsto.En todo caso, además de la autoridad laboral y la participación de la Inspección de Trabajo y de la Seguridad Social, deberá intervenir, cuando se trate de la Administración General del Estado y de las Comunidades Autónomas, la autoridad administrativa. La norma refuerza los requerimientos de documentación justificativa, ya que el procedimiento se iniciará por escrito y deberá acompañarse de documentación justificativa exhaustiva sobre las causas que lo motivan.
Cuando se trate de causas económicas se deben añadir, entre otros, los presupuestos del organismo o entidad y la certificación del responsable de la oficina presupuestaria u órgano contable.
En la rueda de prensa posterior al Consejo de Ministros, Báñez se refirió a los datos de la EPA conocidos esta mañana. Así, aseguró que, a pesar de los 5,7 millones de parados, hay datos"esperanzadores", como el aumento de trabajadores autónomos (85.000 más) o que la destrucción de empleo venga, sobre todo, por la reducción de la Administración pública. En el sector privado, aclaró la ministra, esta destrucción de puestos de trabajo se está ralentizando. Acto seguido, quiso hacer una aclaración ante la mirada estupefacta de la vicepresidenta en su mesa de portavoz: "Para elGobierno, son también personas la gente que se va al paro desde el sector público", informa Ana Pardo de Vera.
CCOO ya ha anunciado que presentará un recurso de inconstitucionalidad contra esta medida. La organización que lidera Ignacio Fernández Toxo considera que al establecer el despido como la única vía de salida que tendrán las administraciones públicas para adaptarse a las dificultades económicas "queda al descubierto" que lo que perseguía el Gobierno en el sector público era hacer el ajuste presupuestario a través de la reducción de personal.
Por su parte, UGT este nuevo reglamento "profundiza" en la ley que aprobó el Gobierno sobre medidas urgentes para la reforma del mercado laboral, que supuso atribuir al empresario facultades "casi absolutas" a la hora de determinar la extinción de los contratos o la reducción de la jornada laboral. Y contribuye a un aumento considerable de la indefensión y desprotección de los trabajadores, al tiempo que no resuelve los problemas de inseguridad jurídica de la citada ley y, además, confirma la eliminación de los controles administrativos y judiciales para proceder al despido.
Clara Blanchar El País
Barcelona
21 OCT 2012 - 01:42 CET
El gigante del automóvil, la histórica compañía Ford, se
encuentra en un proceso de reconversión de su industria en Europa, lo
que sin duda supondrá un duro golpe a las ya maltrechas economías de los
países afectados. Si hace unos días se hacía público que la compañía cerrará en 2014 su fábrica en la localidad belga de Genk, que da empelo directo a 4.300 personas e indirecto a cerca de 5.000, para llevarse la producción a Valencia, el jueves anunció el cierre también de dos factorías en Reino Unido,
en las localidades de Southampton y Dagenham. En total serán 6.200
personas las que pierdan su trabajo en Ford, un 13% de sus efectivos.
Los trabajadores belgas y británicos no han tardado en reaccionar tras haber conocido la noticia y han empezado las movilizaciones. El jueves hubo jornada de protestas en la localidad de Genk, donde los empleados quemaron varios vehículos a las puertas de las la planta de ensamblaje. La indignación se ha extendido por todo el territorio y hasta en el partido de fútbol de la Liga Europa disputado entre el Genk y el sporting de Lisboa los espectadores sacaron pancartas en apoyo a los trabajadores. Mientras, en Reino Unido los sindicatos ya han anunciado próximas movilizaciones.
Los sindicatos británicos acusan a Ford de "traicionar" a sus "leales clientes" y a su fuerza laboral
Se estima que Ford ofrecerá una indemnización a los que se vean afectados por la eliminación de estos puestos o la posibilidad de ser recolocados en otros trabajos dentro de la misma empresa. Aún así, "esta es una noticia tremenda para los trabajadores de Southampton y Dagenham y una muy mala noticia para el sector industrial del Reino Unido", dijo Justin Bowden, representante del sindicato GMB, que agrupa a los empleados del área del motor.
El secretario general de Unite -el mayor sindicato del país-, Len McCluskey, adelantó que se combatirán estos despidos y acusó a Ford de "traicionar" a sus "leales clientes" y a su fuerza laboral, a la que había prometido fabricar un nuevo modelo de Transit para 2014.
Por otra parte, en Bélgica, el primer ministro Elio di Rupo afirmó que el Gobierno federal debe dar "una respuesta excepcional" a la decisión de Ford Europa al tiempo que apoyó la creación de un plan de empleo para la región afectada. Y apeló a la "unión de las fuerzas" entre todas las autoridades del país, puesto que "es el momento de apoyar sin falta a todos los trabajadores afectados, ya sean flamencos, valones o bruselenses".
Según Ford, su plan le "ayudará a afrontar la sobrecapacidad productiva que ha resultado por la reducción de más del 20 % de la demanda para toda la industria del automóvil en Europa occidental desde 2007". De esta forma, la restructuración que proponen de su industria europea es "una parte fundamental" de su plan para "reforzar el negocio y volver a la senda del crecimiento rentable", señaló el presidente y consejero delegado de Ford Europa, Stephen Odell.
Di Rupo afirmó que "es el momento de apoyar sin falta a todos los trabajadores afectados"El programa fija como objetivos que Ford Europa recupere la rentabilidad a mediados de esta década y que alcance a largo plazo un margen de entre el 6 y el 8%. Este año, la filial europea perderá unos 1.500 millones de dólares (unos 1.154 millones de euros al cambio actual).cAdemás, la capacidad de producción en las fábricas europeas se reducirá en un 18 %, lo que equivale a 335.000 vehículos, con lo que la empresa espera generar unos ahorros anuales de entre 450 y 500 millones de dólares (entre 346 y 385 millones de euros).
Desde la industria automovilística de Almussafes, en Valencia, los tres sindicatos, CCOO, UGT y CGT, también han recibido la nueva como una "mala noticia" y han mostrado su solidaridad con los trabajadores de Genk y Reino Unido. Esto es "un indicativo de que la crisis está haciendo mucho daño a los fabricantes de automóviles", afirmó portavoz de CCOO, Miquel Rosaleny.
En la ciudad de Lyon unas 800 personas rechazaron los planes del consorcio de reducir personal para bajar sus costos, a pesar de que en 2011 obtuvo ganancias multimillonarias.
Thierry Bodin, coordinador de la Confederación General del Trabajo, dijo que Sanofi declaró ese año utilidades por ocho mil millones de euros, la mitad de los cuales serán distribuidos a los accionistas.
Por su parte, Pascal Vially, de la Confederación Francesa Democrática del Trabajo, aseguró que los planes de la empresa significan una destrucción del potencial industrial y científico de Francia.
Entre los manifestantes en esa urbe había también delegados de las vecinas plantas de Montpellier y Toulouse.
Sanofi emplea en esa región a unos 6.000 trabajadores, de los cuales por lo menos 2.000 serán afectados por los despidos, según las organizaciones sindicales.
Otras marchas se realizaron en los alrededores de las plantas de Ambarés-et-Lagrave y Saint-Loubois, en el departamento de Gironda, así como en la región parisina.
La agencia estatal Pôle Emploi reveló recientemente que la tasa de paro subió en Francia al 10,1 por ciento de la población en edad laboral y afecta a más de tres millones.
RC
La reordenación del mercado de trabajo aprobada el pasado febrero amplió las causas por las que las empresas pueden despedir con 20 días de indemnización por año trabajado (con un tope de 12 mensualidades). A las razones que ya incluía la anterior reforma laboral del Ejecutivo de Zapatero (que introdujo la existencia de pérdidas como motivo de despido objetivo), se añadieron entonces otras como la disminución de ventas o ingresos durante tres trimestres consecutivos.
El real decreto aprobado este viernes desarrolla, por tanto, la disposición adicional vigésima del Estatuto de los Trabajadores, a la que se incorporaron estos motivos y facilita el despedido de personal laboral al servicio de la Administración. No obstante, la ministra de Empleo, Fátima Báñez, ha recordado que esta medida en ningún caso afectará a los funcionarios, que tienen un régimen jurídico distinto.
En el caso de las Administraciones Públicas, también se regula un procedimiento específico. Será necesario un informe previo y vinculante del órgano competente en materia de función pública aplicable a las Administraciones Públicas en las que estuviera legalmente previsto.En todo caso, además de la autoridad laboral y la participación de la Inspección de Trabajo y de la Seguridad Social, deberá intervenir, cuando se trate de la Administración General del Estado y de las Comunidades Autónomas, la autoridad administrativa. La norma refuerza los requerimientos de documentación justificativa, ya que el procedimiento se iniciará por escrito y deberá acompañarse de documentación justificativa exhaustiva sobre las causas que lo motivan.
Cuando se trate de causas económicas se deben añadir, entre otros, los presupuestos del organismo o entidad y la certificación del responsable de la oficina presupuestaria u órgano contable.
En la rueda de prensa posterior al Consejo de Ministros, Báñez se refirió a los datos de la EPA conocidos esta mañana. Así, aseguró que, a pesar de los 5,7 millones de parados, hay datos"esperanzadores", como el aumento de trabajadores autónomos (85.000 más) o que la destrucción de empleo venga, sobre todo, por la reducción de la Administración pública. En el sector privado, aclaró la ministra, esta destrucción de puestos de trabajo se está ralentizando. Acto seguido, quiso hacer una aclaración ante la mirada estupefacta de la vicepresidenta en su mesa de portavoz: "Para elGobierno, son también personas la gente que se va al paro desde el sector público", informa Ana Pardo de Vera.
CCOO ya ha anunciado que presentará un recurso de inconstitucionalidad contra esta medida. La organización que lidera Ignacio Fernández Toxo considera que al establecer el despido como la única vía de salida que tendrán las administraciones públicas para adaptarse a las dificultades económicas "queda al descubierto" que lo que perseguía el Gobierno en el sector público era hacer el ajuste presupuestario a través de la reducción de personal.
Por su parte, UGT este nuevo reglamento "profundiza" en la ley que aprobó el Gobierno sobre medidas urgentes para la reforma del mercado laboral, que supuso atribuir al empresario facultades "casi absolutas" a la hora de determinar la extinción de los contratos o la reducción de la jornada laboral. Y contribuye a un aumento considerable de la indefensión y desprotección de los trabajadores, al tiempo que no resuelve los problemas de inseguridad jurídica de la citada ley y, además, confirma la eliminación de los controles administrativos y judiciales para proceder al despido.
El Gobierno facilita el despido de empleados públicos
CCOO presentará un recurso de inconstitucionalidad contra esta medida al considerar que "queda al descubierto" que lo que perseguía el Gobierno en el sector público era hacer el ajuste presupuestario a través de la reducción de personal
PÚBLICO Madrid 26/10/2012 17:25 Actualizado: 26/10/2012 19:04La ministra de Empleo, Fátima Báñez, este viernes, durante la rueda de prensa posterior al Consejo de Ministros.EFE
El mismo día que el paro ha superado la barrera del 25%, con
el foco puesto en la destrucción de empleo en el sector público –que ha
perdido 49.400 trabajadores en los últimos tres meses– el Gobierno ha
aprobado un Real Decreto por el que autoriza a las empresas, entidades o
sociedades en cuyo capital participe de forma mayoritaria el Estado a
despedir a su personal laboral alegando las mismas causas de las que se sirven las empresas del sector privado.
La reordenación del mercado de trabajo aprobada el pasado febrero amplió las causas por las que las empresas pueden despedir con 20 días de indemnización por año trabajado (con un tope de 12 mensualidades). A las razones que ya incluía la anterior reforma laboral del Ejecutivo de Zapatero (que introdujo la existencia de pérdidas como motivo de despido objetivo), se añadieron entonces otras como la disminución de ventas o ingresos durante tres trimestres consecutivos.
El real decreto aprobado este viernes desarrolla, por tanto, la disposición adicional vigésima del Estatuto de los Trabajadores, a la que se incorporaron estos motivos y facilita el despedido de personal laboral al servicio de la Administración. No obstante, la ministra de Empleo, Fátima Báñez, ha recordado que esta medida en ningún caso afectará a los funcionarios, que tienen un régimen jurídico distinto.
En el caso de las Administraciones Públicas, también se regula un procedimiento específico. Será necesario un informe previo y vinculante del órgano competente en materia de función pública aplicable a las Administraciones Públicas en las que estuviera legalmente previsto.En todo caso, además de la autoridad laboral y la participación de la Inspección de Trabajo y de la Seguridad Social, deberá intervenir, cuando se trate de la Administración General del Estado y de las Comunidades Autónomas, la autoridad administrativa. La norma refuerza los requerimientos de documentación justificativa, ya que el procedimiento se iniciará por escrito y deberá acompañarse de documentación justificativa exhaustiva sobre las causas que lo motivan.
Cuando se trate de causas económicas se deben añadir, entre otros, los presupuestos del organismo o entidad y la certificación del responsable de la oficina presupuestaria u órgano contable.
En la rueda de prensa posterior al Consejo de Ministros, Báñez se refirió a los datos de la EPA conocidos esta mañana. Así, aseguró que, a pesar de los 5,7 millones de parados, hay datos"esperanzadores", como el aumento de trabajadores autónomos (85.000 más) o que la destrucción de empleo venga, sobre todo, por la reducción de la Administración pública. En el sector privado, aclaró la ministra, esta destrucción de puestos de trabajo se está ralentizando. Acto seguido, quiso hacer una aclaración ante la mirada estupefacta de la vicepresidenta en su mesa de portavoz: "Para elGobierno, son también personas la gente que se va al paro desde el sector público", informa Ana Pardo de Vera.
CCOO ya ha anunciado que presentará un recurso de inconstitucionalidad contra esta medida. La organización que lidera Ignacio Fernández Toxo considera que al establecer el despido como la única vía de salida que tendrán las administraciones públicas para adaptarse a las dificultades económicas "queda al descubierto" que lo que perseguía el Gobierno en el sector público era hacer el ajuste presupuestario a través de la reducción de personal.
Por su parte, UGT este nuevo reglamento "profundiza" en la ley que aprobó el Gobierno sobre medidas urgentes para la reforma del mercado laboral, que supuso atribuir al empresario facultades "casi absolutas" a la hora de determinar la extinción de los contratos o la reducción de la jornada laboral. Y contribuye a un aumento considerable de la indefensión y desprotección de los trabajadores, al tiempo que no resuelve los problemas de inseguridad jurídica de la citada ley y, además, confirma la eliminación de los controles administrativos y judiciales para proceder al despido.
La reordenación del mercado de trabajo aprobada el pasado febrero amplió las causas por las que las empresas pueden despedir con 20 días de indemnización por año trabajado (con un tope de 12 mensualidades). A las razones que ya incluía la anterior reforma laboral del Ejecutivo de Zapatero (que introdujo la existencia de pérdidas como motivo de despido objetivo), se añadieron entonces otras como la disminución de ventas o ingresos durante tres trimestres consecutivos.
El real decreto aprobado este viernes desarrolla, por tanto, la disposición adicional vigésima del Estatuto de los Trabajadores, a la que se incorporaron estos motivos y facilita el despedido de personal laboral al servicio de la Administración. No obstante, la ministra de Empleo, Fátima Báñez, ha recordado que esta medida en ningún caso afectará a los funcionarios, que tienen un régimen jurídico distinto.
En el caso de las Administraciones Públicas, también se regula un procedimiento específico. Será necesario un informe previo y vinculante del órgano competente en materia de función pública aplicable a las Administraciones Públicas en las que estuviera legalmente previsto.En todo caso, además de la autoridad laboral y la participación de la Inspección de Trabajo y de la Seguridad Social, deberá intervenir, cuando se trate de la Administración General del Estado y de las Comunidades Autónomas, la autoridad administrativa. La norma refuerza los requerimientos de documentación justificativa, ya que el procedimiento se iniciará por escrito y deberá acompañarse de documentación justificativa exhaustiva sobre las causas que lo motivan.
Cuando se trate de causas económicas se deben añadir, entre otros, los presupuestos del organismo o entidad y la certificación del responsable de la oficina presupuestaria u órgano contable.
En la rueda de prensa posterior al Consejo de Ministros, Báñez se refirió a los datos de la EPA conocidos esta mañana. Así, aseguró que, a pesar de los 5,7 millones de parados, hay datos"esperanzadores", como el aumento de trabajadores autónomos (85.000 más) o que la destrucción de empleo venga, sobre todo, por la reducción de la Administración pública. En el sector privado, aclaró la ministra, esta destrucción de puestos de trabajo se está ralentizando. Acto seguido, quiso hacer una aclaración ante la mirada estupefacta de la vicepresidenta en su mesa de portavoz: "Para elGobierno, son también personas la gente que se va al paro desde el sector público", informa Ana Pardo de Vera.
CCOO ya ha anunciado que presentará un recurso de inconstitucionalidad contra esta medida. La organización que lidera Ignacio Fernández Toxo considera que al establecer el despido como la única vía de salida que tendrán las administraciones públicas para adaptarse a las dificultades económicas "queda al descubierto" que lo que perseguía el Gobierno en el sector público era hacer el ajuste presupuestario a través de la reducción de personal.
Por su parte, UGT este nuevo reglamento "profundiza" en la ley que aprobó el Gobierno sobre medidas urgentes para la reforma del mercado laboral, que supuso atribuir al empresario facultades "casi absolutas" a la hora de determinar la extinción de los contratos o la reducción de la jornada laboral. Y contribuye a un aumento considerable de la indefensión y desprotección de los trabajadores, al tiempo que no resuelve los problemas de inseguridad jurídica de la citada ley y, además, confirma la eliminación de los controles administrativos y judiciales para proceder al despido.
Trabajar ya no saca de pobre
Los ingresos de casi medio millón de asalariados están por debajo de los umbrales de pobreza
La precariedad laboral es la principal causa
Las entidades alertan de que la pobreza infantil, invisible, alcanzó el 28% en 2011
Un hombre sale de un comedor social hace unos meses en Barcelona / CARLES RIBAS
Tener un empleo ya no es garantía para salir de la pobreza. La
precariedad laboral, sumada al incremento del coste de la vida y
rematada por los recortes sociales es una bomba que ha provocado que
entre los nuevos pobres haya cada día más trabajadores. La brecha entre
ricos y pobres crece y la clase media se desplaza hacia abajo. ¿Cómo, si
no, se explica que crezca el número de hombres y mujeres que acuden a
los comedores sociales pese a trabajar? Lo ven los servicios sociales,
las entidades que atienden a los más desfavorecidos y lo acaban de
constatar las estadísticas: en Cataluña hay casi medio millón de
asalariados pobres. Son el 14,8% de los algo más de tres millones de
ocupados, 456.397 personas cuyos ingresos están por debajo del 60% de
los de la media. Para entendernos, cobran menos de 750 euros o de 1.400
si en el hogar hay dos adultos con dos hijos.
De esta nueva realidad llevan unos meses alertando los sindicatos, que recuerdan que entre los sectores con los peores salarios figuran el pequeño comercio, la limpieza, la artesanía y la atención a las personas. La cifra de medio millón de trabajadores pobres la reveló la semana pasada UGT, que denunció que en tres años se ha duplicado la tasa de riesgo de los asalariados de caer en la pobreza. Solo una semana antes hacía público que en los últimos tres años cada día se marchan nueve jóvenes a vivir al extranjero. “Estamos en una situación en la que el trabajo ha dejado de ser garantía de una situación económica que permita vivir tranquilo”, señala la secretaria de Políticas Sociales del sindicato, Raquel Gil. “Hay miles de asalariados que necesitan prestaciones y servicios públicos para complementar su situación y los recortes sobre las prestaciones si dejan de tener empleo les abocan todavía más a la pobreza”, insiste.
Desde CC OO, la secretaria de Socioeconomía, Cristina Faciaben, apunta que la causa de este nuevo fenómeno es “la pérdida constante de poder adquisitivo con recortes salariales o de pagas y complementos en los empleados públicos, sumada a los niveles exagerados de precariedad, con trabajos cada vez peor pagados, con altas tasas de temporalidad o subocupación”. Faciaben alerta del remate que puede representar para estas personas el constante aumento del IPC, el del IVA impuesto por el Gobierno de Mariano Rajoy y el euro por receta del Ejecutivo de Artur Mas. “El encarecimiento de productos de consumo nos convierte a todos en más pobres y no hablamos de llenar el depósito de gasolina, que también, sino de comer o vestirse”, dice.
El INE indicaba el pasado lunes que España sufre la mayor pérdida de poder adquisitivo en 27 años por la diferencia entre salarios y precios. Y hace dos semanas la Encuesta de Condiciones de Vida de la Diputación de Barcelona revelaba que en Cataluña hay 2,2 millones de pobres. La cifra supera los 1,3 millones de ciudadanos que se consideran pobres si solo se tienen en cuenta sus ingresos, porque toma como referencia el índice AROPE, del Eurostat, que también incluye el número de parados por unidad familiar y las restricciones de consumo.
La misma encuesta de la Diputación destacaba que los jubilados, con sus pensiones quizá bajas pero estables, han dejado de ser la principal bolsa de pobreza. En cambio, la que se encuentra entre los asalariados arrastra a los menores que tienen a su cargo. Son niños y chavales que las entidades subrayan como las principales víctimas de la crisis, que, aunque no hablan, se manifiestan como los mayores. La Federación de Entidades de Atención y Educación a la Infancia y Adolescencia (Fedaia) denuncia que la cifra de pobreza infantil en Cataluña subió del 23,7% en 2010 al 28% en 2011 y el presidente de la federación, Jaume Clupés, alertaba el jueves durante una jornada de debate de la necesidad de hacerlos visibles.
Por su parte, la Mesa del Tercer Sector ha pedido a los partidos políticos en vísperas de las elecciones del 25-N que prioricen las inversiones sociales para luchar “contra el incremento de la pobreza y las desigualdades”. El de las entidades es un clamor al que también se ha sumado el síndic de greuges, Rafael Ribó, que se dirigió a las formaciones políticas del Parlament para exponer su “preocupación por el crecimiento de la pobreza en Cataluña y, particularmente, por el impacto que tiene en la población infantil”.
Desde la federación de Entidades Catalanas de Acción Social (ECAS), Maria Elena Alfaro, constata: “Es imposible vivir con 750 euros al mes, cuando todo el mundo sabe que con un salario normal hoy se puede hacer solo la mitad que hace 10 años”. Además de miembro de la junta de ECAS, Alfaro dirige la fundación Ared, que trabaja en la reinserción de mujeres en riesgo de exclusión. Desde esta posición, alerta de que antes la reinserción pasaba por el empleo. “Pero ahora, con estos sueldos, trabajar, sí, pero ¿y qué?”.
Esta profesional habla sin pelos en la lengua y reconoce su “indignación al pensar que en 2005 habíamos soñado con erradicar la pobreza”. “Ya no creemos en el discurso de la crisis como oportunidad, ni en el de la reinvención... el retroceso y el desmantelamiento del Estado de bienestar es brutal y no estamos preparados”, dice y recuerda que en situaciones como la actual cunde el miedo y “la gente enferma, se separa, se violenta...”.
“La única salida”, concluye, “es mantener la motivación, tirar de imaginación y evitar las trampas: lo que ocurre no es ni por vagancia, ni por exceso de beneficiarios de la renta mínima de inserción, ni porque haya demasiados nini, ni porque hayamos vivido por encima de nuestras posibilidades... Es consecuencia de que el mundo no giró en el eje del trabajo, sino sobre la especulación”.
por L.López
Avalaron el piso de su nieto, que hoy no pueden pagar. Foto previa al desahucio. Así es la España capitalista de 2012.
Carlos E. Cué el País
Madrid
27 OCT 2012 - 00:00 CET
Luis Doncel /
El País
Bruselas
/
Madrid
26 OCT 2012 - 16:53 CET
La directora del FMI, Christine Lagarde. / EFE
De esta nueva realidad llevan unos meses alertando los sindicatos, que recuerdan que entre los sectores con los peores salarios figuran el pequeño comercio, la limpieza, la artesanía y la atención a las personas. La cifra de medio millón de trabajadores pobres la reveló la semana pasada UGT, que denunció que en tres años se ha duplicado la tasa de riesgo de los asalariados de caer en la pobreza. Solo una semana antes hacía público que en los últimos tres años cada día se marchan nueve jóvenes a vivir al extranjero. “Estamos en una situación en la que el trabajo ha dejado de ser garantía de una situación económica que permita vivir tranquilo”, señala la secretaria de Políticas Sociales del sindicato, Raquel Gil. “Hay miles de asalariados que necesitan prestaciones y servicios públicos para complementar su situación y los recortes sobre las prestaciones si dejan de tener empleo les abocan todavía más a la pobreza”, insiste.
Desde CC OO, la secretaria de Socioeconomía, Cristina Faciaben, apunta que la causa de este nuevo fenómeno es “la pérdida constante de poder adquisitivo con recortes salariales o de pagas y complementos en los empleados públicos, sumada a los niveles exagerados de precariedad, con trabajos cada vez peor pagados, con altas tasas de temporalidad o subocupación”. Faciaben alerta del remate que puede representar para estas personas el constante aumento del IPC, el del IVA impuesto por el Gobierno de Mariano Rajoy y el euro por receta del Ejecutivo de Artur Mas. “El encarecimiento de productos de consumo nos convierte a todos en más pobres y no hablamos de llenar el depósito de gasolina, que también, sino de comer o vestirse”, dice.
El INE indicaba el pasado lunes que España sufre la mayor pérdida de poder adquisitivo en 27 años por la diferencia entre salarios y precios. Y hace dos semanas la Encuesta de Condiciones de Vida de la Diputación de Barcelona revelaba que en Cataluña hay 2,2 millones de pobres. La cifra supera los 1,3 millones de ciudadanos que se consideran pobres si solo se tienen en cuenta sus ingresos, porque toma como referencia el índice AROPE, del Eurostat, que también incluye el número de parados por unidad familiar y las restricciones de consumo.
La misma encuesta de la Diputación destacaba que los jubilados, con sus pensiones quizá bajas pero estables, han dejado de ser la principal bolsa de pobreza. En cambio, la que se encuentra entre los asalariados arrastra a los menores que tienen a su cargo. Son niños y chavales que las entidades subrayan como las principales víctimas de la crisis, que, aunque no hablan, se manifiestan como los mayores. La Federación de Entidades de Atención y Educación a la Infancia y Adolescencia (Fedaia) denuncia que la cifra de pobreza infantil en Cataluña subió del 23,7% en 2010 al 28% en 2011 y el presidente de la federación, Jaume Clupés, alertaba el jueves durante una jornada de debate de la necesidad de hacerlos visibles.
Por su parte, la Mesa del Tercer Sector ha pedido a los partidos políticos en vísperas de las elecciones del 25-N que prioricen las inversiones sociales para luchar “contra el incremento de la pobreza y las desigualdades”. El de las entidades es un clamor al que también se ha sumado el síndic de greuges, Rafael Ribó, que se dirigió a las formaciones políticas del Parlament para exponer su “preocupación por el crecimiento de la pobreza en Cataluña y, particularmente, por el impacto que tiene en la población infantil”.
Desde la federación de Entidades Catalanas de Acción Social (ECAS), Maria Elena Alfaro, constata: “Es imposible vivir con 750 euros al mes, cuando todo el mundo sabe que con un salario normal hoy se puede hacer solo la mitad que hace 10 años”. Además de miembro de la junta de ECAS, Alfaro dirige la fundación Ared, que trabaja en la reinserción de mujeres en riesgo de exclusión. Desde esta posición, alerta de que antes la reinserción pasaba por el empleo. “Pero ahora, con estos sueldos, trabajar, sí, pero ¿y qué?”.
Esta profesional habla sin pelos en la lengua y reconoce su “indignación al pensar que en 2005 habíamos soñado con erradicar la pobreza”. “Ya no creemos en el discurso de la crisis como oportunidad, ni en el de la reinvención... el retroceso y el desmantelamiento del Estado de bienestar es brutal y no estamos preparados”, dice y recuerda que en situaciones como la actual cunde el miedo y “la gente enferma, se separa, se violenta...”.
“La única salida”, concluye, “es mantener la motivación, tirar de imaginación y evitar las trampas: lo que ocurre no es ni por vagancia, ni por exceso de beneficiarios de la renta mínima de inserción, ni porque haya demasiados nini, ni porque hayamos vivido por encima de nuestras posibilidades... Es consecuencia de que el mundo no giró en el eje del trabajo, sino sobre la especulación”.
Nueve personas se suicidan cada día en España; tres por culpa de la crisis
por L.López
Sábado, 27 de Octubre de 2012 16:01
Desde el año 2008 el suicidio es la principal causa de muerte
externa -al margen de las enfermedades- en España, tras haber desbancado
a los accidentes de tráfico.
Prensa
os últimos datos del Instituto Nacional de Estadística
(INE) recogen que en 2010 se quitaron la vida 3.145 personas en todo el
Estado, es decir, casi nueve al día. En Euskadi los datos son más
recientes, del año pasado, cuando se contabilizaron 179 suicidios, la
cifra más alta jamás registrada en la comunidad autónoma.
Desde que estalló la crisis se miraba de reojo a la
situación económica como posible causa para entender por qué alguien
decide poner fin voluntariamente a su existencia. Entre los expertos no
hay unanimidad porque entrar en la cabeza de alguien nunca es fácil, y
menos en situaciones extremas. Además, en quien toma la fatal decisión
de quitarse la vida pueden concurrir todo un abanico de situaciones que
le hacen sentir en un callejón sin salida del que quiere escapar a toda
costa.
Pero hace solo un mes se confirmaron los peores temores:
en el Congreso Nacional de Psiquiatría celebrado en Bilbao se reveló que
los problemas económicos son el origen del 32% de los suicidios. De
hecho, la crisis se alza como la principal causa, seguida del desamor y
los problemas de pareja (25,8%), problemas psiquiátricos (19,1%) y
conflictos familiares (11,2%).
Ecos de Grecia e Italia
En realidad, a España está llegando la misma ola trágica
que ya conocen bien países como Grecia o Italia. En el primero, pionero
en sufrir los rigores de la recesión, los suicidios casi se han
duplicado entre 2008 y 2011, al pasar de 366 a 598. Sin embargo, fue
necesario que un jubilado de 77 años se pegase un tiro hace seis meses
en plena plaza Sintagma, el centro de las protestas de los 'indignados'
en Atenas, para que las autoridades pusiesen la lupa sobre un drama
creciente. En Italia, por su parte, se calcula que un tercio de los
4.000 suicidios conocidos el año pasado tiene su causa inmediata en la
precaria situación económica.
Ahora, con el ahorcamiento de Granada, la cara más cruel
de la crisis se manifiesta en nuestro entorno. Y lo peor es que, si las
estadísticas son ciertas, a lo largo del día de hoy otras tres personas
se quitarán la vida en España porque no encuentran otra salida para
acabar con sus penurias económicas.
Asesinos
por GuardaDespierta
Sábado, 27 de Octubre de 2012 11:49
Ayer un hombre se quito la vida al ir a perder su casa,hoy otro
hombre ha saltado por la ventana cuando iban a desalojar a su familia,
dirán que son suicidios, yo creo son asesinatos.
Ayer un hombre se quito la vida al ir a perder su casa,hoy otro hombre ha saltado por la ventana cuando iban a desalojar a su familia,
dirán que son suicidios, yo creo son asesinatos. Lo peor de todo no es
que los asesinen, lo peor es pensar para qué, ¿Otra casa vacía? ¿Estamos
viendo en una sociedad que mata gente para tener casas vacías? ¿Es
preferible respetar la propiedad a la vida? Darse una vuelta por aguas
vivas es comprobar la hecatombe de la especulación inmobiliaria, cada
persiana bajada indica una casa vacía, una ventana que no se abre y que
no puede ventilar los desaguisados de una sociedad enferma que prefiere
matar personas para respetar el derecho de los especuladores a tener sus
casas vacías. ¿Cuántas sonrisas se abrirían junto a esas ventanas?
¿Cuántas vidas volverían a ser vidas? ¿Cuánta gente tiene que morir?
¿Cuántas familias tienen que sufrir? ¿Cuándo estarán las personas por
encima de los beneficios económicos? Ya lo dijo la bruja Avería : ¡Viva
el mal, Viva el Capital!Avalaron el piso de su nieto, que hoy no pueden pagar. Foto previa al desahucio. Así es la España capitalista de 2012.
El Gobierno prepara el terreno para una nueva reforma de pensiones
Báñez señala que la pensión media ha pasado de 591 a 923 euros desde 2002
Fátima Báñez, ministra de Empleo / Samuel Sánchez
Es un asunto de alto contenido político. Ocho millones de votantes
potenciales esperan una decisión del Ejecutivo. Por eso todo lo que
tenga que ver con pensiones es tratado por el Gobierno con extrema
delicadeza, sobre todo después del coste político que supuso para José
Luis Rodríguez Zapatero la congelación de 2011. Sin embargo, poco a
poco, el Ejecutivo va preparando el terreno para otra reforma. De hecho,
el Ejecutivo tiene una fuerte presión de Bruselas, que insiste en
acelerar los planes aprobados en 2011 por el PSOE —con el voto en contra
del PP— para ampliar la edad de jubilación a los 67 años paulatinamente
hasta 2027. La UE quiere que Mariano Rajoy vaya más rápido. El Gobierno
no se decide pero va dando pasitos.
Ayer fue un día clave en esa estrategia de lento goteo. Fátima Báñez, ministra de Empleo, ofreció una cadena de datos con un mensaje de fondo claro: viene otro cambio profundo de las pensiones. La ministra se lanzó en tromba contra las prejubilaciones y dijo que uno de cada dos altas nuevas en el régimen general de jubilación es anticipada. Pero sobre todo señaló que desde 2002 a 2011 la pensión media de retiro ha pasado de 591 euros mensuales a 923, “lo que representa un alza de más del 60%”, señaló en un claro aviso de que el sistema no aguanta.
Báñez anunció que la semana que viene el secretario de Estado de Seguridad Social, Tomás Burgos, llevará a la reunión del Pacto de Toledo un informe, que estudió ayer el Consejo de Ministros, para desincentivar las jubilaciones anticipadas y buscar fórmulas de “acercar la edad real de jubilación a la edad legal”. Cuando los gobiernos utilizan esta idea, como sucedió antes con el del PSOE, están buscando fórmulas para alargar la edad de jubilación. Báñez explicó que la edad efectiva en España está en 63,3 años —una de las más altas de Europa. aunque este dato no lo ofreció Báñez— y la edad legal es 65 pero desde 2013 empieza a aplicarse paulitanamente la de 67.
El Ejecutivo dice estar muy preocupado por los despidos masivos que se están produciendo incluso en empresas con grandes beneficios, en especial algunas de las más conocidas, de trabajadores mayores de 50 años. Por eso ayer se aprobó el Real Decreto que desarrolla la norma ya incluida en la reforma laboral y que implica que toda empresa de más de 100 trabajadores que despida a personas mayores de 50 años, si ha tenido beneficios en los últimos dos años, tendrá que abonar al Estado el dinero correspondiente al paro de ese trabajador. Bañez insistió en que es una “injusticia” y una gran “pérdida de capital humano y de experiencia” que las empresas estén discriminando a los trabajadores por su edad a la hora de reducir plantilla.
Báñez explicó que las jubilaciones anticipadas cuestan a la Seguridad Social 7.288 millones de euros al año y las parciales 2.690 millones. La ministra planteó que el informe llevará recomendaciones para evitar abusos, como el hecho de que se estén sustituyendo trabajadores cualificados por jóvenes con contratos temporales y precarios.
Íñigo de Barrón
El País Madrid
26 OCT 2012 - 17:50 CET
Ayer fue un día clave en esa estrategia de lento goteo. Fátima Báñez, ministra de Empleo, ofreció una cadena de datos con un mensaje de fondo claro: viene otro cambio profundo de las pensiones. La ministra se lanzó en tromba contra las prejubilaciones y dijo que uno de cada dos altas nuevas en el régimen general de jubilación es anticipada. Pero sobre todo señaló que desde 2002 a 2011 la pensión media de retiro ha pasado de 591 euros mensuales a 923, “lo que representa un alza de más del 60%”, señaló en un claro aviso de que el sistema no aguanta.
Báñez anunció que la semana que viene el secretario de Estado de Seguridad Social, Tomás Burgos, llevará a la reunión del Pacto de Toledo un informe, que estudió ayer el Consejo de Ministros, para desincentivar las jubilaciones anticipadas y buscar fórmulas de “acercar la edad real de jubilación a la edad legal”. Cuando los gobiernos utilizan esta idea, como sucedió antes con el del PSOE, están buscando fórmulas para alargar la edad de jubilación. Báñez explicó que la edad efectiva en España está en 63,3 años —una de las más altas de Europa. aunque este dato no lo ofreció Báñez— y la edad legal es 65 pero desde 2013 empieza a aplicarse paulitanamente la de 67.
El Ejecutivo dice estar muy preocupado por los despidos masivos que se están produciendo incluso en empresas con grandes beneficios, en especial algunas de las más conocidas, de trabajadores mayores de 50 años. Por eso ayer se aprobó el Real Decreto que desarrolla la norma ya incluida en la reforma laboral y que implica que toda empresa de más de 100 trabajadores que despida a personas mayores de 50 años, si ha tenido beneficios en los últimos dos años, tendrá que abonar al Estado el dinero correspondiente al paro de ese trabajador. Bañez insistió en que es una “injusticia” y una gran “pérdida de capital humano y de experiencia” que las empresas estén discriminando a los trabajadores por su edad a la hora de reducir plantilla.
Báñez explicó que las jubilaciones anticipadas cuestan a la Seguridad Social 7.288 millones de euros al año y las parciales 2.690 millones. La ministra planteó que el informe llevará recomendaciones para evitar abusos, como el hecho de que se estén sustituyendo trabajadores cualificados por jóvenes con contratos temporales y precarios.
Bankia sufre hasta septiembre unas pérdidas récord de 7.053 millones
Los números rojos son los mayores de la historia financiera española
La entidad ha cubierto el 75% de los saneamientos inmobiliarios exigidos
La sede de Bankia en Madrid / SERGIO PEREZ (REUTERS)
Bankia ha roto todos los récords de pérdidas. La entidad
nacionalizada que preside José Ignacio Goirigolzarri sufrió unos números
rojos de 7.053 millones de euros, un récord en la historia del sistema
financiero español. Solo en el tercer trimestre perdió 2.605 millones.
Está previsto que pierda unos 10.000 millones en todo el ejercicio 2012
por la necesidad de cubrir todas los activos dañados antes de finalizar
el ejercicio.
Las pérdidas por deterioros de activos ascendieron a 11.485 millones de euros, originando en los nueve primeros meses ese resultado atribuido negativo de 7.053 millones. Estas provisiones incorporan aproximadamente el 75% de las provisiones requeridas por las nuevas normas de saneamiento del sector. La cobertura de los créditos dudosos es del 71,4%, frente al 60,2% de hace nueve meses. La morosidad de la entidad alcanza el récord de 13,3% frente al 7,6% que tenía en diciembre de 2011 y los dudosos ascienden a 25.314 millones.
Los activos de riesgo han caído en 10.000 millones y suman 190.059 millones. En cuanto a su participación inmobiliaria, la entidad admite contar con activos inmobiliarios adjudicados de construcción y promoción inmobiliaria con 2.847 millones de valor neto contable y 1.160 millones en activos procedentes de la financiación para adquisición de vivienda.
Bankia está a la espera de que llegue la inyección de 19.000 millones de capital procedente del rescate europeo. Mientras tanto, su ratio de core capital (el capital de máxima calidad) está situado en el 4,7% hasta septiembre, por debajo del mínimo exigido, que es del 8%. Las entidades intervenidas pueden permanecer con un ratio de capital inferior al mínimo, según la normativa europea. En lo que va de año ha cerrado 141 oficinas (ahora tiene 3.107) y ha reducido la plantilla en 707 personas (cuenta con 20.126 hasta septiembre).
En lo que va de año, el crédito de Bankia al sector privado se ha recortado un 11,9%, hasta 139.584 millones. Los préstamos han caído en 22.360 millones y solo se incrementan los de la Administración, a la que le presta 2.473 millones más que en diciembre pasado. Este el mayor recorte de créditos de toda la banca, con los datos conocidos hasta ahora. La mayor caída del crédito se produjo en el hipotecario, donde ha prestado 10.823 millones y 5.047 millones en los créditos personales.
Por su parte, los recursos de clientes se han reducido en un 25,1%, en parte por la salida de depósitos que ha seguido a la crisis de la entidad. A 30 de septiembre de 2012 los depósitos estrictos de clientes totalizaban 98.793 millones de euros incluyendo los pagarés emitidos por el grupo, con un descenso de 14.257 millones sobre diciembre. Según la entidad, los depósitos de clientes cayeron un 15,8% sobre el cierre de 2011."Esta evolución se explica por la menor financiación a través de cámaras de contrapartida europeas, la amortización de cédulas y el descenso de los depósitos de clientes".
Al cierre del tercer trimestre, la diferencia entre los créditos y los depósitos "se redujo en 66.489 millones, 3.781 millones menos que en diciembre de 2011", dice la nota oficial. No obstante, el ratio de créditos sobre depósitos es del 167%, igual que hace un año. En esta variable negativa, también Bankia está a la cabeza del sector. En cuanto a los vencimientos pendientes, Bankia comenta que tiene 16.713 millones por amortizar hasta 2015. A 30 de Septiembre, el grupo ha cubierto el 98% de los vencimientos mayoristas previstos para 2012, por un total de 17.438 millones.
La cuota de mercado de Bankia sobre depósitos del sector privado residente ha variado del 10,4% de diciembre al 9,4% de agosto (último dato disponible). "La evolución de los depósitos de la entidad en el tercer trimestre ha seguido un comportamiento similar al experimentado por el conjunto del sector en el mismo periodo", dice el banco.
En el tercer trimestre del año, el Grupo Bankia ha generado un beneficio operativo antes de provisiones de 306 millones de euros, soportado principalmente por un margen de intereses de 744 millones de euros y unas comisiones netas de 226 millones de euros. En el acumulado de los primeros nueve meses del año, el beneficio operativo, antes de las provisiones, asciende a 1.457 millones de euros.
En los primeros nueve meses del ejercicio los gastos de administración ascendieron a 1.537 millones de euros, lo que representa un descenso de 131 millones de euros (-7,9%) con respecto al mismo periodo del año anterior en términos recurrentes.
Las pérdidas por deterioros de activos ascendieron a 11.485 millones de euros, originando en los nueve primeros meses ese resultado atribuido negativo de 7.053 millones. Estas provisiones incorporan aproximadamente el 75% de las provisiones requeridas por las nuevas normas de saneamiento del sector. La cobertura de los créditos dudosos es del 71,4%, frente al 60,2% de hace nueve meses. La morosidad de la entidad alcanza el récord de 13,3% frente al 7,6% que tenía en diciembre de 2011 y los dudosos ascienden a 25.314 millones.
Los activos de riesgo han caído en 10.000 millones y suman 190.059 millones. En cuanto a su participación inmobiliaria, la entidad admite contar con activos inmobiliarios adjudicados de construcción y promoción inmobiliaria con 2.847 millones de valor neto contable y 1.160 millones en activos procedentes de la financiación para adquisición de vivienda.
Bankia está a la espera de que llegue la inyección de 19.000 millones de capital procedente del rescate europeo. Mientras tanto, su ratio de core capital (el capital de máxima calidad) está situado en el 4,7% hasta septiembre, por debajo del mínimo exigido, que es del 8%. Las entidades intervenidas pueden permanecer con un ratio de capital inferior al mínimo, según la normativa europea. En lo que va de año ha cerrado 141 oficinas (ahora tiene 3.107) y ha reducido la plantilla en 707 personas (cuenta con 20.126 hasta septiembre).
En lo que va de año, el crédito de Bankia al sector privado se ha recortado un 11,9%, hasta 139.584 millones. Los préstamos han caído en 22.360 millones y solo se incrementan los de la Administración, a la que le presta 2.473 millones más que en diciembre pasado. Este el mayor recorte de créditos de toda la banca, con los datos conocidos hasta ahora. La mayor caída del crédito se produjo en el hipotecario, donde ha prestado 10.823 millones y 5.047 millones en los créditos personales.
Por su parte, los recursos de clientes se han reducido en un 25,1%, en parte por la salida de depósitos que ha seguido a la crisis de la entidad. A 30 de septiembre de 2012 los depósitos estrictos de clientes totalizaban 98.793 millones de euros incluyendo los pagarés emitidos por el grupo, con un descenso de 14.257 millones sobre diciembre. Según la entidad, los depósitos de clientes cayeron un 15,8% sobre el cierre de 2011."Esta evolución se explica por la menor financiación a través de cámaras de contrapartida europeas, la amortización de cédulas y el descenso de los depósitos de clientes".
Al cierre del tercer trimestre, la diferencia entre los créditos y los depósitos "se redujo en 66.489 millones, 3.781 millones menos que en diciembre de 2011", dice la nota oficial. No obstante, el ratio de créditos sobre depósitos es del 167%, igual que hace un año. En esta variable negativa, también Bankia está a la cabeza del sector. En cuanto a los vencimientos pendientes, Bankia comenta que tiene 16.713 millones por amortizar hasta 2015. A 30 de Septiembre, el grupo ha cubierto el 98% de los vencimientos mayoristas previstos para 2012, por un total de 17.438 millones.
La cuota de mercado de Bankia sobre depósitos del sector privado residente ha variado del 10,4% de diciembre al 9,4% de agosto (último dato disponible). "La evolución de los depósitos de la entidad en el tercer trimestre ha seguido un comportamiento similar al experimentado por el conjunto del sector en el mismo periodo", dice el banco.
En el tercer trimestre del año, el Grupo Bankia ha generado un beneficio operativo antes de provisiones de 306 millones de euros, soportado principalmente por un margen de intereses de 744 millones de euros y unas comisiones netas de 226 millones de euros. En el acumulado de los primeros nueve meses del año, el beneficio operativo, antes de las provisiones, asciende a 1.457 millones de euros.
En los primeros nueve meses del ejercicio los gastos de administración ascendieron a 1.537 millones de euros, lo que representa un descenso de 131 millones de euros (-7,9%) con respecto al mismo periodo del año anterior en términos recurrentes.
El FMI pide “liquidar los bancos no viables tan pronto como sea posible”
La UE y el BCE afirma que las reformas ligadas al rescate financiero avanzan a "buen ritmo"
El banco malo echará a andar el próximo 1 de diciembre, pero "si se pone mucho empeño"
El Fondo señala que en la banca "es necesario evitar nuevas fusiones que no generen valor"
La directora del FMI, Christine Lagarde. / EFE
A la espera de un plan europeo inminente para aliviar las tensiones
de la deuda en España, el rescate ya aprobado —el destinado a evitar la
quiebra de buena parte de la banca— avanza según los plazos previstos.
Hoy ha sido la Comisión Europea, el Banco Central Europeo (BCE) y el
Fondo Monetario Internacional (FMI) quienes ha dado su visto bueno a los
pasos que está dando el Gobierno español para sanear las cajas de
ahorro que tuvieron que ser nacionalizadas para evitar su quiebra. En
las próximas semanas se conocerá la cantidad concreta que recibirá
cada una de estas entidades —Bankia, Catalunya Caixa NCG Banco y Banco
de Valencia—, así como las durísimas condiciones que Bruselas impone
para reestructurarlas. El FMI, además, insta a "liquidar los bancos no
viables tan pronto como sea posible" con vistas a garantizar el completo
saneamiento del sector.
En el ámbito de la reestructuración y resolución bancarias, el FMI advierte de que tras las pruebas de resistencia a la banca "es preciso compensar rápidamente los déficits de capital, aplicar los nuevos instrumentos de distribución de la carga y liquidar los bancos no viables tan pronto como sea posible" Además, advierte, "es necesario evitar nuevas fusiones que no generen valor de manera clara y restricciones excesivas sobre la oferta de crédito a nivel del sistema".
“Me felicito por la evaluación positiva de la ejecución del programa para el sector financiero español. Es otro paso hacia la mejora y reforma en profundidad del sector, un elemento esencial para restablecer la confianza de los inversores y de los consumidores”, señala el vicepresidente de la Comisión y titular de Asuntos Económicos, Olli Rehn, en un comunicado hecho público hoy viernes.
A partir de ahora, Bruselas evaluará los planes de reestructuración y recapitalización de los bancos españoles, “lo que debería abrir el camino para los primeros desembolsos a favor de las entidades con necesidad de apoyo público”, continúa el comunicado.
Los inspectores de la Comisión, del Banco Central Europeo y del fondo de rescate permanente, el MEDE, con la asistencia técnica de los expertos del FMI, se reunieron entre el 15 y el 26 de octubre con las autoridades españolas para evaluar el programa de reestructuración de parte de la banca. De estos encuentros, en los que se analizó tanto la situación macroeconómica como la situación del sector financiero español, los expertos extraen que “las condiciones del mercado financiero han mejorado desde el inicio del programa y los problemas de financiación se han reducido”. Pese a ello, “los desafíos siguen siendo importantes y requieren una acción política decisiva”, concluye el comunicado.
Sobre el banco malo, uno de los elementos claves sobre los que gira el rescate financiero aprobado en junio por un máximo de 100.000 millones de euros, Bruselas asegura que se ha alcanzado un acuerdo con las autoridades españolas sobre el diseño y funcionamiento de lo que se denominará como Sareb, que debe comenzar su funcionamiento el próximo 1 de diciembre. El FMI matiza que “será necesario poner mucho empeño para que esté en pleno funcionamiento dentro del plazo previsto de finales de noviembre”.
Asimismo, el organismo reseña que “es importante asegurar que las estructuras de incentivos sean adecuadas, especialmente para la independencia de la administración de la sociedad y la gestión eficaz de los activos transferidos”, con lo que anima a fijar una política de retribuciones clara.
El dinero no empezará a llegar a España hasta el próximo mes de noviembre y para que se desbloquee el comisario de Competencia, Joaquín Almunia, tiene que aprobar los planes de reestructuración de las entidades, que supondrán venta de activos, cierre de oficinas y pérdidas para los titulares de preferentes. Los puntos más conflictivos de una reforma que promete ser dolorosa y difícil de gestionar.
En el ámbito de la reestructuración y resolución bancarias, el FMI advierte de que tras las pruebas de resistencia a la banca "es preciso compensar rápidamente los déficits de capital, aplicar los nuevos instrumentos de distribución de la carga y liquidar los bancos no viables tan pronto como sea posible" Además, advierte, "es necesario evitar nuevas fusiones que no generen valor de manera clara y restricciones excesivas sobre la oferta de crédito a nivel del sistema".
“Me felicito por la evaluación positiva de la ejecución del programa para el sector financiero español. Es otro paso hacia la mejora y reforma en profundidad del sector, un elemento esencial para restablecer la confianza de los inversores y de los consumidores”, señala el vicepresidente de la Comisión y titular de Asuntos Económicos, Olli Rehn, en un comunicado hecho público hoy viernes.
A partir de ahora, Bruselas evaluará los planes de reestructuración y recapitalización de los bancos españoles, “lo que debería abrir el camino para los primeros desembolsos a favor de las entidades con necesidad de apoyo público”, continúa el comunicado.
Los inspectores de la Comisión, del Banco Central Europeo y del fondo de rescate permanente, el MEDE, con la asistencia técnica de los expertos del FMI, se reunieron entre el 15 y el 26 de octubre con las autoridades españolas para evaluar el programa de reestructuración de parte de la banca. De estos encuentros, en los que se analizó tanto la situación macroeconómica como la situación del sector financiero español, los expertos extraen que “las condiciones del mercado financiero han mejorado desde el inicio del programa y los problemas de financiación se han reducido”. Pese a ello, “los desafíos siguen siendo importantes y requieren una acción política decisiva”, concluye el comunicado.
Sobre el banco malo, uno de los elementos claves sobre los que gira el rescate financiero aprobado en junio por un máximo de 100.000 millones de euros, Bruselas asegura que se ha alcanzado un acuerdo con las autoridades españolas sobre el diseño y funcionamiento de lo que se denominará como Sareb, que debe comenzar su funcionamiento el próximo 1 de diciembre. El FMI matiza que “será necesario poner mucho empeño para que esté en pleno funcionamiento dentro del plazo previsto de finales de noviembre”.
Asimismo, el organismo reseña que “es importante asegurar que las estructuras de incentivos sean adecuadas, especialmente para la independencia de la administración de la sociedad y la gestión eficaz de los activos transferidos”, con lo que anima a fijar una política de retribuciones clara.
El dinero no empezará a llegar a España hasta el próximo mes de noviembre y para que se desbloquee el comisario de Competencia, Joaquín Almunia, tiene que aprobar los planes de reestructuración de las entidades, que supondrán venta de activos, cierre de oficinas y pérdidas para los titulares de preferentes. Los puntos más conflictivos de una reforma que promete ser dolorosa y difícil de gestionar.
Recaída
Grecia profundiza el ajuste y despedirá a 150 mil empleados públicos hasta finales del año 2015
por Kaos. Laboral y economía
Sábado, 27 de Octubre de 2012 04:17
El informe de la troika contiene durísimas medidas de gran costo
social como el retraso de la edad de jubilación de 65 a 67 años; el
despido de 5.000 empleados públicos antes de finales de año y de otros
5.000 cada trimestre desde el próximo enero hasta finales de 2015 (hasta
un total de 150.000).
Fuente: Agencias
Todos los caminos de esta
crisis conducen a Atenas. La coalición de gobierno helena y la “troika”
–Banco Central Europeo, FMI y Comisión Europea– estarían, según el
diario alemán Süddeutsche Zeitung , a punto de concluir un acuerdo para
que la Eurozona pudiera desbloquear el siguiente tramo del rescate a
Atenas, 31.000 millones de euros que deben llegar antes de finales de
noviembre para evitar el default heleno.
El acuerdo, que no es
oficial todavía, como recordó ayer en Bruselas un portavoz de la
Comisión Europea, apunta a más ajustes por valor de 11.500 millones de
euros. Además, según el mismo diario alemán, la zona euro estaría
estudiando dar a Grecia dos años más de plazo, hasta 2016, para reducir
su rojo fiscal hasta el 3% del PBI, aunque desde Alemania se negaba
haber llegado a acuerdo alguno.
El ajuste atacará de nuevo
al gasto público esencial. El informe de la troika contiene durísimas
medidas de gran costo social como el retraso de la edad de jubilación de
65 a 67 años; el despido de 5.000 empleados públicos antes de finales
de año y de otros 5.000 cada trimestre desde el próximo enero hasta
finales de 2015 (hasta un total de 150.000); rebaja de pensiones del 12%
y subida de los precios de la energía de hasta un 40%.
Ese plazo añadido es la
muestra de que las cuentas hechas en febrero pasado, junto con el
segundo rescate y la quita del 28% de la deuda helena, no se sostienen
debido a la profundidad de la recesión económica –Grecia está cayendo al
6% en su quinto año de contracción– y al hundimiento de los ingresos
fiscales. Además, Grecia también vería cómo la troika le exige un
programa de privatizaciones más realista: de los 19.000 millones
iniciales previstos a 8.800 hasta finales de 2015.
Además, el diario griego
Ekathimerini apuntaba ayer a que Alemania ha vuelto a poner sobre la
mesa la idea de que el dinero de los rescates y el de los ingresos
fiscales fueran a una cuenta bancaria de alguna forma controlada por la
Eurozona y se dedicara únicamente al pago de los vencimientos de la
deuda. La prioridad, así, sería el pago de la deuda por encima de
cualquier otro gasto, incluyendo educación, pensiones o salud.
Evangelos Venizélos, líder
del socialista Pasok –en coalición en el gobierno del primer ministros
Antonis Samaras–, dijo ayer al diario heleno que Grecia “no es un
protectorado, nuestros socios y la troika tienen que entender eso”. Pero
Grecia seguirá cavando para salir del agujero.
Jörg Asmussen, el miembro
alemán del Banco Central Europeo, dijo a la televisión pública ARD que
“todavía no hay acuerdo definitivo entre la troika y el gobierno
griego”. Asmussen recordó que el acuerdo obliga a los países de la
Eurozona a preparar entre 15.000 y 18.000 millones de euros
suplementarios y Berlín lleva tiempo repitiendo que podría darle más
tiempo a Atenas, pero no más dinero .
Los ministros de Finanzas
del euro se reúnen el próximo 12 de noviembre para decidir si Grecia ha
cumplido las exigencias y desbloquean esos 31.000 millones. De lo
contrario, sería el default y la más que probable salida griega del
euro.
Ford trata de "reforzar el negocio" despidiendo a 6.200 trabajadores entre Bélgica y Reino Unido
Los sindicatos de ambos países comienzan las movilizaciones mientras el primer ministro belga, Elio di Rupo, afirma que su Gobierno dará "una respuesta excepcional" a la decisión de la compañía
AGENCIAS Reino Unido / Bélgica / Valencia 26/10/2012 10:28 Actualizado: 26/10/2012 10:43 PúblicoUn auto Ford arde en llamas durante la protesta del jueves en la fábrica de Genk.- Julien Warnand (EFE)
Noticias relacionadas
Los trabajadores belgas y británicos no han tardado en reaccionar tras haber conocido la noticia y han empezado las movilizaciones. El jueves hubo jornada de protestas en la localidad de Genk, donde los empleados quemaron varios vehículos a las puertas de las la planta de ensamblaje. La indignación se ha extendido por todo el territorio y hasta en el partido de fútbol de la Liga Europa disputado entre el Genk y el sporting de Lisboa los espectadores sacaron pancartas en apoyo a los trabajadores. Mientras, en Reino Unido los sindicatos ya han anunciado próximas movilizaciones.
Los sindicatos británicos acusan a Ford de "traicionar" a sus "leales clientes" y a su fuerza laboral
Se estima que Ford ofrecerá una indemnización a los que se vean afectados por la eliminación de estos puestos o la posibilidad de ser recolocados en otros trabajos dentro de la misma empresa. Aún así, "esta es una noticia tremenda para los trabajadores de Southampton y Dagenham y una muy mala noticia para el sector industrial del Reino Unido", dijo Justin Bowden, representante del sindicato GMB, que agrupa a los empleados del área del motor.
El secretario general de Unite -el mayor sindicato del país-, Len McCluskey, adelantó que se combatirán estos despidos y acusó a Ford de "traicionar" a sus "leales clientes" y a su fuerza laboral, a la que había prometido fabricar un nuevo modelo de Transit para 2014.
Por otra parte, en Bélgica, el primer ministro Elio di Rupo afirmó que el Gobierno federal debe dar "una respuesta excepcional" a la decisión de Ford Europa al tiempo que apoyó la creación de un plan de empleo para la región afectada. Y apeló a la "unión de las fuerzas" entre todas las autoridades del país, puesto que "es el momento de apoyar sin falta a todos los trabajadores afectados, ya sean flamencos, valones o bruselenses".
Según Ford, su plan le "ayudará a afrontar la sobrecapacidad productiva que ha resultado por la reducción de más del 20 % de la demanda para toda la industria del automóvil en Europa occidental desde 2007". De esta forma, la restructuración que proponen de su industria europea es "una parte fundamental" de su plan para "reforzar el negocio y volver a la senda del crecimiento rentable", señaló el presidente y consejero delegado de Ford Europa, Stephen Odell.
Di Rupo afirmó que "es el momento de apoyar sin falta a todos los trabajadores afectados"El programa fija como objetivos que Ford Europa recupere la rentabilidad a mediados de esta década y que alcance a largo plazo un margen de entre el 6 y el 8%. Este año, la filial europea perderá unos 1.500 millones de dólares (unos 1.154 millones de euros al cambio actual).cAdemás, la capacidad de producción en las fábricas europeas se reducirá en un 18 %, lo que equivale a 335.000 vehículos, con lo que la empresa espera generar unos ahorros anuales de entre 450 y 500 millones de dólares (entre 346 y 385 millones de euros).
Desde la industria automovilística de Almussafes, en Valencia, los tres sindicatos, CCOO, UGT y CGT, también han recibido la nueva como una "mala noticia" y han mostrado su solidaridad con los trabajadores de Genk y Reino Unido. Esto es "un indicativo de que la crisis está haciendo mucho daño a los fabricantes de automóviles", afirmó portavoz de CCOO, Miquel Rosaleny.
Trabajadores franceses protestan contra despidos masivos
- Viernes, octubre 26, 2012, 0:54
Cientos de trabajadores de la corporación químico farmacéutica Sanofi protestaron este jueves en diversas regiones de Francia contra el plan de despidos masivos anunciado recientemente por esa firma.
En la ciudad de Lyon unas 800 personas rechazaron los planes del consorcio de reducir personal para bajar sus costos, a pesar de que en 2011 obtuvo ganancias multimillonarias.
Thierry Bodin, coordinador de la Confederación General del Trabajo, dijo que Sanofi declaró ese año utilidades por ocho mil millones de euros, la mitad de los cuales serán distribuidos a los accionistas.
Por su parte, Pascal Vially, de la Confederación Francesa Democrática del Trabajo, aseguró que los planes de la empresa significan una destrucción del potencial industrial y científico de Francia.
Entre los manifestantes en esa urbe había también delegados de las vecinas plantas de Montpellier y Toulouse.
Sanofi emplea en esa región a unos 6.000 trabajadores, de los cuales por lo menos 2.000 serán afectados por los despidos, según las organizaciones sindicales.
Otras marchas se realizaron en los alrededores de las plantas de Ambarés-et-Lagrave y Saint-Loubois, en el departamento de Gironda, así como en la región parisina.
La agencia estatal Pôle Emploi reveló recientemente que la tasa de paro subió en Francia al 10,1 por ciento de la población en edad laboral y afecta a más de tres millones.
RC
Lima, Perú
-
Alessandro Currarino/Diario El Comercio
Un policía antidisturbios es arrastrado por los manifestantes, después de haber sido derribado de su caballo, durante las protestas de los comerciantes del mercado de La Parada, en Lima, tras la decisión de las autoridades locales de designar otro punto de distribución como único mayorista de la capital peruana.
La tierra de Don Ney es de todos
foto: Rebelarte Don Ney Thedy
Estas palabras llevan en sus entrañas la fuerza, la alegría, el ánimo de lucha que nos dejó a todos la Marcha del jueves 11 de octubre próximo pasado.
¡QUE BUENO!
Hacía tiempo, MUCHO TIEMPO, que no teníamos una demostración tan multitudinaria y tan contundente por las calles de nuestra ciudad... una verdadera PUEBLADA!
Que nos oxigena y nos da pie para pensar el futuro... que le indica a los poderosos de adentro y de afuera del país y a los que nos han tristemente traicionado, que este pueblo tiene una tradición de lucha que todavía corre por sus venas.
Y todo esto dicho sin triunfalismo alguno; conscientes de cuanto nos falta, pero también realmente positivos porque la Marcha fue un logro.
¿Y quienes encabezaban de a caballo esa marcha?
A los costados dos paisanos de Cerro Chato, uno de ellos llamado Quicón y en el centro Ney Thedy, apodados por todos “nuestro Don Ney".
¿Fue casualidad? Todo lo contrario. Así lo resolvió la Coordinación Nacional y luego en cada instancia organizativa lo reafirmamos.
Para todos nosotros, conscientes que en esta Marcha unificamos luchas y juntábamos realidades tan diversas como el "interior", la costa y la capital; nos parecía imprescindible, utilizando el lenguaje de Artigas: "privilegiar a los más infelices" ubicándolos al frente.
Quisimos destacar lo que caracteriza a este movimiento social: que estamos todos juntos en pie de igualdad, pero que un lugar especial ocupan los que más sufren. Por eso también estábamos tan orgullosos de que hubieran siete carritos...
¿Y por qué "Don Ney" ha encabezado nuestras 3 Marchas Nacionales" Porque es el único peludo, desde gurisito cortador de caña sin tiempo para aprender a leer o escribir, uno de los fundadores de UTAA (sindicato de los cortadores de caña promovido por el BEBE SENDIC), que en los años 90 se convirtió en colono y que estos indignos gobernantes auto proclamados "izquierdistas", por una mísera deuda lo expulsan de su tierra el 28 de abril del año pasado.
Hasta el desalojo mismo es todo un símbolo de resistencia y no dejarse doblegar... porque lo fueron a sacar el Martes 26 de abril y un centenar de peludos lo impidieron, en una muestra notable de apoyo y adhesión; tuvieron que volver el jueves 28 con casi 200 milicos para sacarlo!
Por todo esto "Don Ney" encabeza nuestras marchas; ES UN CASO EMBLEMÁTICO QUE NOS MARCA EL CAMINO, y esta vez lo acompañaron dos paisanos "de Ley"; que en sus manos y cuerpos curtidos tienen grabado el costo que, para quien viene de abajo, tiene el diario vivir del campo. En particular Quicón, compinche de "Don Ney" que lo visitó una vez en Bella Unión, en el ranchito que este hizo a la entrada de su predio cercado por una guardia policial 222.
Una última cosita que no es nada menor: la manera de ser de "Don Ney" es ejemplar... esto lo sabemos y lo saben quienes han convivido con él. Siempre alegre, con fuerza, con la frente en alto y con una sabiduría y un respeto por todo lo colectivo realmente admirables!
Entonces cuando afirmamos: "la tierra de Ney es de todos, devolverla ya" estamos resumiendo un sentir que nos identifica y nos une a todos en un mismo horizonte de lucha: el de "tierra pa quien la trabaja con sus manos..."
En defensa de nuestro territorio y todos sus bienes naturales, y parafraseando lo que dijo otro viejito, tiempo antes en la historia, apodado "Don José": seguiremos peleando para que "NO SE VENDA EL RICO PATRIMONIO DE LOS ORIENTALES AL BAJO PRECIO DE LA NECESIDAD"
Para terminar, algunas informaciones sobre la situación jurídica del caso "Don Ney":
1º.- El juicio sobre el embargo de sus animales cuenta con una sentencia de primera instancia a favor de Colonización. El Dr. López Goldaracena ya presentó un recurso de apelación de Don Ney contra esta sentencia.. Esta apelación está en trámite en un tribunal de Montevideo.
2º.- Recientemente se presentó una denuncia penal en el juzgado de Bella Unión por el faltante de los 77 animales.
3º.- El próximo 27 de noviembre, a las 10 horas, en el Juzgado de Conciliación de Montevideo, ubicado en Cerrito entre Treinta y Tres y Misiones, se llevará a cabo una audiencia de conciliación, previa al juicio por daños y perjuicios que se iniciará contra el Instituto Nacional de Colonización por “abuso de derecho en el proceder de todo este tema (el lanzamiento, el faltante de animales, el mal manejo que han dado al rodeo desde que lo tienen en depósito, y la imposibilidad de Don Ney de continuar trabajando como colono).
Intentaremos mantener actualizada la información de todo lo que vaya sucediendo, pero DESDE YA CONTAMOS CON EL APOYO DE TODOS Y TODAS EN LA PUERTA DEL JUZGADO DE CONCILIACIÓN EL 27 DE NOVIEMBRE A LAS 10 HORAS.
LA TIERRA DE DON NEY ES DE TODOS, DEVOLVERLA YA !!!
Contactos: Juan Santana (099057673), Alvaro Jaume (22966688), Mario Thedy (099947323), Diego Henderson (099759479) y Julián Cabrera (099891869)
Gráfico de Gabriel Carbajales
Dossier del Blog El Muerto
Pensando en el futuro (y en su padre)
Gráfico de Gabriel Carbajales
Política 23.10.12
Pensando en el futuro.
Raúl Sendic (hijo) en la Torre Ejecutiva.
Sendic inaugura mañana Propuesta Uruguay 2030, un centro de estudios estratégicos que busca trascender diferencias partidarias.
Propuesta Uruguay 2030 se propone generar pensamiento
de largo plazo con miras a transformar a Uruguay en un país “del primer
mundo”. Uno de sus referentes es el titular de ANCAP, Raúl Sendic; su
forma jurídica es una asociación civil y su presidente es el sociólogo
Gustavo Leal. Sendic asegura que la iniciativa es “técnica, no política”
y Leal aclara que no se trata de una “catapulta personal”.
Sendic hizo el anuncio ayer en entrevista con el programa De diez a doce de Radio Uruguay. “Creo que hay que hablar de futuro. Deberíamos ponernos metas, y una meta alcanzable es que Uruguay en el año 2030 pueda ser un país desarrollado”, manifestó. “No está planteado desde el punto de vista de la política, sino desde el deseo de elaborar propuestas estratégicas procurando que en esa elaboración participen técnicos de diferentes orígenes”, agregó.
Propuesta Uruguay 2030 es una asociación civil que se propone como “usina de contenidos, buscando acuerdos amplios en distintos sectores de la sociedad, pero con el fin de lograr que esos acuerdos permitan continuidad en los procesos de instrumentación de los cambios estructurales que el Uruguay necesita para transformarse en un país de primer mundo”. Su presidente, el sociólogo Gustavo Leal (que además integra la lista 711 de Sendic), explicó a la diaria que el ciclo de almuerzos previsto para este año y el primer semestre del próximo abordará los temas de infraestructura, educación, innovación, economía y convivencia. Al mismo tiempo, se conformarán grupos de trabajo que discutirán y elaborarán propuestas de largo plazo para el desarrollo del país. Se trabajará sobre la base de documentos iniciales y luego se abrirá la participación también por vía virtual. “La idea es instalar un espacio de construcción de pensamiento amplio, con capacidad de tender puentes con distintos ámbitos de la producción y el conocimiento”, explicó Leal.
El sociólogo, que estuvo asesorando al Ministerio del Interior en la elaboración de la “Estrategia por la vida y la convivencia”, consideró que si Uruguay “quiere aprovechar el impulso de crecimiento económico, precisa tener proyectos fundamentados de futuro”, y para ello precisa establecer un “vínculo fuerte entre la academia, la intelectualidad y la política”, así como “construir relatos y épicas que pongan a los uruguayos de cara a un modelo de desarrollo”.
Política y técnica
En la entrevista que le realizó Radio Uruguay, Sendic negó reiteradamente que la propuesta que encabeza sea política y explicó que se trata de construir una “agenda estratégica por encima de todos los partidos políticos”. Ante preguntas de los periodistas, incluso evaluó que la política puede “impedir el Uruguay estratégico” y que esta propuesta puede apuntar a la “desideologización”. “Ideologizamos todo, no me preocupa [la desideologización]”, manifestó. Remarcó que no se trata de una iniciativa de su grupo, Compromiso Frenteamplista, y que se aceptarán los aportes “independientemente de dónde vengan”.Leal aclaró que no se buscará unanimidades, sino que se trata de “construir consensos e identificar con claridad los disensos”, y que se pensará el Uruguay 2030 “a partir de las transformaciones que están en curso hoy, pero buscando espacios más amplios de acuerdo”. “Hay temas en que se necesitan construir puentes de acuerdo, porque nadie gobierna solo. Esto no quiere decir que las políticas de Estado impliquen unanimidades absolutas. Esto no es el fin de la política”, enfatizó. Por otra parte, rechazó que se trate de un espacio de acumulación para promover la figura de Sendic. “Ésta no es una operación de catapulta personal, es un acuerdo de un grupo de ciudadanos que tienen ideas y que quieren hacer un aporte”, remarcó.
El ente unido
Los directores de la
oposición en ANCAP, Carlos Camy (Partido Nacional) y Juan Justo Amaro
(Partido Colorado), fueron invitados y asistirán al evento. “Es una
iniciativa importante porque abarca temas trascendentes para el país, y
hay que encararlos con un sentido nacional, comprometernos en ese
esfuerzo más allá de partidos y de sectores, como lo que se pretendió y
lamentablemente fracasó respecto de la educación”, evaluó Camy. Amaro,
en tanto, consideró que “es bueno que existan diálogos” y descartó que
la actividad pueda poner en riesgo la inhi-
bición de Sendic de hacer
política partidaria. “Los expositores son ciudadanos de los que
desconozco su militancia política y que son empresarios exitosos. Cada
vez que hago una obra, la gente dice que estoy haciendo política, y en
definitiva la vida es política. Siempre a los que estamos en esta
actividad se nos busca de qué forma se nos puede criticar”, opinó.
Natalia Uval
Raúl Sendic (padre)
Entrevista a Raúl Sendic (1º parte)
UN "ANTISISTEMA"
Raúl Sendic (padre)
NOSOTROS TENEMOS UN OBJETIVO SOCIALISTA
Antonio Dabezies, Nelson Caula, Alberto Silva, Pilar Domingo y Pedro Silva. Revista Guambia.
¿Cuándo naciste?
- El 16 de marzo de 1925.
- ¿Dónde?
- En Chamangá, una zona al sur del departamento de Flores.
- Hay varios Sendic por ahí, ¿no? ¿Es una familia de la zona?
- Sí, nosotros nacimos en Flores. Pero después mis hermanos fueron a Artigas, y en general se dispersó un poco la familia, al punto de que ahora mismo creo que no quedan más Sendic en Flores.
- ¿Y tu niñez la pasaste en Flores? ¿A qué edad fueron a Artigas?
-No, no. Yo viví hasta los 10 años en esa zona, ni siquiera conocía un pueblo. Después me mudé cerca de Trinidad y ahí fui a la escuela y al liceo, que me quedaba a una legua más o menos de allá donde vivía. Hasta los 18 años viví en el campo.
-¿Qué hacía tu familia?
-Bueno, mi padre arrendaba un campo ahí en Chamangá, y después entró de mayordomo en un campo, que era el trabajo anterior de él. Después siguió de mayordomo y nosotros arrendamos unas vacas en la chacra ésa, y vendíamos la leche.
-¿Qué de las tareas del campo le gustaba de chico?
-Y... todas las tareas propias de una persona que vive en el campo. andar a caballo. No puedo decir que me gustara ordeñar, pero lo hice durante ocho años. Eso implica levantarse a las cuatro de la mañana, porque después tenía que ir a la escuela.
-¿Tuviste caballo propio?
-Sí, desde luego.
-¿Cómo se llamaba?
-Ah, no me acuerdo (se ríe). Iba al pueblo en él, y fui a la escuela en él, y después iba en bicicleta: ¡me modernicé! (risas)
-¿Cuando ibas a caballo, nunca se te desató a la salida del colegio?
-Sí, sí, ¡y me dio alguna patada también!!
-¿Iba solo en el caballo, o iban varios juntos?
-No, no. Como en toda escuela rural: la de Chamangá era una escuela rural e íbamos en sulky y a caballo. Y después, en esa zona de chacras que les contaba, íbamos siempre en grupo todos los muchachos que vivíamos en esa zona. La escuela estaba bastante lejos. Yo fui a una escuela agrícola también, en Porongos, donde te enseñaban a hacer quinta, a plantar.
-¿Empezaste la escuela a los seis años?
-Sí, pero la escuela rural tenía hasta tercer año. Al pasar al pueblo perdí años ahí porque las escuelas urbanas estaban concebidas de otra forma: había hasta sexto año. Trinidad o "Porongos" y su "democracia"
-Por lo que decís conociste a Trinidad como "Porongos".
-Bueno, siempre se llamó a Trinidad-Porongos. Pero nosotros le llamábamos Trinidad. Era una época de muchas convulsiones estudiantiles, porque era la época de la guerra. Había grandes manifestaciones contra el fascismo. Uruguay no estaba definido todavía a favor de los Aliados.
-¿Ahí empezaste a preocuparte por la política, o eso ya venía de tu casa?
-Sí, verdaderamente. En el liceo fundamos una asociación de estudiantes que se llamaba "Asociación de Estudiantes Trinitarios", y sacamos un periódico que se llamaba "Rebeldía" e hicimos una campaña bastante fuerte ahí; hicimos huelgas, hicimos movilizaciones, hicimos manifestaciones, e hicimos lo que se llamaba una "democracia", algo como una asonada popular en que se rompieron vidrieras y esas cosas.
-¡En Trinidad!!!
-(En medio de risas) ¡Sí, en Trinidad!
-Habrá sido un escándalo: todo el pueblo con los pelos de punta... Primera vez en la historia.¿no?-Sí, por primera vez... y última, creo. Y fueron creciendo las manifestaciones estudiantiles, entonces en determinado momento fue como la chispa que encendió a la bomba, porque una noche se unió la gente de los barrios, y saqueó todos los comercios. Yo a esa hora siempre me iba para la chacra, y me perdí la famosa "democracia" de Flores. que al final quedó como sinónimo de "democracia" un saqueo de comercios, rotura de vidrieras. Llevaban barricas de yerba rodando por las calles y gritaban "¡Viva la democracia!!". De ahí que le quedara ese nombre..
.
-¿En qué año fue eso, Raúl?-Fue más o menos por el 42. Y después fuimos a Durazno, yo iba en un techo de un ómnibus, y rompimos cuatro o cinco vidrieras. Era la época en que los nazis, sobre todo los fascistas, porque había mucho italiano, tenían puestos comercios importantes en ambos pueblos.
-¿Fueron a Durazno el mismo día de lo de Flores?-No, no. Fuimos dos o tres días después.
-¿Quién influyó políticamente, de esa barra, en usted?-Teníamos algunos profesores muy progresistas, muy formados, como el Dr. Atilio Grezzi, que era profesor de historia y de filosofía. El nos formó. digo "nos" porque fue toda una generación donde estaba mi hermano Alberto, donde estaba Carlos María Gutiérrez; con esos compañeros fue que sacamos ese periódico "Rebeldía".
-¿El Negro Gutiérrez también era de Flores?-Sí, sí.
-¿Y cómo sintió el cambio de Flores a Montevideo?-Y bueno, no fue fácil, ya que estaba muy habituado a la vida en el campo y nunca había vivido ni siquiera en un pueblo como Trinidad. Viví siempre en campaña. Te choca un poco el cambio; la gente un poco agresiva. Te choca si vos venís directamente de campaña, para el que hace una transición por los pueblos no es tan difícil.
-¿Te trataban como "canario"?-No, realmente yo no tenía amigos en esa época. Estuve mucho tiempo. porque en realidad yo vine a trabajar y a estudiar ¿no? Vivía solo acá, después vino mi hermano y mi hermano se murió porque, justamente, éramos canarios y no sabíamos bien qué hacer. A él le vino una apendicitis nada más, no sabíamos dónde llevarlo. Y mientras pregunté a un canillita y fuimos a un sanatorio, nos demoraron y se murió. Entonces quedé solo de vuelta.
-¿Vivían en una pensión?
-No. Vivíamos en un garaje que nos prestaba un familiar.
-¿De esa época joven te quedó alguna otra amistad?
-De toda aquella generación que hicimos la lista de la Federación de Estudiantes, en cierto modo nos seguimos viendo, pero esporádicamente.
-Yo voy más atrás: a la época de Flores.
-Sí, yo no recuerdo una amistad permanente porque nosotros nos "expatriamos" ahí, y nos fuimos a Montevideo solos. Y salvo algunas esporádicas visitas que nos hacíamos con Carlos María Gutiérrez, que también se vino para acá, no hubo nadie ni de mi zona primitiva ni de mi zona de chacras posterior que se viniera para Montevideo. Entonces, no puedo hablar más que de mis hermanos.
-¿Hubo novias en esa época?
-Sí, hubo novias (mira con cierto desconcierto). Algunas.
-¿Es cierto que la vida del campo es dura?
-Bueno, según cómo estés ubicado dentro de los estratos sociales del campo ¿no? O sea, si hoy hay tanta gente que emigra no es porque no les guste el campo, sino porque del campo los expele la miseria que pasan, las dificultades, la ausencia de oportunidades, pero. toda la gente que ha vivido y estado allá en el campo, clama para volver. Sólo que.
-Estoy pensando también en Bella Unión y los cañeros.
-Sí, en cierto modo después de transitar por una militancia política y estudiantil acá, yo volví al trabajo con la gente del campo. Antes que con los cañeros, estuve con los arroceros de Treinta y Tres.
-¿Y te sigue agobiando la ciudad?
-Bueno, no.
-Si pudieras elegir: ¿adónde irías a vivir?
-Al campo ¿no? ¡Eso es inevitable! Tengo un hermano que trabajó en París 20 años como obrero en la Renault, y al jubilarse se fue al campo allá. Y mis hermanos mayores también se fueron, acá mismo, se consiguieron una chacra y se fueron de vuelta. O sea que la gente que se ha criado en el campo.
-¿Así que esperás volver al campo?
-Sí, espero.
Bella Unión y los comienzo políticos
-¿Estuvo últimamente en Bella Unión?
-Sí, hace poco una tarde, nomás.
-¿Muy cambiado?
-Sí, lo que se ve. Es una zona de prosperidad, de mucha producción en distintos rubros. Y eso hizo como un polo de magnetismo que atrajo gente. Entonces hay demasiada gente, y más miseria que antes. Se fue demasiada gente ilusionada con la posibilidad de trabajo de Bella Unión. Y es una zona del país que ha crecido tanto económicamente como en población, pero no se refleja en la vida del sector más bajo de la población. Hay un tremendo rancherío que ha ensanchado el cinturón de Bella Unión.
-¿Por qué fue tu familia a Artigas?
-Bueno, en realidad se fueron mis hermanos, a trabajar en el campo.
-¿Ya era una zona progresista que prometía desde el punto de vista económico?
-No, no: al contrario. Para mi familia, que trabajaba en ganadería, era una zona atrasada. Entonces, fueron justamente llevando una serie de innovaciones sobre cría de ovejas y demás, que era la especialidad de la familia. Y bueno, estuvieron tratando de salir adelante en el trabajo ganadero, pero no lo consiguieron. Pero eso es independiente de la ida mía, que fue por cuestiones gremiales.
-Así que fuiste exclusivamente por cuestiones gremiales.
-Sí.
-Hoy no me contestaste: ¿qué eran, políticamente, tus padres?
-Eran nacionalistas. Digo, mi padre era blanco y mi madre colorada. Mi padre y mis tíos pelearon en la revolución de 1904. Y bueno, cuando yo ya vivía, mi padre dio armas para el levantamiento del 34, aquel que se hizo contra la dictadura de Terra.
-Pero no era herrerista...
-No, no: era blanco independiente.
-¿Cuáles fueron tus primeras lecturas políticas?
-Bueno, toda esa literatura que había en aquella época, y que es un poco diferente a la actual ¿no?
-¿Tus primeras lecturas fueron políticas, o tuviste otras lecturas antes?
-Bueno, tenía toda la literatura tradicional. A esas zonas rurales llegan revistas de la época con novelas de Alejandro Dumas, de Víctor Hugo, de Dostoiewski. Y justamente por el hecho de estar tan alejado de todo centro poblado, esas lecturas, más que leídas, son devoradas. Y por las noches nuestra madre nos leía a los seis hermanos "Tabaré"... y lo leía durante varias noches: cuando terminaba lo empezaba de vuelta (risas). Terminábamos todos llorando... y entonces empezaba de vuelta y esperábamos que terminara distinto... pero no.
-¿Tuviste la suerte de llorar con "Tabaré" y no con "Caperucita Roja"?
-Sí, en aquella época por lo menos nos iniciábamos con "Tabaré".
La juventud antes, y la de ahora
-¿Qué diferencia encontrás entre la juventud de esa época y la de ahora?
-Bueno, en realidad aquella era una juventud bastante combativa, bastante radicalizada. Hicimos grandes manifestaciones estudiantiles. También ahí yo estuve preso, en algunas de ellas. Eran manifestaciones un poco violentas, digámoslo así, de mucho choque con la policía. Y yo mismo fui escrachado en "El Día" por haber lastimado un policía. Y en realidad yo estaba luchando con él, y otra persona le pegó un fierrazo en la cabeza. Entonces me llevaron a mí, y el policía sangrando y hasta el Ministro del Interior dijo de todo. Ahí soltaron a la mayoría; a mí me procesaron, y después me escracharon como que había traído un fierro entre las ropas y lo había lastimado. Ese fue el primer procesamiento que tuve.
-¿Y fue la primera vez que estuviste preso?
-Sí, que estuve preso y que fui procesado. Pero al final el que lo lastimó fue otra persona, era un profesor, no me acuerdo ahora. profesor de historia. no recuerdo ahora el nombre.
-Mejor no diga nada que lo quema.
-¡No, no!
-¿Y cómo ve la juventud de ahora?
-Un poco desconcertada, porque no tienen una perspectiva promisoria como la de aquella época, más segura. Sigue estudiando, pero no con el mismo entusiasmo, porque sabe que se reciba de lo que se reciba, no tiene inserción, porque aunque llegue como profesional -como abogado, como ingeniero, como escribano, como arquitecto- no hay perspectivas.
-¿Cuándo se acabó el Uruguay de las vacas gordas?
-Bueno, estadísticamente fue por el 57 cuando empezó el declive.
-¿De quién fue la culpa? ¿De Luis Batlle?
-No, al contrario: Luis Batlle fue el que usufructuó el período de auge. Todo eso pasa independientemente del gobierno que haya. Si después de la guerra hay un plan Marshall para Europa, y Europa a su vez deriva los dólares para productos del Uruguay y Argentina, Batlle puede hacer una política populista, y Perón puede hacer lo mismo. Pero cuando no hay exportaciones tan voluminosas como existieron en esa época, cuando no hay tantas ventajas económicas en el comercio exterior, los gobiernos declinan. Eso lo demostró Perón al volver en épocas que ya eran bravas, cuando no tenía nada que repartir. Ya no dejó la imagen del hombre que llegaba y repartía prosperidad.
Un médico frustrado
-¿Siempre te interesó el tema económico?
-Sí, en realidad la economía explica un poco las actitudes políticas. Por eso yo también evito tratar a Perón o a Evita independientemente de la situación económica imperante en la época.
-¿Por qué eligió la carrera de Abogacía, siendo tan buen economista?
-Bueno, no fui nunca un buen economista y menos cuando elegí la carrera de Abogacía. Yo no tenía otra alternativa, porque como trabajaba todo el día, no podía hacer mi carrera predilecta, que podía haber sido Medicina, porque me coincidían los horarios de clases. La únca carrera que podía hacer compatible con el trabajo en el día, era Abogacía. No había otra que uno pudiera hacer sin concurrir a la Facultad. De manera que no hubo elección.
-¿Realmente hubiera sido Medicina tu carrera preferida?
-Sí, pienso que sí. Pero veía también en la Abogacía un instrumento para llevar adelante la lucha social.
-¿Te interesaba más como carrera o como militancia, la actividad en Abogacía?
-Sí, la vi como una palanca para el trabajo social.
-Por aquella época estudió con mucha gente notoria y conocida hoy en lo político.
-Sí, pero no tuve contacto, salvo con Flores Mora, con el que estuve haciendo la práctica forense. Al no ir a Facultad no pude alternar con mucha gente que fue contemporánea mía.
-¿Qué le pareció la contratapa de Flores Mora donde hablaba de usted cuando todavía era un rehén? Hablaba de usted cuando nadie lo nombraba, o recién empezaban a hablar, y lo hacía de manera muy afectuosa.
-Bueno, justamente, pienso que compartimos un período de grandes luchas estudiantiles, como la que les contaba recién de 1951, por la autonomía de la Universidad. Al haber transitado una parte de la lucha social juntos, haber compartido alguna clase de práctica forense en la Facultad de Derecho, se sintió solidario en un período donde todos nos agraviaban. El quebró una lanza, lo cual significa que era un hombre muy sensible.
-¿Cuándo deriva tu actividad gremial en la Facultad hacia una actividad gremial más general?
-Bueno, yo tuve una militancia de 10 o 12 años en el Partido Socialista, y después empecé a trabajar en los gremios. Primero se hizo una marcha de los arroceros desde Charqueada a Montevideo, donde yo participé. Después la movilización de los trabajadores de la remolacha en Paysandú. Ahí también estuvimos presos y procesados por entrar en las plantaciones sin autorización del dueño, en San Javier. Y después organizamos a los trabajadores de "El Espinillar" en un sindicato que todavía dura, que es el de "Unión de Regadores y Destajistas de El Espinillar", que ya eran cañeros. Después saltamos a las cañeras del norte de Bella Unión, donde se levantó UTAA. Simultáneamente yo trabajaba ya como procurador en Paysandú, y tenía el escritorio en la sede de los sindicatos de Norteña y Paycueros. Era una especie de asesor de esos sindicatos, y de otros de Paysandú, y de los problemas laborales en general de los trabajadores.
-O sea que en sindicatos capitalinos prácticamente no actuaste.
-Bueno, trabajé un año en el "Sindicato de Almacenes al por Mayor", como funcionario rentado, y antes en la Defensoría de Menores de Montevideo, como subjefe.
El surgimiento del MLN
-¿Cómo le explicarías a las nuevas generaciones por qué surge el Movimiento de Liberación Nacional?
-Bueno, tendría que situarlos en la época. A través de todas esas luchas sindicales fuimos bastante perseguidos: en aquella época se usaba que ante cada conflicto se dictaban Medidas Prontas de Seguridad. Entonces, supongamos que había un conflicto en Montevideo, nosotros estando en Paysandú éramos detenidos. Es decir que figurábamos en una lista de militantes sindicales que eran detenidos automáticamente cada vez que se dictaban las medidas, ¡y a veces ni sabíamos que habían sido decretadas! Era habitual que uno llegara al trabajo y lo llevaran preso.
-¿En qué años era eso?
-Y. en el 60, 61.
-¿Era gobierno colorado?
-No. Era blanco, "chicotacista". El Jefe de Policía de Paysandú era "chicotacista". Era una época en que no se podía decir que no hubiera derechos civiles, sólo que no los había para ciertos sectores: nosotros estábamos supeditados a esas represiones. Todo eso creaba una situación de rebeldía porque ni siquiera te permitían trabajar: yo trabajaba en esa época como procurador e iba todos los días al Juzgado, pero evidentemente nadie confía en un profesional al que cada pocos días lo meten en un calabozo ¿no? Incluso hacía defensas penales y muchas veces me encontraba con mi defendido en un calabozo (risas). Sí, sí, pasaban cosas como ésa, de verme los presos en Paysandú y decirme "Raúl: ¿cuándo nos van a dejar ir?", y yo "voy a ver si salgo yo primero" (carcajadas) porque muchas veces ni se habían dado cuenta que yo llegaba como preso. Por eso es muy difícil explicarle a la juventud cuál era el panorama de la época. Todo eso fue in crescendo; hubo manifestaciones; hubo muertos en las manifestaciones; después hubo prohibición de Partidos: fue una escalada de violencia. Y nosotros mismos, como movimiento cañero, hicimos un conflicto con todas las leyes laborales a favor, porque había violación de todas esas leyes, y no conseguíamos ni siquiera que se aplicaran las leyes sobre salario ni nada.
-Y ahí hicieron una huelga ¿no?
-Entonces tuvimos que ir a un conflicto con la empresa cañera que se llamaba CAINSA. Acampamos frente a ella, la policía nos pidió si podíamos descongestinar la carretera y nos ofreció un monte ahí en Itacumbú. Y bueno estuvimos tres meses a monte con toda la familia, en carpa y demás. Después tuvimos que tomar la fábrica con toda la dirección adentro, y ahí recién conseguimos un convenio para el pago de todo lo que nos debían. Vinimos a Montevideo en camiones, pidiendo la ley de 8 horas para el trabajador rural y la expropiación de un latifundio de Silva y Rosas para dar trabajo a la gente. Bueno, acá fuimos recibidos también con represión: terminamos todos presos en Miguelete, y volvimos allá sin lograr ni la ley de 8 horas (que nunca hubo quorum en el Parlamento para tratarla) ni la expropiación de ese latifundio. Ambas cosas se lograron después: la expropiación del latifundio por Colonización, y se sacó la ley de 8 horas por convenio. Y después por convenio de la OIT, ratificado por ley de país, para ese tipo de plantaciones.
-¿Quién tiene ahora el latifundio? ¿Colonización?
-Lo tomó en aquel momento, en el 70, luego lo tomó la dictadura militar y.
-¿No han hecho nada ahí, no?
-Bueno, gente adicta a la dictadura (sargentos jubilados y gente así) es la que lo tiene.
-Todo verde el campo.
-Y el campo sigue ahí, a medio explotar. Todavía hay fracciones que las ocupa el Ejército, y hay fracciones sin destino. No le dieron una buena colonización. La gente que se movilizó por eso nunca accedió a ningún pedazo de terreno. Es una enorme extensión, está al borde de la arrocera, tiene irrigación del río Uruguay y de los arroyos de la zona, pero permanece prácticamente inexplotado.
-Hablamos de las 8 horas como si fuera una cosa normal... ¿de cuánto era la jornada del trabajador cañero en esa época?
-En época de zafra trabajaba -y trabaja- unas 12 horas. Nosotros pedíamos 8 horas para que les pagaran como horas extras el resto. Lo mismo ocurre en las estancias: todavía no tienen ley de 8 horas. El peón de la estancia tiene un salario bajísimo. Ahora es de 14 mil pesos, y si tuviera las 8 horas, como está más horas en el campo podría tener un aumento en su sueldo. Una ley de 8 horas que al fin y al cabo fue aprobada hace 70 años para industria y comercio, fue aprobada en 1915.
Socialismo a la uruguaya
-¿Seguís siendo socialista, en el viejo sentido de la palabra?
-Bueno, sí. O sea, nosotros tenemos un objetivo socialista. Lo cierto es que nosotros nunca fuimos demasiado esquemáticos y menos ahora que ha habido una serie de experiencias donde las mismas experiencias socialistas se han ido rectificando.
Nostros estamos con esas rectificaciones y estamos por un socialismo adaptado a la uruguaya, y siempre luchamos por él.
-¿Podrías definir en pocas palabras qué es "un socialismo a la uruguaya"?
-Bueno, hay una mentalidad en el país. Nosotros no estamos en una sociedad que haya sido zarista como la Unión Soviética, ni en una sociedad presidida por mandarines como China. Tenemos cierta tradición democrática muy arraigada en la mentalidad del pueblo, por libertades y todo eso, y nosotros tenemos que adaptar el socialismo a la realidad uruguaya. Un socialismo que sea compatible con toda esa tradición, digamos libertaria, de todo el pueblo uruguayo.
-¿Existen líderes campesinos?
-Bueno, yo diría que de un campesino a otro campesino hay afinidad, hay una afinidad de una cantidad de gente que estuvimos en la Universidad, con nuestro hábitat anterior. Y a raíz de eso uno entra mejor en el medio rural que en el medio urbano. Por eso pienso que yo ni siquiera creo que haya ayudado mucho a los cañeros, simplemente participé en los campamentos. Pero sí puedo alternar con la gente de campo ¿no?
-Hablando con el senador Ricaldoni, fuera del reportaje, nos decía que la izquierda insiste en la palabra "campesino" que no tiene andamiento popular: ¿tú encontrás otra palabra para sustituir la de "campesino"?
-Sí, sí. Aquí al campesino se le llama "chacrero".
-¿Paisano.?
-Sí, "paisano" se usa en forma más genérica para el peón de estancia, porque.
-¿Pero estás de acuerdo en que "campesino" en Uruguay no es una palabra adecuada?
-No, absolutamente. Yo, por lo menos, no la uso. Acá hay chacreros y después, hay lo que podríamos llamar granjeros: gente con capital, con máquinas. El chacrero es la persona que no tiene más que el terreno y su fuerza de trabajo. El otro ya tiene algún pequeño capital, ya sea ordeñadora si tiene un tambo, o máquinas y tractor, si tiene una granja.
-¿Los cambios que este país reclama pasan por la reforma constitucional?
-No los cambios, pero sí tal vez una manera de destrabar el sistema político de desbloquearlo. Ahora tenemos un panorama político dividido en tercios, algunos de los cuales son mayores que otros, pero sin que se vea a través de las compulsas de opinión que vaya a haber un partido mayoritario. Y eso se ha reflejado en que el sistema está trabado, porque ni el gobierno puede mandar proyectos al Parlamento que puedan ser aprobados, porque no tienen la mayoría necesaria, ni la oposición -que sí la tiene- puede sacar sus proyectos porque se los veta el Ejecutivo. Lo peor es que eso no tiene visos de cambiar, porque puede ser que la minoría mayor cambie de color, pero siempre será una minoría. Entonces yo diría que, por lo menos para que salga un aumento a los jubilados, se impida la extranjerización de la tierra o salga un presupuesto que contemple la enseñanza, la salud y demás, que no considero que sea un cambio porque eso existió antes en el país. Pero sí tal vez fuera imprescindible una reforma constitucional.
-¿No le parece un desatino que la izquierda esté discutiendo eso en este momento, cuando hay temas más importantes?
-No, porque entre los temas importantes que tiene el país está el aumento a los jubilados, que va a ser trabado por un veto, y está una modificación en el presupuesto a favor de los empleados públicos y como la gente sin perjuicio de los cambios profundos que llegarán un día, tiene que vivir hoy.
-Si hay reforma, a los jubilados no les aumentan hoy: con buena suerte les aumentarán de aquí a tres años, porque la reforma se va a aplicar después de las elecciones, no ahora.
-Sí, sí, pero el panorama, si no se hace la reforma, es que tengamos ocho años de empate...
-Además con reforma o sin reforma los colorados dicen que hoy hay financiación, así que.
-Sí, sí. Pero simultáneamente dicen que el país está prosperando y la gente de abajo está cada vez peor. Entonces, en algún lado hay prosperidad como para sacar esa financiación.
______________________________
Información disponible en el sitio ARCHIVO CHILE, Web del Centro Estudios “Miguel Enríquez”, CEME:
http://www.archivo-chile.com
Elbio Moreira responde a Cecilia Arreche
Recibí estas contestaciones a la carta de una amiga a Pepe Mujica. Son para Cecilia Arreche, autora de la carta. Como no tengo su dirección la envío a todos para que si alguien la conoce se las haga llegar.
|
1
|
Ni creo, apreciada Cecilia, que seas una
ciudadana de segunda ni que tu país sea un país de cuarta.- Dedícate a
considerar otros macanas del gobierno -¡que las hay, las hay!- y no a
buscar bobadas.- Estás desperdiciando tu inteligencia y tu tiempo.- No
seas de quienes miran el dedo cuando le muestran la luna.- O de quienes
buscan el pelo en la leche.- Lo digo en tu lenguaje para que me
entiendas: respetuosamente ¡no seas naba! .-
Fraternalmente
Elbio
De: Veronika Engler
Fecha: 27 de octubre de 2012 21:37
Asunto: Re: La carta de una amiga a Pepe Mujica
Veronika Engler le responde a Elbio Moreira
Elbio, Cecilia, no los conozco, pero ya que Cecilia escribe una carta pública que Nestor reenvía con la contestación de Elbio y luego de Tony, me animo a dar mi opinión sobre el tema de manera pública.
Asunto: Re: La carta de una amiga a Pepe Mujica
Veronika Engler le responde a Elbio Moreira
Elbio, Cecilia, no los conozco, pero ya que Cecilia escribe una carta pública que Nestor reenvía con la contestación de Elbio y luego de Tony, me animo a dar mi opinión sobre el tema de manera pública.
Considero que lo que Cecilia
escribe es cierto, además tiene todo el derecho de opinar y sentir como lo
expresa en su carta, el presidente es un maestro en el ninguneo y la falta de
respeto hacia los ciudadanos, sobre todo hacia quienes lo contradicen, critican
y no piensan como él (por cierto no es casualidad que cada vez sean más),
cuando lo escuché pensé algo parecido a lo que Cecilia expresa en su carta. El
hecho de que para algunos el tema del clima sea una bobada y de que existan un
sinfín de temas de orden gravísimo en el Gobierno, no quita que tengamos que callar
nuestra opinión sobre determinados sucesos, que tal como la gota que desborda
el vaso u horada la piedra. nos terminan por sacar de quicio. ¿Estamos tan
acostumbrados a escuchar disparates en boca de Mujica y el resto de los
políticos que resulta que ahora no podemos opinar?. ¿Nos versean tanto que nos
tenemos que tragar cualquier sapo para no poner “palos en la rueda“? Ojo, que nabos
pueden ser los que por callar y asentir se convierten en cómplices de un sinfín
de hechos lamentables.
Sabemos muy bien que el tema
climático no afecta igual a todos en este país, como la mayoría de los temas. Entre
la población uruguaya existen enormes diferencias que algunos creen haber
achicado de forma significativa con “ceibalitas“ y políticas sociales, cuando en realidad nos
consta que hay muchas, muchísimas personas que viven en el cinturón periférico
de la ciudad, en ranchos sumamente precarios y en zonas inundables, que padecen
un infierno cada vez que un temporal de este o menor “alerta” nos acecha. También
sabemos que hay una buena cantidad de personas en situación de calle y que
tenemos un montón de escuelas cuyos salones se llueven e inundan como si no
tuvieran techo ni paredes. A estas personas no sólo las afectan los temporales
ya que están en el horno en varios sentidos, quienes se alimentan de la basura
no tienen mucho que esperar de los gobernantes, afean la ciudad y son por
definición sospechosos de querer delinquir.
Considero que es hora de dejar
de alcahuetear, justificar o hacer la “vista gorda” a dichos y hechos de
personajes del progresismo que paradójicamente cuentan con el respaldo de una
historia que los contradice. Suceden cosas gravísimas que si no denunciamos nos
convierten en cómplices, si los artífices de dichas políticas fueran los de
siempre (partidos tradicionales) los estaríamos criticando duramente y todos
aplaudirían desde la izquierda. El amiguismo y la lealtad política partidaria
no sirven para crear consciencia ni nos llevan a actuar de modo consecuente.
Nos tiran cualquier bolazo y
nos mandan a callar la boca como si fuésemos gurises chicos, cuando lo que
expresamos y sostenemos son posiciones que siempre se sostuvieron desde la
izquierda. Mientras tanto los políticos opinan sobre cualquier tema sin saber
muchas veces nada al respecto, como si por tener un cargo se les iluminara la
cabeza y quedaran habilitados para decir disparates con más propiedad que otros
que saben más del tema en cuestión. Ayer tenían un discurso, hoy ya ni siquiera
se le puede llamar así a la sarta de contradicciones que nos trasmiten y que intentan que asimilemos
(obviamente en muchos casos lo logran). Hay quienes se acomodan e hipotecan lo
que antes considerabamos principios y valores irrenunciables, quienes no lo
hacen son rápidamente removidos de sus cargos, muchos de ellos y ellas, aún
sabiendo que es así, siguen defendiendo y justificando lo indefendible e injustificable,
a mi modo de ver es un peso demasiado grande que tendrán que llevat a cuesta
por el resto de sus vidas.
Que no jodan más con que un
discurso que marca una ideología de izquierda sirve cuando se es oposición,
pero al llegar al gobierno se transforma en algo diametralmente opuesto y que
no me digan que ese actuar es justificable para mantenerse en el gobierno, una
política chiclosa e inconsistente al mejor estilo tradicional pero más desprolija
y represiva.
Temas a los
que hincarle el diente:
Violaciones a los Derechos
Humanos, con todo lo que esto significa en el pasado y en el presente.
La tramoya de Pluna que es una
vergüenza.
Los cada vez más estrechos
lazos y acuerdos con EE. UU., sus
políticas de defensa, y ya que estoy, los gastos de defensa en nuestro país en
contraposición al discursillo de Huidobro de que se gasta demasiado en defensa…
(parece joda). Sus SEALs, adquisición de armamento nuevo, sus tropas de paz que
acumulan denuncias, traseros sucios que aquí se apresuran a lavar; violaciones,
tratas de blancas, droga, abusos y más abusos que el ministro de defensa moja con
alguna lagrimita y los informativos informan anteponiendo la palabra “presunto”
al delito . El mayor desfile militar de la historia. Todos los ministros de
defensa en Punta del Este acorazada. Prohibición de sacar fotografías en los antiguos centros de tortura
haciendo gala de una posición que tomó hace rato a favor de los militares. Por
favor... que salga alguien a justificar el romance de este hombre con algunos
sectores de las FF.AA., o a decir que está desligado del resto de las políticas
del gobierno, ¿quién lo puso allí?, ¿quiénes permiten que esto pase?.
Plombemia, un tema que el
actual gobierno tapa siempre que puede,
después de que el FA lo utilizó siendo oposición contra Batlle, hoy no
sirve políticamente hablando y es descartado, la mayoría mira para otro lado
yse olvida de que quienes la sufren padecen consecuencias gravísimas. Pero
claro, hablo de ciudadanos que están acostumbrados a soportar estas vicisitudes
y a moverse en estos parámetros, son los que siempre pueden esperar un poco más,
total los gobiernos pasan y ellas y ellos siguen en la indigencia, en la miseria
y en la pobreza.
La salud, la educación, la
falta de viviendas, las cárceles inhumanas de los presos de cuarta en
contraposición con las cárceles VIP en las que están presos unos pocos de los
milicos que han logrado encarcelar y que se dan el lujo de tirar línea a la
interna de las FFAA mientras se los tilda de viejitos inofensivos. ¿A quienes
encubren con esa política de reconciliación, olvido, perdón, borrón y cuenta
nueva, o que están tapando?. Los archivos a los que no se ha accedido y los
otros que no se dan a conocer al pueblo.
Los ridículos laberintos y
vericuetos de la ley de despenalización del aborto, una muestra concreta de
cómo se ciscan en la realidad de muchas mujeres en nuestro país, poniendo
dificultades insalvables para un alto porcentaje de la población, que son
justamente las mujeres que no se pueden pagar un aborto en otras condiciones y
las que se llenan de hijos que luego son reprimidos en los barrios de la
periferia, esas mujeres son probablemente quienes más necesitan de poder
ejercer este derecho. He visto como tratan a esa población cuando van a hacer
un trámite simple, se imaginan la inquisición por la que van a tener que pasar
para poder hacerse un aborto, a esto hay que sumarle la burocracia y los
tiempos… lograrlo va a ser una proeza, ergo, las que tienen el dinero para ir a
una clínica privada y hacerse el aborto sin tantas complicaciones, lo van a
seguir haciendo, el resto… veremos. Los que hablan de defender el derecho a la
vida se ve que no han visto como viven muchos de los y las niñas en algunos
barrios, porque si lo hubieran hecho, se sentirían más responsables de esas
vidas que ya existen y no tendrían tanto tiempo de hablar estupideces. Hay
mucho nacido que vive por debajo de las condiciones mínimas de existencia que
explicitan los DDHH y el pacto de San José de Costa Rica, pero hay que salir de
la burbuja para verlo. Pero tal como las leyes y cambios que hubieron con
respecto a la ley de caducidad, no son ni “chicha ni limonada” y sirven para
tapar el ojo a algunos “cabezudos” que asienten por costumbre o conveniencia, o
a los que prefieren no meterse en problemas que consideran no los involucran
directamente, eso en criollo, se llama cuidar la chacrita propia.
Bonomí y su política represiva
que con el paso del tiempo se vuelve más dura, siempre hacia abajo por
supuesto. Porque no me va a decir este señor que no sabe que las bocas de pasta
base están arregladas con las comisarías y milicos de las zonas y que pagando la
coima establecida hay un alto margen de acción delictiva que es permitida. La
ley de vagancia que ya existía y que ahora es aplicada por el progresismo. Los
mega operativos, también hacia abajo. Los delincuentes de guante blanco, que no
solo son aceptados, si no que se han convertido en amigos, en los actores que
agrandan la torta que ellos mismos engullen y tiran alguna miguita
probablemente contaminada a la mesa de los pobres o laburantes. Mientras tanto
los chorros de barrio son los que hay que reprimir a mansalva y bue,,, si cae
algún otro en la redada y lo matan, que importa, las vidas y las culpas (tal como con lo de las cárceles VIP y las
comunes) tienen distintos valores, ¿alguien puede negar eso?.
La mugre en la que vivimos, el
estado de las calles, la contaminación, lo que es la Teja, el Cerro, y de allí
para afuera es muy gráfico, entre la basura, las calles llenas de pozos y las
veredas (cuando las hay) intransitables, parece que nos caímos fuera del país
turístico, bello y productivo de los reclames.
Montes del Plata, soja
transgénica, etc.
Los que quieran callar, que
callen, pero bienvenidos los que despotrican con razón.
Veronika Engler
AEBU: más medidas en conflicto con los privados
Bancos. Reclaman aumento de salarios en el marco de la negociación colectiva
PABLO MELGAR
El sector financiero privado de AEBU incrementará las medidas la semana próxima en un conflicto que ya paralizó a los principales bancos. En el marco de la negociación colectiva, AEBU reclama un incremento presupuestal. No hay conversaciones.
Sin aviso, AEBU aplicó paros que ya afectaron al 45% de la operativa del sector financiero privado. Ayer pararon el Discount, Santander y City. Mientras que el jueves le tocó a los bancos HSBC, NBC, Banque Heritage y Lloyds. En tanto Itaú y BBVA pararon el miércoles pasado.
El Bandes y la sucursal Montevideo del Banco Nación de Argentina zafaron del cronograma de paro porque no integran la Asociación de Bancos (ABPU), según explicó ayer a El País el dirigente de banca privada de AEBU, Elbio Monegal.
Desde que se inició el conflicto no se ha convocado una nueva asamblea y las medidas son definidas por la dirección del sindicato. Monegal señaló que la dirigencia está evaluando llamar a los afiliados en los próximos días.
La dirección política de banca privada está en manos de la lista 98 compuesta por dirigentes afines a la corriente Articulación del Pit-Cnt que a su vez es la más cercana al equipo económico y al vicepresidente Danilo Astori.
Dirigentes de las listas minoritarias del sector privado, integradas por militantes del MPP, comunistas y socialistas ortodoxos, mencionaron a El País que hay disconformidad porque hasta ahora el conflicto fue manejado de manera "light" y que "no se ha chocado lo suficiente" con los bancos.
Monegal se defendió diciendo que las medidas aplicadas son parte de un proceso y que por el momento se están manejando con un criterio de "gradualidad". No obstante, consignó que si el lunes no hay "novedades" el sindicato deberá incrementar las medidas.
"Hasta ahora hemos sido un poco light con las medidas", admitió el dirigente y subrayó que "es evidente que si esto se prolonga vamos a tener que apretar un poco más", señaló.
La idea original de AEBU era no afectar a los clientes de los bancos y tampoco al clearing de cheques. En el inicio del conflicto Monegal dijo a El País: "Las medidas afectarán lo menos posible a los usuarios y lo más posible a las empresas".
En los últimos tres días afectaron a todos los bancos privados y se preparan para seguir incrementando las medidas.
Hasta ayer no se había generado un ámbito de negociación entre el sindicato y los bancos. Monegal subrayó que el Ministerio de Trabajo (MTSS) busca instalar una mesa de conversación entre las partes.
El intercambio entre las partes comenzó en junio pasado para definir el ajuste de julio; no hubo acuerdo. AEBU reclama un aumento de 9% por encima de la inflación en el marco de un acuerdo a tres años, lo que implicaría un aumento de 3% por año.
OTRO FRENTE. Por estos días AEBU salió a rechazar el sistema de "corresponsalías" bancarias que pretende implementar el Banco Central. La idea del gobierno es autorizar a pequeños comercios a realizar colocaciones de distintos productos del sistema financiero.
El presidente del Consejo Central de AEBU, Gustavo Pérez, integrante de la lista 98, afirmó en una entrevista colgada en el sitio web del sindicato, su posición contraria a la iniciativa del BCU.
"Esta situación tiene una serie de complejidades que no vemos que estén salvadas a priori por esta regulación", dijo. En ese sentido, Pérez cuestionó el impacto que tendría en la atención al usuario de los bancos y "en la seguridad para hacer la transacción bancaria".
Agregó que la nueva modalidad implicaría un riesgo para los eventuales clientes. "En la medida que los productos no se vendan con la necesaria información, el usuario puede hacer un manejo desmedido de ellos", dijo. Advirtió que el sistema puede llevar "a estimular pautas de consumo descontroladas" y que el usuario use los créditos "en una forma indiscriminada".
El sector financiero privado de AEBU incrementará las medidas la semana próxima en un conflicto que ya paralizó a los principales bancos. En el marco de la negociación colectiva, AEBU reclama un incremento presupuestal. No hay conversaciones.
Sin aviso, AEBU aplicó paros que ya afectaron al 45% de la operativa del sector financiero privado. Ayer pararon el Discount, Santander y City. Mientras que el jueves le tocó a los bancos HSBC, NBC, Banque Heritage y Lloyds. En tanto Itaú y BBVA pararon el miércoles pasado.
El Bandes y la sucursal Montevideo del Banco Nación de Argentina zafaron del cronograma de paro porque no integran la Asociación de Bancos (ABPU), según explicó ayer a El País el dirigente de banca privada de AEBU, Elbio Monegal.
Desde que se inició el conflicto no se ha convocado una nueva asamblea y las medidas son definidas por la dirección del sindicato. Monegal señaló que la dirigencia está evaluando llamar a los afiliados en los próximos días.
La dirección política de banca privada está en manos de la lista 98 compuesta por dirigentes afines a la corriente Articulación del Pit-Cnt que a su vez es la más cercana al equipo económico y al vicepresidente Danilo Astori.
Dirigentes de las listas minoritarias del sector privado, integradas por militantes del MPP, comunistas y socialistas ortodoxos, mencionaron a El País que hay disconformidad porque hasta ahora el conflicto fue manejado de manera "light" y que "no se ha chocado lo suficiente" con los bancos.
Monegal se defendió diciendo que las medidas aplicadas son parte de un proceso y que por el momento se están manejando con un criterio de "gradualidad". No obstante, consignó que si el lunes no hay "novedades" el sindicato deberá incrementar las medidas.
"Hasta ahora hemos sido un poco light con las medidas", admitió el dirigente y subrayó que "es evidente que si esto se prolonga vamos a tener que apretar un poco más", señaló.
La idea original de AEBU era no afectar a los clientes de los bancos y tampoco al clearing de cheques. En el inicio del conflicto Monegal dijo a El País: "Las medidas afectarán lo menos posible a los usuarios y lo más posible a las empresas".
En los últimos tres días afectaron a todos los bancos privados y se preparan para seguir incrementando las medidas.
Hasta ayer no se había generado un ámbito de negociación entre el sindicato y los bancos. Monegal subrayó que el Ministerio de Trabajo (MTSS) busca instalar una mesa de conversación entre las partes.
El intercambio entre las partes comenzó en junio pasado para definir el ajuste de julio; no hubo acuerdo. AEBU reclama un aumento de 9% por encima de la inflación en el marco de un acuerdo a tres años, lo que implicaría un aumento de 3% por año.
OTRO FRENTE. Por estos días AEBU salió a rechazar el sistema de "corresponsalías" bancarias que pretende implementar el Banco Central. La idea del gobierno es autorizar a pequeños comercios a realizar colocaciones de distintos productos del sistema financiero.
El presidente del Consejo Central de AEBU, Gustavo Pérez, integrante de la lista 98, afirmó en una entrevista colgada en el sitio web del sindicato, su posición contraria a la iniciativa del BCU.
"Esta situación tiene una serie de complejidades que no vemos que estén salvadas a priori por esta regulación", dijo. En ese sentido, Pérez cuestionó el impacto que tendría en la atención al usuario de los bancos y "en la seguridad para hacer la transacción bancaria".
Agregó que la nueva modalidad implicaría un riesgo para los eventuales clientes. "En la medida que los productos no se vendan con la necesaria información, el usuario puede hacer un manejo desmedido de ellos", dijo. Advirtió que el sistema puede llevar "a estimular pautas de consumo descontroladas" y que el usuario use los créditos "en una forma indiscriminada".
El País Digital
Homenaje a Gerardo Gatti en el PIT-CNT
27
oct
Miércoles 7 de noviembre/ 19:30 horas
Documento del Congreso Departamental del PIT-CNT de SALTO. 13/10/2012.
26
oct
DOCUMENTO SOBRE MATRIZ PRODUCTIVA
Marco general.
Las debilidades del sistema capitalista, manifiestas en una nueva crisis general, ponen en jaque la economía mundial, dejando a la vista un modelo que nos sigue demostrando que se agota en si mismo, porque la acumulación de la riqueza y la concentración cada vez en menos manos, solo genera crisis y desigualdad, al decir de Mahatma Ghandi “El gran problema de la humanidad es la concentración de la riqueza en unos pocos países desarrollados”
En este marco, paralelamente, los trabajadores organizados, nucleados en el PIT-CNT, entendemos que nos enfrentamos a un nuevo proceso histórico político, tanto en lo nacional como en lo internacional, en el cual existe, centralmente, la idea de unificar criterios ideológicos y procurar una alternativa común para la transformación de la sociedad, en pro de beneficiar al conjunto de la humanidad.
Desde la perspectiva del concepto de profundización democrática, esta visión, alienta la participación de vastos sectores en la discusión acerca de cual es el rumbo a transitar como nación, como sociedad, como país, en función de los avatares internacionales y las cuestiones locales propiamente dichas.
Pero la participación en si misma considerada no garantiza a ningún sector, la incidencia en los grandes temas que hacen al desarrollo, por lo cual los lugares de participación deben procurarse con esfuerzo, dedicación y fundamentalmente generando credibilidad a través de la coherencia en la acción.
Nuestra organización ha desandado a lo largo de sus 45 años de historia, el escabroso camino de la lucha, siendo un actor determinante en la vida política de nuestro país, lucha que nos ha permitido consolidar ámbitos de negociación colectiva, tanto en el sector público como en el sector privado, que han abierto las puertas, a partir del 2005, a un nuevo tiempo.
Pero hecha la ley, hecha la trampa, no basta con lo escrito en un papel si luego no se cumple, en tal sentido reconocemos los avances en la legislación laboral pero continuamos exigiendo el cumplimiento a cabalidad de las normas vigentes por parte del gobierno y de algunas ramas de actividad en el sector privado.
Nuestra visión sobre el desarrollo.
Somos conscientes que a partir de la nueva legislación, el componente más significativo, ha sido la creciente responsabilidad del movimiento sindical, en cuanto a plantear una alternativa de modelo de país popular y nacional con carácter profundamente internacionalista, que contemple las necesidades de los más amplios sectores y las grandes mayorías populares, empleados, obreros, pequeños productores, pequeños comerciantes, desocupados, marginados, etc.
Porque no es posible concebir el desarrollo de un país sin la inclusión social como buque insignia, el desarrollo sostenido solo es posible si la riqueza se distribuye igualitariamente en función del nivel de participación de cada sector en la actividad que se realiza.
Una sociedad en desarrollo tiene como máxima significación, la movilización de toda su estructura productiva en función del bienestar general, lo cual implica la acción del Estado y el sector privado en una alianza estratégica que promueva la dignificación del individuo y la resignificación de los valores como eje principal, posicionando las convicciones humanas por encima de los intereses económicos.
Esto implica valorar el trabajo humano en su real dimensión y no únicamente en función de la plusvalía, plusvalor o ganancia que genera, ya que esta circunstancia es la que condiciona el aumento de individuos especializados.
A mayor nivel de capacitación y especialización del trabajador, disminuye la plusvalía, plusvalor o ganancia que produce, en función de lo cual es inevitable deducir que para el empleador que ubique el objetivo únicamente vinculado a sus intereses económicos, verá más adecuado a ello, subemplear al trabajador lo cual implica que por una actividad calificada le pagará menos de lo que la función impone.
Este aspecto es determinante para deducir el rol fundamental que cumplen los institutos como el INEFOP (Instituto nacional de empleo y formación profesional), en las políticas de capacitación y promoción del empleo. Lo que supone dos cuestiones trascendentes, la primera en cuanto a la capitación, es imperioso que los trabajadores tengan acceso al reconocimiento formal de la tarea que realizan y en segundo lugar porque el empleo que se promueva debe ser de calidad.
Estos dos elementos se unifican para determinar que, no podemos hablar de desarrollo, mientras no pongamos el énfasis en resolver los problemas generados a partir del subempleo, de los salarios de hambre que no contemplan las necesidades mínimas que genera el alto costo de vida y fundamentalmente el no reconocimiento de las capacidades que implican la incidencia de la fuerza de trabajo en la tarea realizada, mientras no tengamos la grandeza de reconocer que la torta debe ser repartida con equidad, mientras no pongamos en discusión el concepto “calidad de vida”, partiendo de la premisa de la igualdad en el acceso a los bienes y servicios estatales y privados por parte de toda la población, no podemos hablar de desarrollo mientras halla compatriotas viviendo en ranchos de lata y cartón.
Hoy se dice que para la cantidad de emprendimientos que existen, no hay suficiente personal capacitado, y este razonamiento simplemente demuestra que no se unifican criterios en función de un proyecto común de país, existen inversiones aisladas que no son parte de un paquete proyectado al largo plazo, es en ese sentido que va nuestra preocupación, porque no es sostenible una economía basada en la coyuntura internacional, sustentada únicamente en dos aspectos: a) en los precios internacionales que al momento determina el mercado para las materias primas y b) en los flujos de inversión extranjera, vinculados a intensos procesos de explotación de recursos naturales, lo cual implica al resumir ambos aspectos, la existencia de un gigante con pies de barro.
Por lo cual deducimos que la defensa de las empresas públicas, abarcativas de los sectores más estratégicos para el desarrollo de nuestra economía, es una cuestión de principios, deben mantenerse en la órbita del Estado. En tal sentido, es ineludible que un país agro exportador, con una extensa tradición en el sector cárnico, promueva la creación de un frigorífico nacional, en manos del Estado. Y alentamos esta postura, fundamentándola en la máxima: “el Estado debe ser la locomotora del desarrollo”.
Afirmamos esto, porque en un proceso de crecimiento sostenido de la economía, que todos conocemos, y en función de profundizar el proceso de cambios que favorezca al modelo popular y nacional que promovemos, es imprescindible como condición sine quanon el rol que juegue el Estado.
Para ello es prioritario, desde nuestra visión, apuntar a:
1) Transformar nuestra matriz productiva en el sentido inequívoco de superar la dependencia económica.
2) Erradicar la miseria y combatir la pobreza, profundizando en políticas sociales, educativas y laborales que estén enmarcadas en función de un proyecto de país con un sostenido proceso de desarrollo.
3) Generar trabajo genuino, a través de políticas de formación profesional inclusivas para todas y todos los uruguayos.
4) Favorecer, desde el Estado, a través de inversión o crédito, emprendimientos productivos con la participación de los trabajadores, a través de los cuales se recuperen para el país, fuentes de trabajo y producción, que impliquen la génesis de nuevas formas de propiedad social no estatal.
5) Promover el sistema de compras públicas y la participación de los trabajadores en el diseño de los pliegos de las licitaciones y a su vez analizar las diferentes cadenas productivas y sectores económicos donde deben crearse nuevas empresas públicas al servicio de un programa popular.
6) Enmarcar la educación no en función del mercado, sino en función de impulsar la conciencia critica de individuos con capacidad de transformación real, protagonistas de un país en desarrollo hacia una sociedad diferente.
7) Dinamizar el mercado interno a través del aumento de salarios, pensiones y jubilaciones.
8) Defender y reivindicar la mano de obra nacional.
9) Comprometer nuestros máximos esfuerzos, en la defensa y concreción del Programa de Vivienda Sindical y apoyar todas las iniciativas que apunten a generar soluciones habitacionales para los trabajadores.
10) Creación de una Mesa Departamental de Desarrollo Productivo.
11) Generar condiciones a nivel departamental para discutir la accesibilidad a la tierra, considerando la misma como un bien social y que con un carácter asociativo, los trabajadores sean quienes produzcan y reciban las ganancias.
12) Reclamar el cumplimiento efectivo del convenio de 1946, sobre la Represa de Salto Grande, y en tal sentido, que se distribuyan las regalías que implican energía barata para la Región.
13) Reclamar, a través de los mecanismos orgánicos del PIT-CNT, al Gobierno Nacional, que sea considerado en el cálculo del Producto Bruto Interno, los ingresos que generan los trabajadores de la Cultura.
Nuestra visión sobre las inversiones.
Si hablamos de un programa popular y nacional, para profundizar en las transformaciones democráticas hacia la consolidación de un proceso de cambio, es indudable que en el ámbito de las inversiones debemos comprometer al Estado.
Concebimos al Estado, como hacíamos referencia ut supra, como una locomotora para el desarrollo del país, en tal sentido, estamos firmemente convencidos que el papel del estado en cuanto a invertir en emprendimientos genuinos que generen trabajo de calidad y mano de obra calificada, es imprescindible.
Y esto lo decimos en el marco del referido crecimiento económico sostenido, que ya lleva más de 8 años, la cuestión central es deducible, si el Estado no fortalece la matriz productiva a través de inversiones de largo aliento que involucren a toda la sociedad, el crecimiento económico será una anécdota de la época.
Para ello es ineludible, profundizar en el conocimiento existente acerca de la base productiva de nuestro país y de los enormes cambios producidos en ella, citamos a modo de ejemplo la composición del producto bruto que generamos, cuanto queda y cuanto se va para el exterior, el papel de las trasnacionales, el rol de las zonas francas, la tenencia de la tierra y los altos niveles de extranjerización, los principales grupos exportadores, la industria frigorífica, los productos del agro, el sistema financiero, el boom de las importaciones, la composición de las clases sociales, el vínculo existente entre las mejoras de salarios e ingresos, el impacto medio ambiental, etc.
Y aquí nos detenemos en la caracterización de las inversiones a las que aspiramos, dejando en claro que no nos oponemos a las inversiones privadas, por lo contrario, estamos convencidos que las inversiones privadas son necesarias, la cuestión es en que condiciones se dan.
Nosotros entendemos que las inversiones deben encastrarse en el proyecto de país, no pueden estar desprendidas de lo que la sociedad uruguaya necesita en clave de presente y futuro, ello supone el fortalecimiento de la matriz productiva a través de inversiones que apunten a ciclos productivos completos y que del compendio de ganancias que surjan, quede un gran porcentaje en nuestro departamento.
Esto implica que nuestro país no continúe exportando materia prima, generando un ciclo perverso de destrucción de nuestro medio ambiente y un perjuicio para las generaciones futuras. Y aquí queremos puntualizar, que como habitantes de este planeta nos cabe la responsabilidad de cuidar el lugar donde vivimos, no solo por nosotros sino también por los otros, las políticas medioambientales son fundamentales en el marco de la discusión sobre el carácter de las inversiones que se avengan a instalarse en nuestro país y en nuestro departamento en particular.
Y en referencia a nuestro departamento, debemos mencionar que, la reciente discusión de la crisis que atraviesa el sector citrícola en nuestro departamento, que ha impulsado la movilización de los trabajadores, los pequeños productores y todo el sistema político, ha dejado al desnudo una dramática situación que se traduce en la ausencia de inversiones reales.
Por lo que no nos pesan prendas en este planteo, porque la cantidad de salteñas y salteños que trabajan en empleos que no son de calidad y por los cuales no perciben salarios acorde a la realidad, nos imponen reflexionar sobre la visión estratégica y largoplacista de las inversiones privadas que vengan a Salto.
Paralelamente, esta encrucijada ha puesto de manifiesto, que existen cuestiones en común para los diversos sectores, en perspectiva de mejorar el departamento, para lo que entendemos como impostergable la creación y consolidación de una Mesa de Desarrollo Productivo.
Este ámbito debe ser parte de un proceso y en si mismo una señal, de crecimiento, de madurez política, debe ser un ámbito integrado por trabajadores, productores, políticos, instituciones como la Universidad de la República, la Universidad de Trabajo del Uruguay, el INEFOP, la Comisión Técnica Mixta de Salto Grande, los empresarios; la génesis de este espacio, propenderá a la edificación de una sustentable construcción de la matriz productiva departamental.
Esto es lo que nos compromete a que debemos asumir la responsabilidad de promover la industrialización de nuestro departamento y del Uruguay, propendiendo al desarrollo de ciclos productivos completos que se inicien y finalicen en nuestro país, y como lo referenciabamos, para coadyuvar a este proceso, el Estado debe desarrollar el sistema de compras públicas que facilite la colocación de los productos finales, independientemente de la capacidad de exportación.
Conclusión.
Como trabajadores aspiramos a un programa popular y nacional, a un país con desarrollo sostenido, con carácter inclusivo de todos los sectores productivos, a un Estado transformador, dinámico, profundamente democrático, a una sociedad con igualdad de oportunidades para todos, desde una visión humanista y socialista, donde el trabajador no sea un producto más del mercado sino protagonista y constructor de un orden social justo.
En paz con la conciencia.-
Tengo que pedir disculpas,x que debo someterme a la voluntad de la tecnología que me impide hoy escribir mis casi diarios articulitos con letra roja sobre fondo amarillo. Apenas me permitió un fondo celeste como para que no olvide el patriotismo futbolístico.-Pero de lo que deseo hablar hoy es de las reflexiones que me indujo la lectura de un trabajo del Tambero sobre lo que se cocinó en P. del Este entre el imperio y nuestro Cro. Ñato como representante del gobierno progresista de izquierda sin humo y ahora con abortos.-
La inmensa mayoría de la gente,no solamente no vá a llegar a leer el trabajo del tocayo sinó que en caso de leerlo y ,si les llegase a interesar, le darían poco crédito: X que son cosas invisibles,ocultadas y poco conocidas;pero tiene que ver con que la plata no te alcance pa' llegar a fin de mes.-
Lo que impide que pierda toda esperanza de futuro y caiga en "el verdadero infierno" al decir de Cronin, es la crisis del sistema a nivel global y las espontáneas reacciones populares masivas que vienen ocurriendo en diversas partes del globo que son ocultadas propositalmente,claro.-
Me planteo si todavía quedará tiempo para que se materialice mi utopía esperanzada - no demostrable - de que la humanidad reaccione,se rebele y evolucione mudando un modelo milenario,ante la evidente amenaza de la extinción de la especie como consecuencia de éste modelo masivamente aceptado y asumido de explotación,acumulación,hambre
El 47% de apoyo popular - en lo nacional - al regreso del Pluma Blanca como salvador de la patria,demuestra incuestionablemente que el pueblo no ha comprendido la lección histórica y que sigue alentando la fé religiosa en la llegada de mesías salvadores. Que se mantiene vigente el juego que durante 170 años llevaron adelante blanqui/colorados,modernizado ahora con la renovada mística de que "si no ganamos los de derecha,ganamos los de izquierda". Aciagos tiempos le esperan a éste pueblo.No se vislumbra en el horizonte histórico ninguna amenaza real al modelo,al sistema,a los dueños del país ni al imperio. La reciente lección histórica no fué entendida por el pueblo uruguayo. Apenas la izquierda uruguaya la comprendió e incorporó haciéndose "pragmática" que se plasma en la reunión de P. del Este. Que tengan suerte y que puedan dormir tranquilos.-
MAU-MAU
COMUNICADO DE PRENSA
26 DE OCTUBRE DE 2012
A 22 días
de realizada la audiencia pública, los vecinos de las organizaciones sociales
de Ciudad de la Costa, seguimos esperando respuestas de parte de la
administración municipal de Canelones.
Silencio
sobre la propuesta de los vecinos, información sesgada, manipulación y
ocultamiento de informes de relevancia sobre el tema. Esta viene siendo la dinámica
con la cual el gobierno departamental de Canelones continua tratando el plan
maestro para el Parque Roosevelt.
Desconocen
nuestra existencia como vecinos organizados ocultando nuestra participación,
nuestros planteos y propuestas.
En este
marco, declaraciones del intendente sobre el comienzo de las obras a corto
plazo de algunos de los proyectos, antes de que el futuro del plan maestro
fuera resuelto en la audiencia y/o en el legislativo comunal, marcan el tipo de
relacionamiento que propone la Comuna Canaria con los vecinos y sus representantes
departamentales.
Es por
ello que hoy estaremos en la Junta Departamental, exigiendo el reconocimiento
de nuestras organizaciones, de nuestras propuestas, y el planteo de trabajo
coordinado con las autoridades, tal como lo dejáramos de manifiesto en las dos
audiencias públicas.
No queremos
privatizaciones, ni abiertas ni encubiertas.
No
queremos megaproyectos de "inversores" extranjeros ni nacionales.
No
queremos más endeudamiento que se pretende imponer con un fideicomiso de 60
millones de dólares que los vecinos terminaremos pagando en el 2033 100
millones de dólares, más las deudas que aún no ha pagado el gobierno
departamental.
Queremos
autonomía económica con participación de vecinos y autoridades en defensa del
patrimonio de todos los ciudadanos.
Agradecemos
difusión
Proyectos urgentes duermen en el Parlamento
26
oct
NOS PREGUNTAMOS NOSOTROS; SOLO LOS PROYECTOS DUERMEN?
La bancada oficialista parece tener una marcha y prioridades diferentes a las del gobierno nacional. Algunas leyes, reclamadas como urgentes por el Ejecutivo, siguen demoradas en el Parlamento, en algunos casos por divergencias internas.
Tras la reunión del Consejo de Ministros este martes, el prosecretario de la Presidencia, Diego Cánepa, comentó que se había resuelto solicitar a la bancada de legisladores del Frente Amplio agilizar la aprobación de las medidas de promoción del turismo, habida cuenta que cuando se anunciaron se adelantó que comenzarían a regir el 15 de noviembre.
El gobierno remitió al Parlamento el pasado 12 de octubre el proyecto de ley para habilitar al Ejecutivo a devolver el IVA a las compras y alquileres de vivienda o automóviles a los visitantes del extranjero que efectúen el pago con tarjetas de créditos o débitos emitidas en el exterior.
Recién este jueves la Comisión de Hacienda del Senado recibió a autoridades del Ministerio de Economía para explicar las medidas.
El proyecto de ley debe ser votado en comisión, en el plenario del Senado y repetir el mismo procedimiento en la Cámara de Diputados. Ambas instancias legislativas no tienen sesiones ordinarias después del 18 de cada mes, aunque se puede convocar a una extraordinaria con el respaldo de determinada cantidad de firma de legisladores.
Precisamente, en estas fechas los legisladores se concentran en las actividades del Parlatino, o en actividades en sus departamentos.
De todas maneras, los 20 días que restan para el 15 de noviembre es un plazo acotado para cumplir con los procedimientos legislativos sin un compromiso de sesionar en forma extraordinaria.
Por otra parte, todos los proyecto de ley de convivencia, impulsados por el Ministerio del Interior para un rápido tratamiento en ambas cámaras, sigue demorado pese a las reuniones del ministro con la bancada y los reiterados contactos de representantes de esa cartera con una comisión de senadores del Frente Amplio.
Desde el gobierno se ha insistido en aprobar alguna de estas iniciativas antes de fin de año.
La demora en aprobar estos proyecto de ley –como internación compulsiva de adictos, reparación de víctimas, aumento de penas por tráfico de pasta base y corrupción policial– responde a las diferencias internas en la coalición de gobierno, y el objetivo de tener estos proyectos aprobados antes de fin de año se aleja.
Otro tema trascendente para el gobierno es la aprobación del tratado de intercambio de información tributaria con Argentina. Si bien la oposición se resiste a votarlo y plantea consultas a todo tipo de especialistas en la Comisión de Asuntos Internacionales del Senado, el Frente Amplio tiene una mayoría que no aplica.
En junio de este año el ministro de Economía, Fernando Lorenzo, reclamó en esa comisión aprobar el tratado en el Parlamento, es decir en las dos cámaras, antes de octubre, para poder presentarse en el Foro Global de Transparencia con los deberes hechos. En la reunión, que se lleva a cabo este viernes y sábado en Sudáfrica, Argentina puede plantear que Uruguay no ha cumplido con las recomendaciones del Foro de acordar intercambio de información con países relevantes que lo hayan solicitado, como Argentina y Brasil, y dejar en suspenso los avances de Uruguay para salir de la lista “gris” de ese organismo.
La falta de velocidad coordinada entre la bancada de legisladores y el Ejecutivo también estuvo presente durante la discusión y sanción del impuesto a las propiedades de más de 2.000 hectáreas con índice Coneat 100, y el descuento de IVA a las compras con tarjetas de débitos.
De la misma manera, varios convenios con Venezuela, la mayoría firmados en la administración de Tabaré Vázquez, siguen pendientes de discusión en el Parlamento.
“País trancado”
Sin aludir a nadie, el presidente José Mujica señaló ayer en la audición radial de M24 que el país “está trancado” en temas de política e institucionalidad que habían sido fruto de acuerdos multipartidarios, y consideró que el sistema político está tratando “superficialmente, cosas que son complejas”.
“Se ha llegado a insinuar que hay problemas de corrupción en Pluna”, dijo, sin mencionar al autor de esa acusación; “y luego de decir esto, se viaja al exterior. No puede ser que seamos tan livianos, llevar la confrontación a este nivel como si fuéramos de naciones distintas. La nación no necesita esto, y vamos mal por ese camino”, consideró.
Aseguró que la economía del país está en orden y “da para repartir y no hay dramas en el horizonte”. “Todo sería más llevadero si en algunas cosas esenciales anduviéramos juntos”, reclamó.
“Las cosas sustantivas no son las venenosas. Sí son venenosos los insultos, las mentiras o las verdades no encuadradas en el contexto de la realidad. Necesitamos relaciones de mayor altura porque el país deberá seguir andando”, aconsejó.
Prórrogas para leyes carcelarias
El comisionado parlamentario, doctor Álvaro Garcé, planteó que el 31 de diciembre de este año vence el plazo para la instrumentación de las leyes por las cuales, se autoriza el traspaso de unidades del Ministerio de Defensa Nacional al Ministerio del Interior, en lo referente a la custodia perimetral y en la revisación en el ingreso a los centros penitenciarios. Por lo tanto, se aguardará desde el Poder Ejecutivo que se remitan las iniciativas al Parlamento solicitando las mencionadas prórrogas. Garcé entregó ayer un informe sobre las normas legales vigentes relativas al sistema carcelario que requieren modificación o prórroga, a la Comisión Especial para el seguimiento de la situación carcelaria.
“Tenemos tres temas que caducan a fin de año y hay que tomar alguna determinación legal: por un lado, la utilización por parte del Ministerio del Interior de locales del Ministerio de Defensa; por otro lado la custodia perimetral de las cárceles que están con personal del Ministerio de Defensa; y por último lo referente a los controles de ingreso”, sostuvo a LA REPÚBLICA el diputado Daniel Radío (Partido Independiente). Los tres proyectos están vigentes hasta fin de año y luego, caducan. Con buen criterio, agregó Radío, “se le comunicará al Poder Ejecutivo esta inquietud para que el Poder Ejecutivo tome la iniciativa”.
Por otra parte, según Radío, el comisionado parlamentario también expresó la inquietud en torno al proyecto sobre “inserción laboral de los liberados que establece que en los pliegos sobre obras y servicios públicos se debe incluir la obligatoriedad de incluir un 5% de operarios. Termina pasando o que no se aplica o que es muy poco, porque en 20 peones tenés solo uno, y no hay tantas obras que tengan 20 peones”.
Último Momento
Vecinos se enfrentan a policías en Cerro Norte
Imagen Telenoche 4
En la Jefatura de Policía informaron a EL PAÍS digital que los efectivos estaban realizando un allanamiento por drogas cuando fueron atacados.
Se detuvo a cinco personas tras el incidente. No se registraron heridos precisaron en Jefatura.
De acuerdo a las imágenes de canal 4 el despliegue policial en la zona es muy grande.
El País Digital